TENNIS – “Le donne sono come gli elefanti: belle da guardare ma non ne vorresti mai una tua”. La massima di W.C. Fields sembra colpire nel segno quando ci si riferisce alla penuria di allenatrici nel circuito femminile: moltissime ex buone o ottime giocatrici che per vari motivi non siedono nell’angolo di alcuna professionista.
Supponiamo di essere una giocatrice del circuito WTA, classificata tra le prime cinquanta del mondo e a caccia di un nuovo allenatore in grado di aiutarmi a fare un importante salto in avanti nella qualità del gioco, allo scopo di accedere alle prime venti o quindici posizioni del ranking. Quanti di voi hanno pensato di assumere un’allenatrice, anziché un allenatore? Provo ad indovinare? Nessuno o una irrisoria percentuale di voi. Io stessa, se interpellata a bruciapelo, mi sarei orientata immediatamente verso una figura maschile, non tanto per una scelta veramente consapevole, ma per pura abitudine a vedere a fianco a me sul campo un maestro da quando avevo sette anni.
Quello che può lasciare qualche dubbio è che questo pensiero sia lo stesso delle grandi giocatrici che al circuito mondiale vi appartengono veramente. Di conseguenza le coach donna sono una rarità, un’eccezione e non la regola.La prima che può venire alla mente è l’ex numero uno Martina Hingis, che segue da quasiun anno la tedesca Sabine Lisicki e con cui ha giocato anche il doppio in alcune occasioni. Un altro esempio è la numero 22 del mondo Lucie Safarova, la quale lavora con BiljanaVeselinovic, capitano della squadra serba di Fed Cup dal 1998 al 2004 e poi allenatrice di Katarina Srebotnik fino al 2009.
Safarova, interrogata sull’argomento, si è dichiarata entusiasta della collaborazione: “Sul circuito ce ne sono molto poche di donne allenatrici ed è un peccato, perché penso che il rapporto tra due donne funzioni molto meglio”. In casa nostra notiamo l’esempio di Francesca Schiavone, la quale, in conclusione di carriera, si è affidata a Laura Golarsa, ex ottima giocatrice ed allenatrice più che competente con base a Milano, città natale di Francesca.
Eccezione tra le eccezioni è la panchina delle squadre di Fed Cup, dato che il 50% dei capitani delle nazionali del I World Group è donna, con Conchita Martinez che segue la Spagna, Barbara Rittner la Germania, Anastasia Myskina la Russia, l’Australia di Alicia Molik e gli Stati Uniti di Mary Joe Fernandez. Ma lo stesso potremmo dire anche per altre nazionali, per esempio la Francia guidata da Amelie Mouresmo e la Gran Bretagna che può contare sulla tempra di Judy Murray.
Molte delle grandi giocatrici del recente passato, una volta conclusa la loro più che brillante carriera tennistica hanno preferito passare dai frastuoni delle folle provenienti dagli spalti, ad una vita meno pubblica e più riservata in cui potersi dedicare ad altro piuttosto che soltanto al tennis. C’è chi si è dedicata alla famiglia, come Graf, Davenport e Clijsters, chi agli affari come Gabriela Sabatini che ha lanciato una linea di profumi, mentre Seles resta legata al tennis seguendo alcuni clinics, ma per lo più si è data alla scrittura, Mary Pierce, invece, si è rifugiata nella religione e nella filantropia, JustineHenin ha fondato la sua accademia per tutte le età e fa beneficienza. Insomma, alcune hanno deciso che la fase della vita in cui dedicarsi completamente allo sport era finita, sono state ben liete di aprire capitoli completamente diversi per l’avveniree le vediamo soltanto alle cerimonie ufficiali poiché invitate dai tornei stessi, altre si sono rese conto che il tennis era il punto focale della loro vita e continuano a dedicarsi ad esso, come Arancia Sancez, Martina Hingis, Martina Navratilova e Billie Jean King. Da un lato, c’è sicuramente la tendenza di molte ex giocatrici ad abbandonare quel mondo in cui sono vissute fin dall’adolescenza, ma dall’altro le attuali tenniste si sentono più a loro agio o ritengono di poter ottenere di più affidandosi ad un allenatore uomo.Però non vedo perchèGroenveld o Lundgren, ottimi coach rispettivamente di Sharapova ed Hantuchova, debbano avere necessariamente una maggiore conoscenza del gioco rispetto Navratilova o Hingis. Lungi da me il voler indurre a pensare che nel circuito femminile ci debbano essere per lo più allenatrici donne, ma quanto sottolineare la possibilità che oltre agli innumerevoli buoni allenatori, ce ne siano altrettanto di allenatrici. La scelta rispecchia la soggettività dell’atleta, il suo carattere e sensibilità, poiché le ore passate con il coach sono molte durante l’intera stagione e va da se che il rapporto che si instaura va al di là del lavoro in senso stretto.
La russa Vera Dushevina, numero 41 nel 2007, ma oggi scesa al 149esimo posto, è allenata da Irina Granaturova da quando aveva 8 anni e per lei rappresenta una seconda madre, ma non si dice sorpresa dal fenomeno: “Gli allenatori uomini possono palleggiare con te, fare fitness, cosa che non accade con la maggior parte dei coach dell’altro genere”. E’ indiscutibile che l’uomo abbia una spinta nel braccio mediamente più potente rispetto a quella della donna, più che utile in tutte le fasi di allenamento, ma è anche vero che la maggior parte delle giocatrici ha al suo seguito uno sparring partner, oppure lo assumono sul posto durante un torneo, quindi il gap fisico potrebbe essere una difficoltà superabile.
“E’ un gigantesco errore perché siamo una grande risorsa” sottolinea Blly Jean King, “nessuna è mai venuta da me chiedendomi di poterla aiutare col suo gioco. L’ultima ad averlo fatto è stata Martina Navratilova durante gli ultimi anni da singolarista”.
Nel circuito ATP sono due i giocatori protagonisti di questa anomalia, ovviamente ancora più evidente nel settore maschile: Mikhail Kukushkin, allenato dalla moglie e Denis Istomin, seguito dalla madre, KlaudiyaIstomina, la quale coglie nel segno quando afferma che “è difficile fare qualcosa se i giocatori non lo vogliono”.