Taylor Townsend, quando il tennis danza

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Taylor Townsend, quando il tennis danza

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TENNIS – Taylor Townsend non è una tennista come le altre. Dopo aver stupito Parigi, la diciottenne che legge gli appunti durante i cambi campo (“È un’abitudine”) vuole continuare a vincere e a danzare.

Il vento di Chicago ieri ha soffiato forte sul Suzanne Lenglen. “Windy City” è il nomignolo attribuito alla grande città americana che ha dato i natali a Taylor Townsend, in realtà, il soprannome non è di derivazione meteorologia, bensì storico-politica. Ma poco ci importa, perché il vento di cui stiamo parlando è quello che, in un pomeriggio grigio e orfano di Serena Williams, ha spazzato via i cori e le esortazioni di un pubblico che non poteva – malgrado lo spettacolo messo in atto dalla giovane “Chicagonian” – non tifare per la tennista di casa, la numero uno francese, Alizé Cornet.

Che la ragazza avesse del potenziale già si sapeva. Essere la prima americana dall’ ’82 a riconquistare la vetta della classifica junior non è certo dovuto ad un insieme di coincidenze, anzi… Taylor ha lavorato davvero molto e il 2012 – con la vittoria in singolare e in doppio agli Australian Open e, sempre in doppio, a Wimbledon e agli US Open – è stato l’anno che l’ha votata al professionismo, “Essere No. 1, qualsiasi No. 1, era una convalida che, si sa, ero pronta a passare al livello successivo”. Una maturità rara, celata dalle espressioni dolci e sorridenti di una ragazzina, che quando sbaglia un dritto o una volée si lascia andare ad una gestualità quasi teatrale, ma anche consapevole, di colei che aspira alla perfezione, ma è conscia dei propri limiti attuali e di cosa il futuro può riservale; d’altra parte avere Martina Navratilova come modello a cui ispirarsi non è cosa da tutte.

Un obiettivo “semplice” il suo: scalare il ranking il più possibile. Attualmente è la numero 205, e, con la vittoria di ieri, i suoi successi nel circuito maggiore salgono a quattro (4-4): le prime due vittorie sono entrambe arrivate sul cemento californiano di Indian Wells, dove lo scorso anno batté Lucie Hradecka e quest’anno Karin Knapp, per poi infrangersi contro una fantastica Flavia Pennetta, che, in ottima forma e futura vincitrice del titolo, ha dovuto faticare tre set (6-3 6-7 (4) 6-3) prima di aggiudicarsi l’incontro: “Se la vedi così, non è davvero in forma. Voglio dire, è evidente. Ma si muove meglio di quanto si pensi, ed è potente”, sì, e al di là della forma fisica nel suo tennis c’è molta più grazia di quanto ci si aspetti. Sono i primi passi verso obiettivi più grandi: la top-10, la top-5, il sogno di vincere tutti i tornei dello Slam più e più volte.

Il 2012 è anche l’anno della polemica. L’USTA cercò di impedirle di giocare l’US Open junior, una scelta controversa quella di tenere in panchina la miglior promessa americana, nonché la numero uno della classifica mondiale. L’unica ragione palesata fu il mancato miglioramento sul piano fisico/atletico della ragazza, con l’intento di preservarne la salute e la carriera, ma forse anche quello di non dare “il cattivo esempio”, in un paese dove l’obesità giovanile è una piaga ben radicata. “È stato scioccante. Ero molto delusa, a dir la verità. Ho pianto. Voglio dire, ho lavorato sodo e non è per miracolo che sono diventato numero 1. Non voglio sembrare presuntuosa ma non si è trattato di un miracolo”. In ogni caso Townsend non si è lasciata irretire, sintomo di un grande carattere. Dove molte al suo posto si sarebbero arrese alle decisioni e in un certo qual modo all’umiliazione e discriminazione, ha fatto armi e bagagli e a New York ha giocato lo stesso a proprie spese – rimborsate a posteriori – raggiungendo i quarti in singolare oltre alla sopraccitata vittoria in doppio. Nonostante i tentativi di riappacificazione l’episodio ha sancito la rottura tra la giocatrice e l’USTA: “Il programma di fitness che mi hanno imposto non è stata una mia decisione, pensavano che giocare non fosse l’idea migliore, per cui sono tornata a casa… Ho avuto un sacco di grandi opportunità. Sto facendo tutto quello che mi chiedo e sono professionale su tutto”. Decisioni. Decisioni che venti mesi fa erano assolutamente delicate, ma anche autonome e prese con la maturità necessaria a chi ha grandi obiettivi e soprattutto sa cosa vuole per sé stessa. Decisioni che alla luce dei risultati in progresso sembrano essere quelle giuste, almeno in parte, perché lei stessa ammette che un miglioramento sul piano fisico è possibile e la sua presa di posizione in merito è tutt’altro che rigida, semplicemente “giocare” ha la precedenza.

Allo stato attuale Townsend si allena presso fondazioni no profit che hanno sede a Chicago e a Washington, dividendo la propria preparazione sotto la guida di Kamau Murray, che la conosce dall’età di sei anni, e Zina Garrison, finalista di Wimbledon nel ’90. Il contributo di Zina, cresciuta a sua volta nel mito di Navratilova, va oltre il piano tecnico/tattico, altra tennista afro-americana che ha portato su di sé tutto il peso dell’essere “diversa” in un ambiente che tutt’oggi stenta a liberarsi dal pregiudizio razziale. Zina, così come Seles, sa anche bene cosa significhi non trovarsi a proprio agio con il proprio corpo e dover quotidianamente lottare con gli sguardi di tutti coloro che non riescono a vedere oltre i kg di troppo. I disordini alimentari sono uno spauracchio tangibile che può devastare una carriera, ancor più nel caso di una giovane promettente che, nel momento in cui consegue risultati di prestigio, si ritrova quel tipo di riflettore puntato addosso. “La cosa più importante è stata farle capire che sta bene, non tutti hanno le nostre stesse forme, questo le è molto chiaro… Sfido più della metà delle ragazze del tour a fare alcune delle cose che fa lei”.

Afro-americana, nata a Chicago il 16 aprile del ’96, diciott’anni appena compiuti, segni particolari? Il tennis, un tennis che parla da solo, anzi grida e spazza via le urla di un intero stadio a suon di dritti che “accarezzano” le righe in lungolinea, traiettorie incrociate che trovano angoli acuti, in un gioco di geometrie e variazioni assolutamente intelligente. Un tennis pieno, fatto di discese a rete, attacchi in controtempo, slice, colpi piatti e una mano delicata. Un tennis incantevole, un tennis raro. Lo sa bene Taylor, che sempre più va a scontrarsi in antitesi con quella che è la futura generazione di atlete che calcherà i campi da tennis, non può esserci niente di più diverso da lei della sicurezza atletica di Belinda Bencic o Ana Konjuh, per citare giusto due esempi di giovani tenniste passate recentemente al professionismo.

La strada è in salita, non si può negarlo e sia Zina che la sua pupilla ne sono pienamente consapevoli, “Molte volte, quando si è creativi e si ha così tanto, diventa molto difficile e noioso, e si utilizza un colpo quando potrebbe non essere necessario usarlo“, la stessa Taylor ha ammesso: “Ho sempre detto che è un dono e una maledizione avere così tanta scelta, perché si rischia di ritrovarsi molto confusi sul cosa fare“.

Anche il diritto di giocare lo Slam parigino Townsend ha dovuto guadagnarselo lavorando duro, ma soprattutto conquistando, uno di seguito all’altro, due titoli ITF, i primi della sua carriera, a Charlottesville ed Indian Harbour Beach, vincendo, in quest’ultimo caso, quattro partite lo stesso giorno: semifinale e finale sia di singolare che di doppio. Una determinazione sicuramente fuori dal comune e ieri l’abbiamo potuto vedere chiaramente.

Le piace ascoltare musica per caricarsi prima dei match, è una super-fan di Roger Federer, al punto da dargli consigli tecnici via twitter, e pare che Andy Murray, dopo averla vista giocare, sia appena diventato un suo “supporter”. Durante i cambi campo scruta con attenzione un blocchetto di appunti, lo fa per concentrarsi, “Sono solo appunti degli allenamenti” – dice – “mi aiutano a mantenere uno stato d’animo in cui vedo le cose semplici. È una specie di abitudine, se non li leggo è strano”. Ieri al termine dell’incontro, l’abbiamo vista ballare la Nae Nae dance, senza ostentazione né arroganza, ma con un dolce sorriso di gioia per un altro grande passo che ripaga i sacrifici, “Sono davvero felice, ma queste sono le cose, sono i momenti per cui un giovane atleta professionista lavora… Dovreste dare un’occhiata a questo ballo nato ad Atlanta, è assolutamente di tendenza. Ho pensato, se vinco, allora inizierò a ballare, spero di non essere sembrata stupida”.

La prima volta che Zina partecipò al Roland Garros raggiunse i quarti, era il 1982. Se Taylor dovesse superare Carla Suarez Navarro nel match di domani, diventerebbe la più giovane americana ad avanzare sino a questo punto del tabellone dal 1998, quando sia Venus che Serena ebbero accesso ai quarti. Un match che tutti aspettiamo, sperando che la maturità dimostrata sino ad ora non sia preda di una ragionevole emozione. Continua a danzare, Taylor.

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