Tennis e omosessualità: non è un coming out per uomini deboli

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Tennis e omosessualità: non è un coming out per uomini deboli

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TENNIS – Il nuotatore olimpico Ian Thorpe ha fatto coming out. Quello che nel tennis hanno avuto il coraggio di fare Billie Jean King, Martina Navratilova e Amelie Mauresmo, ma che ancora a nessun tennista maschio è riuscito. Possibile che non ce ne siano?

L’ex nuotatore australiano Ian Thorpe ha fatto recentemente coming out in un’intervista rilasciata alla TV Channel 10. Thorpedo”, così come era soprannominato dai più, è stato considerato uno dei più forti nuotatori di sempre prima dell’arrivo di Michael Phelps: ha collezionato 5 ori olimpici e 11 ori ai mondiali di nuoto. Ian finalmente ha detto basta al prendersi in giro, a negare e a mentire pur di salvare (?) la sua reputazione. Il suo è stato un percorso sofferto, l’autoaccettazione non è mai semplice, a tal punto che arrivò a scrivere questo nella sua biografia: “Per la cronaca, non sono gay e tutte le mie esperienze sessuali sono state etero. Sono attratto dalle donne, mi piacciono i bambini e aspiro ad avere una famiglia un giorno. Ciò che trovo più offensivo è che la gente metta in dubbio la mia integrità e quello che dico, come se questa fosse una cosa che mi imbarazzerebbe, o che io nasconderei”. Parole che con il senno di poi fanno tristezza leggere pensando al disagio che questo ragazzo (oramai 32enne) ha potuto provare per spingersi a tal punto. Già ci sarebbe troppo da chiedersi. Perché, per esempio, per uno sportivo è tanto difficile dichiararsi. La domanda è retorica, il perché lo sappiamo tutti; ed il problema è questo: che lo sappiamo tutti. E che non facciamo niente per risolvere la situazione.

Ma non affrettiamo i tempi. Ian è solo uno dei tanti sportivi gay che stanno venendo allo scoperto, segnale che forse qualcosa sta cambiando. Jason Collins (basket) ha fatto coming out quest’anno; Tom Daley (tuffi) l’anno scorso; Thomas Hitzlspelger (calcio, ha giocato anche nella Lazio) lo ha dichiarato a Gennaio. Gareth Thomas (rugby) lo dichiarò nel 2009. Questi atleti hanno fatto sicuramente un passo avanti nell’accettazione dell’omosessualità nello sport ma hanno fatto abbastanza? La maggior parte di loro si è dichiarata a carriera finita. Thorpe non nuota più; Hitzlspelger s’è ritirato un anno prima di dichiararsi; Thomas lo ha fatto a 35 anni; Jason Collins anche ha aspettato l’ultimo anno di carriera per fare il “grande passo”. Il solo Daley per ora è in attività, tra quelli citati. In compagnia di un’altra leggenda dello Sport Gay, Glenn Burke. Burke fu un giocatore di baseball della Major League negli anni dal 1976 al 1978, dichiarato per tutto questo periodo di tempo – dirà che nel ’78 probabilmente tutti lo sapevano. Il povero Glenn è stato l’unico giocatore della Major Leauge di baseball dichiarato (“così non potranno più dire che un gay non può giocare nella Major League”), e non è stato facile: si racconta che alcuni suoi compagni non vollero farsi la doccia con lui, e che per salvare la carriera gli fu proposto di sposare una donna per finta. Purtroppo è morto nella battaglia all’AIDS nel 1995, ma quello che ha fatto rimarrà un piccolo pezzo di storia. Quanti altri avrebbero fatto come Burke? Il povero Thorpe a malapena riusciva a guardarsi allo specchio, Hitzlspelger era paralizzato dall’ambiente che lo circondava, figuriamoci Gareth Thomas.

Ma abbiamo accennato a tutti gli sport, tranne che al nostro: il tennis. Bhé nel tennis abbiamo.. abbiamo.. chi abbiamo?
C’è il settore femminile, che finora non è stato preso in considerazione. E’ sbagliato pensare che sia più facile dichiararsi lesbiche che gay. Non è mai facile, a prescindere. Basti pensare alle battaglie che dovette affrontare Billie Jean King, sia per via del matrimonio, che per via dei pregiudizi, in particolar modo di Margaret Court, della quale facciamo volentieri a meno di citare l’opinione; ed ancora a Martina Navratilova, che perse, per dirne una, tutti gli sponsor. E, ultima ma non ultima, anzi prima, Amelié Mauresmo, vera eroina che si dichiarò apertamente a 19 anni e ne sopportò il giogo per tutta la carriera; la francese non perse gli sponsor, ma si sentì dire di essere ”metà-uomo” da parte della Hingis e la Davenport rincarò con un “E’ come giocare con un uomo” prima di scusarsi. E come dimenticare Casey Dellacqua, che non avrà vinto degli Slam ma merita un posto in quest’elenco per come ha saputo trovare l’equilibrio tra la sua sessualità e la sua carriera: ora ha un bambino e una compagna, ed in concomitanza esprime il suo miglior tennis. Per non parlare di tutti i rumors che si sono susseguiti sulle varie Virginia Wade, ultima britannica a vincere Wimbledon nel centenario (che alla domanda su un possibile figlio rispose: “Un figlio dovrebbe avere una madre ed un padre..”), Betty Stove, che fu proprio avversaria della Wade, Hana Mandlikova, che pure si sposò (più per la cittadinanza) ed ora aspetta un bambino che pare che crescerà con l’amica e personal trainer Liz Resseguie; Maria Bueno, Jana Novotna, poi allenata dalla Mandlikova; ed altre che magari non si sono mai scoperte ufficialmente ma stando alle voci di corridoio erano conosciute da molti, a tal punto che negli anni ’70 si vociferava ci fosse una maggioranza di giocatrici lesbiche nella top10 della classifica mondiale. Senza voler insinuare alcunché, non avendone certezza, c’è da sottolineare come tra donne e uomini nel tennis in fatto di omosessualità ci sia un baratro di notizie.

Assolutamente possiamo parlare solo di eroine e non di eroi. Purtroppo non esiste un solo tennista moderno uomo che possa essere ricordato anche per essere omosessuale. Direte voi: c’è Bill Tilden. Big Bill non fa testo (purtroppo). Tilden ha vissuto in un’epoca totalmente estranea alla nostra (inizi del ‘900), dove essere omosessuali era malvisto ed anzi illegale. La sua sessualità era conosciuta attraverso rumors e qualche guaio con la legge. Per il resto, dal 1953 (anno della morte di Tilden) al 2014 non c’è traccia di tennisti gay nel circuito (ve ne vengono in mente alcuni? Segnalatemeli!). Perché?

Stavolta non è una domanda retorica. Stavolta è una domanda seria, ed anche un po’ piccata. Possibile che il nostro sport sia così ”indietro” da questo punto di vista? Il tennis non è il calcio, non è il rugby, è sicuramente un ambiente più facile nel quale fare coming out. Non è uno sport di squadra ed il pubblico è meno gretto rispetto a quelli di altri sport. Il tennis risulta lo sport più cosmopolita tra quelli mondiali. Tanto è stato fatto nella lotta al razzismo. Le storie di Althea Gibson, Arthur Ashe, le sorelle Williams, ma anche l’Asia nascente nei risultati di Zheng, Kimiko-Date, Nishikori, Li Na. Tanto ancora è stato fatto dal punto di vista dell’integrazione dell’immigrazione: gli USA qui fanno da faro con i nomi di Chang, Navratilova, Seles per citarne alcuni, ma anche la Francia con Mladenovic per citare un nome meno noto. Eppure manca ancora questo ultimo gradino, manca ancora l’accettazione dell’omosessualità (maschile). E’ impensabile che su 100/200 giocatori in attività, per non contare quelli degli anni passati, non ci sia un solo tennista gay. La verità è che nessuno vuole fare il primo passo. Quando non c’è il colore della pelle, o il cognome, a rendere manifesta a tutti la diversità, allora non è più così spontaneo lottare e dare il proprio contributo alla causa di molti, fintanto che è più conveniente rifugiarsi nel buio e far finta che non gli appartieni, che non è affar tuo.

Servono veri uomini, che abbiano il coraggio di mettere la prima pietra, che abbiano il coraggio di essere se stessi e modello per gli altri, in primis per i milioni di ragazzi che faticano ad accettarsi come omosessuali, in secundis per gli altri tennisti ed atleti che faticano ad immaginare di poter dichiararsi nel loro ambiente. E non parlo di ex-tennisti, che hanno smesso la loro attività sportiva e possono permettersi il lusso di dichiararsi a qualche televisione ”tanto ormai la carriera l’ho finita” (con tutto che apprezzo quello che ha fatto gente come Thorpe, Thomas etc.). Servono veri uomini, che tutti i giorni prendano in mano la racchetta e si allenino, e giochino tornei, e vincano e perdano. Soltanto veri uomini possono dare una svolta a questa situazione sociale e sportiva. Soltanto loro possono infrangere l’ennesimo tabù, e non dalla poltrona di uno show televisivo, ma scendendo in campo ogni giorno sia per continuare la propria carriera sia per combattere la lotta al pregiudizio, al luogo comune, allo stereotipo. Servono veri uomini, quelli che per ora non sono nascondendosi piuttosto che contribuendo ad un fine superiore. Da qui quel titolo forse provocatorio, fatto non certo per declassare chi è omosessuale, ma per far passare un messaggio.

Si faccia avanti qualcuno, gli altri seguiranno a ruota, e non parlo solo di tennis stavolta, ma anche dei gay nel calcio, nel basket e negli altri sport. I tempi per abbattere ogni barriera e tabù tra sport e sessualità sono maturi. E’ solo questione di coraggio.

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