Michael Chang, pronto per "La Grande Sfida" (17 e 18 ottobre) a Genova e Milano

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Michael Chang, pronto per “La Grande Sfida” (17 e 18 ottobre) a Genova e Milano

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TENNIS – Roland Garros, 5 giugno 2014. L’Equipe pubblica un’intervista a Michael Chang, di cui riproponiamo in italiano alcuni passi significativi. 25 anni dopo il leggendario match vinto contro Ivan Lendl, il campione statunitense ritroverà il celebre ex tennista ceco il 17 e il 18 ottobre a Genova e a Milano nella 3a edizione de “La Grande Sfida”, organizzata da Ernesto De Filippis del MCA Group. Commento e traduzione di Laura Guidobaldi

Clicca qui sul sito de “La Grande Sfida” per conoscere tutti i dettagli : biglietti, orari e quant’altro.

Impossibile dimenticare il celeberrimo servizio da “sotto” – “à la cuillère”, come dicono i francesi – scodellato a Ivan Lendl nell’ottavo di finale del Roland Garros in quel 5 giugno 1989. L’allora giovanissimo americano di origine cinese, nato il 22 febbraio 1972, beffò e sorprese l’imperturbabile campione cecoslovacco, battendolo 4-6 4-6 6-3 6-3 6-3. Non solo ascrisse in tal modo il proprio nome nella storia del tennis, ma dimostrò inoltre un’intelligenza e un’intuizione sportive tra le più sottili e rare.

A chi altro sarebbe venuto in mente, in preda ai crampi, di sfoderare un servizio “à la cuillère”, rapido e tagliato e, per giunta, avanzare poi sino al quadrato del servizio per rispondere alla battuta sul matchpoint a proprio favore? Forse a nessun altro. Ad ogni modo, Michael Chang quell’anno era certamente un predestinato poiché, alcuni giorni dopo, vinceva in finale il major parigino contro uno dei “principi” del tennis, lo svedese Stefan Edberg diventando il più giovane di sempre ad alzare al cielo la Coupe des Mousquetaires.

Da allora ne ha fatta di strada “Michelino”, come lo chiamava Gianni Clerici nelle sue telecronache. N. 2 del mondo nel 1996 e vincitore di 34 titoli, tra cui 7 masters 1000, è rimasto per più di 6 anni di fila nei primi 11 giocatori al mondo. Oggi lo statunitense è allenatore di Kei Nishikori, uno dei giovani di successo più brillanti del circuito. Ma non solo. Michael partecipa all’Atp Champions Tour e, proprio nell’ambito del circuito dei campioni, sarà presente a Genova e a Milano il 17 e il 18 ottobre per la 3a edizione de “La Grande Sfida”, organizzata da Ernesto De Filippis del MCA Group.

Il celebre evento tennistico vedrà l’ex n. 2 del mondo opposto proprio al suo storico avversario di quel leggendario match, Ivan Lendl. Le altre due grandi star che prenderanno parte alla manifestazione saranno nientemeno che “Big Mac”, John McEnroe e la “leggenda” croata Goran Ivanisevic.

Traduzione di Laura Guidobaldi

D. Lo sa che molte persone pensano che il suo indimenticabile match contro Ivan Lendl nel 1989 fosse la finale?

R. Lo so, lo so. È strano perché la finale contro Stefan [Edberg] è stato qualcosa di speciale. Stavo perdendo 2 set a 1… Ma è vero che l’ottavo di finale contro Ivan resterà molto di più nella memoria (4-6 4-6 6-3 6-3 6-3). È il match più drammatico che abbia mai giocato.

D. Era in preda ai crampi, non poteva neanche più sedersi ai cambi di campo…

R. I crampi sono arrivati alla fine del 4° set. Orribile. A 2-1 al 5°, stavo per ritirarmi. Ero arrivato alla linea del servizio quando mi stavo avvicinando all’arbitro Richard Ings per dirgli che era finita. Non potevo più muovermi tanto mi faceva male il polpaccio. Pensavo soltanto : “Non posso vincere questo match. È impossibile”. Si metta al mio posto : sono un ragazzino di diciassette anni, sono di fronte al n. 1 del mondo, per 3 volte vincitore del French Open, e non posso più correre altrimenti il crampo mi fa vedere le stelle. Quindi mi dicevo : “Cosa cambia se mi ritiro adesso? Avrò comunque disputato un gran match”. Mi vedevo già di ritorno nello spogliatoio con gli altri giocatori che mi avrebbero dato una pacca sulla spalla per dirmi “Good job, boy !”. Mi vedevo in conferenza stampa con i giornalisti che mi dicevano : “Ok, hai perso, ma che match ! Wow, che match !”. Ma mi contrariava ritirarmi perché, le volte successive, qualora fossi stato nuovamente nella stessa situazione di sofferenza, in un match o nella vita, non sarei stato forse tentato di rinunciare ancora? Non avevo voglia di avere, nello spogliatoio, l’immagine del ragazzo che rinuncia. E poi, quando sono arrivato alla linea del servizio, a 2-1 al quinto, ho sentito nel mio cuore un’incredibile chiamata.

D. Una chiamata, quale chiamata?

R. Era come se Dio si rivolgesse a me e mi dicesse : “Michael, cosa fai?” Dio voleva che, vincitore o sconfitto, andassi fino alla fine.

D. Quel match è anche il servizio “à la cuillère” sul 4-3 15-30 nel 5° set. Ne ha tentato un altro successivamente?

R. No, mai. Per divertimento, servo “à la cuillère” quando disputo un’esibizione. Alla gente piace. Mentalmente, quel servizio aveva turbato Ivan. Quell’ispirazione è stata cruciale (sul matchpoint Chang aveva ancora “bluffato” avanzando, per rispondere alla battuta, fino al quadrato del servizio).

D. È mai riuscito a parlare  di quel match con Ivan? Oppure è per sempre un tabù?

R. Con Ivan ci siamo spesso incontrati dopo quell’episodio. Sul circuito dei Senior o all’inizio della stagione prima che si separasse da Murray. Abbiamo giocato a golf insieme. Abbiamo parlato di tutto, di un sacco di cose. Ma di quel match, mai. Quando sono arrivato nel circuito, ho sentito tante storie sul conto di Ivan. Si diceva che in allenamento gli piaceva provocare i giocatori che scendevano a rete. Ma con me non si è mai comportato così. Forse perché ero un ragazzino. Le due volte in cui l’ho battuto è stato in 5 set. E tutte e due le volte quando stavo perdendo 2 set a 0. Una a Parigi e l’altra a Monaco, per la Coppa del Grande Slam nel 1991. Avevo vinto 9-7 al 5° dopo aver salvato un matchpoint. Anche dopo quel servizio da sotto, Ivan non è mai stato aggressivo con me. È una brava persona, con un senso dell’umorismo fantastico.

D. D’accordo, ma era stato molto severo con lei dopo un’esibizione nel 1988. Ci racconti…

R. Non avevo mai affrontato Ivan prima del Roland Garros del 1989 ma ci avevo giocato un’esibizione l’anno prima. Avevo 16 anni e lui era n. 1 del mondo. Prendo 6-2 6-3. Non c’è partita. Dopo, rientriamo insieme in albergo. Nella limousine ci siamo Ivan, sua moglie Samantha, mia madre ed io. All’improvviso, Ivan mi dice : “Sai perché hai perso oggi?” Certo, ero sorpreso ma avevo voglia di saperlo. Quindi Ivan mi ha detto : “Non hai il servizio. La tua seconda palla non ha niente. Ti muovi molto bene ma non hai armi e potenza per farmi male. Con quel gioco non sopravvivrai nel circuito”.

D. Ah sì, però… Perché l’ha fatto?

R. Non voleva dirmi : “Non vali niente”. Né umiliarmi né buttarmi giù. È stato per scuotermi. L’ho ringraziato. Quando un coach vi parla in modo così crudo, è il vostro coach quindi….Ma quando il miglior giocatore del mondo vi scuote così, ha più peso. Quel ragazzo sa di cosa parla. L’anno dopo, nel 1989, un mese e mezzo prima del Roland Garros, ritrovo Ivan per un’esibizione ad Atlanta. Sulla terra rossa. E vinco. 7-5 al terzo.

D. Lei appartiene a una generazione prodigiosa (Jim Courier, Andre Agassi, Pete Sampras, Todd Martin…). Oggi, dopo il ritiro di Andy Roddick, il tennis americano è un po’ in dormiveglia. Cos’è che non va?

R. È una cosa complessa. Innazitutto non so se ritroveremo una generazione più forte della nostra. Le transizioni sono spesso diffcili. È successo in Svezia, in Germania. Un’altra cosa : se Roddick non fosse capitato in pieno nei migliori anni di Federer avrebbe vinto 3 volte Wimbledon. La mondializzazione del tennis ha avuto un impatto su di noi. Guardi, oggi, tra i migliori abbiamo un serbo (Djokovic), un lettone (Gulbis), un bulgaro (Dimitrov), un canadese (Raonic), ecc.

D. E lei, invece di aiutare il tennis americano, preferisce allenare un giapponese….

R. (Ride). Non volevo a tutti i costi essere allenatore. I viaggi, ne avevo fatti abbastanza. Se non fosse stato Kei (Nishikori) avrei detto di no. Alcuni anni fa, avevo partecipato con lui ad un’esibizione a Tokyo. Mi ci sono trovato bene. C’è anche il fatto che Kei assomiglia al giocatore che ero. Piccola taglia e molto mobile.

D. C’è ancora futuro per questo tipo di fisico?

R. C’è ancora posto per la strategia? Sì. C’è ancora posto per la velocità? Sì. È ancora possibile essere tra i migliori senza misurare 2 metri d’altezza e servire a 220 km/h. Quando ho detto di sì a Kei, le mie radici asiatiche hanno avuto un peso nella decisione.

D. Appunto, nel 1989, durante il Roland Garros, scorreva il sangue sulla piazza Tian’anmen. Guardava le informazioni durante il torneo?

R. Absolutely ! La mia famiglia viene dalla Cina. Il massacro di Tian’anmen è successo la domenica nel bel mezzo del torneo. È una delle ragioni che hanno fatto sì che Dio mi abbia permesso di vincere. Il senso di quella vittoria non era : “Michael Chang, diciassette anni, il più giovane vincitore di Slam”. Il senso era dare un po’ di felicità al popolo cinese che stava soffrendo. Durante quel Roland Garros, quando non giocavo, ero davanti alla CNN.

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