ATP Finals: le grandi finali del Masters

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ATP Finals: le grandi finali del Masters

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TENNIS ATP FINALS – Novak Djokovic contro Roger Federer per lo scettro delle Finals. Sarà una grande finale? Nell’auguro che lo sia vi riproponiamo una lista delle finali che hanno lasciato un segno nel torneo

Mancano poche ore all’atto conclusivo dell’edizione delle ATP World Tour Finals di quest’anno. Un torneo controverso e mai all’altezza delle aspettative che, a dispetto del nome, di magistrale ha regalato ben poco fin ora (derby svizzero a parte). E allora non rimane che confidare nell’ultimo match rimasto da disputare – se proprio vogliamo ignorare il torneo di doppio, che invece ha saputo regalare grande spettacolo – e sperare che almeno la finale sia all’altezza della caratura dei nomi in gioco. Già perché, nonostante la formula del Masters coinvolga i migliori 8 della classifica mondiale, non per questo le finali delle precedenti edizioni sono state sempre sinonimo di spettacolo e di emozioni garantite. Molte volte, abbiamo assistito a finali a senso unico. Alcune altre, invece e per fortuna, sono entrate di diritto nella storia dei match più belli del circuito. Sperando sia l’augurio di una finale con la F maiuscola, vi proponiamo una carrellata dei migliori atti conclusivi delle precedenti edizioni:

 

New York 1978, Mc Enroe vs Ashe 67 63 75 


E’ l’ultimo Masters di Arthur Ashe, che poco dopo la finale annuncia il ritiro. La finale dell’edizione 1978 è un passaggio di consegne. Nel round robin SuperBrat ha quasi umiliato il vecchio campione: 63 61 con appena un errore gratuito. In finale la partita è diversa. McEnroe spreca tre set point con altrettanti doppi falli e perde il primo al tiebreak. Il mix di calma e talento porta Ashe avanti 4-1 nel terzo. Ma al settimo gioco McEnroe trova il controbreak. Salva due match point con Ashe avanti 5-4, nell’undicesimo game firma un nuovo break, decisivo, con un tracciante di rovescio e completa il primo grande successo della sua carriera. “E’ stata molto più dura rispetto al girone” dice McEnroe. “Oggi speravo solo Ashe non riuscisse a dimostrare fino in fondo che gran giocatore è”

 

New York, 1977: Connors-Borg 6-4 1-6 6-4


Connors, Borg, Vilas: chi è il vero numero 1 del 1977? Il computer dice Connors, gli argentini dicono Vilas. Il Masters lascia aperti tutti i dubbi.

Vilas il poeta, che aveva venduto 15 mila copie della sua prima raccolta (Cientoveinticinco) e in giro per il mondo lavorava alla seconda, batte Connors. L’argentino era ammirato per il suo stile letterario anche da Jorge Luis Borges che commentava così: “E’ come immaginare me che gioco a tennis”. Il suo coach, Ion Tiriac, gli dimostra con successo come battere in intelligenza Connors: Vilas si impone 64 36 75, con una serie di proteste dell’americano contro i giudici di linea, come nell’ultimo precedente, vinto in quattro set da Connors agli Us Open. Non riesce però a convincerlo della fragilità di Borg. La paura, quella “maledetta paura, così fredda, inerte e inespressiva” come scrive in una delle sue poesie, lo frena. In finale, però, il triangolo si completa. Connors batte Borg, che aveva battuto Vilas, che aveva battuto Connors.
L’americano chiude 64 16 64. Connors è devastante nel primo set, in cui firma il break al terzo game. Ma nel secondo, Borg inizia a servire meglio e ad attaccare di più sul dritto di Connors che perde il servizio tre volte. Borg allunga sul 3-1 nel terzo, ma subisce il controbreak nel sesto gioco: Connors completa l’aggancio con una volée e con un vincente aiutato dal nastro.
Borg, che manca 27 prime di servizio su 42 nel terzo set, deve salvare tre palle break nell’ottavo game. Ma il break arriva nel decimo: Connors infila gli ultimi quattro punti del match con un dritto lungolinea, una volée smorzata di rovescio, un dritto incrociato e un’altra volée vincente sul match point.

 

New York, 1981 Lendl-Gerulaitis 6-7 2-6 7-6 6-2 6-4 

New York, 1981. Lendl porta il tennis nell’era moderna. Il quarto turno degli Us Open è la sfida del passato, delle racchette di legno e del serve and volley, contro il futuro. Per l’ultima volta, l’arte riuscì a imporsi. Gerulaitis, il tennista “tutta Vitas”, amico di Andy Warhol, sempre presente allo Studio 54, che riusciva a combinare nightlife, cocaina e volée, vince i primi due set: 6-3 6-4. Mentre Lendl si chiede dove sia finita la sua solidità, Gerulaitis fa l’unica cosa che non deve fare: comincia a giocare da fondo nel terzo. Il ceco ritrova il controllo e con un doppio 6-3 spinge il match al quinto. Un doppio fallo, sul 3-3, porta Lendl 0-40; sulla seconda palla break, manda un rovescio largo. Gerulaitis si trova così a servire per il match sul 5-4. va 0-40, salva tre palle break e vince 6-4. La seconda palla break è particolarmente eloquente: Gerulaitis serve e scende, Lendl prova il passante di dritto, ma Gerulaitis ci arriva e chiude con la volée.

Gerulaitis, dopo il successo, uno dei più importanti della sua carriera, viene multato perché non si è presentato alla conferenza stampa. Scappa nella sua Rolls Royce gialla perché, dice, “devo andare a fare la spesa”.

Si ritrovano al Madison Square Garden per il Masters, a gennaio 1982. Anche qui Gerulaitis vince i primi due set. Ha un match point sul 6-5 nel tiebreak del terzo, ma Lendl lo cancella con un preciso vincente di dritto. L’incontro gira e Lendl, battuto 12 mesi prima da Borg, conquista il primo titolo di prestigio della sua carriera.
E’ il primo dei suoi cinque Masters. La seconda di nove finali consecutive per Ivan il terribile, la vera costante del Masters targato anni ’80.

New York, 1988: Becker-Lendl 5-7 7-6(5) 3-6 6-2 7-6(5)

Una delle più straordinarie rivalità della storia del tennis. In quel momento i precedenti erano 7-5 in favore di Lendl (saranno 11-10 alla fine), ma Becker aveva vinto l’ultimo scontro diretto sull’erba (quella vera) di Wimbledon. La finale dell’edizione 1998 fu meravigliosa, per giocate ed intensità. Per non parlare del finale degno di Hitchcock. Il ceco era riuscito a portarsi per due volte avanti d’un set, ma Boris riuscì e recuperare entrambe le volte. Sul 5-5 del quinto l’apparente svolta. Lendl breakka Becker e può servire per il suo sesto Master. Ma mai vendere prima la pelle dell’orso quando in campo c’è Boris Becker. Il tedesco reagisce, contro-breakka il numero uno del mondo e si gioca il titolo al tie-break decisivo del quinto set (prima volta nella storia del Master). Senza troppo tergiversare, arriviamo subito al momento clou. Sul 6-5 in favore Becker, inizia uno scambio incredibile di bordate mozzafiato, interrotto dopo 37 tiri da un nastro beffardo, che consegna il primo dei suoi tre titoli al fuoriclasse tedesco.

Francoforte, 1990: Agassi-Edberg 5-7 7-6 7-5 6-2
Dal 1990 il Masters lascia il Madison Square Garden. La prima sede scelta per il post New York è Francoforte. In finale arrivano Agassi e Edberg. Si sono già affrontati nel round robin, e ha vinto lo svedese. Ma in finale la storia è diversa. Non è una novità: è successo 15 volte nella storia, e in 9 occasioni chi ha perso nel girone ha vinto il titolo. E’ un match bello e strano, con cinque break nel primo set e sei falli di piede, cinque dei quali chiamati contro lo svedese.

Agassi ha un po’ di febbre e deve chiamare l’intervento del trainer Bill Norris sul 4-2 nel primo set. Dopo una serie di break e controbreak, Edberg serve per il set sul 6-5. Sul 40-15 gli chiamano un fallo di piede sulla prima e commette doppio fallo. Spreca anche il secondo set point con una volée smorzata a rete. Ma al quarto set point, Agassi cede con una risposta lunga.

Il secondo, invece, procede seguendo i turni di servizio fino al tiebreak che Agassi chude 7-5 con un passante vincente. Edberg regala un break in avvio di terzo set con un doppio fallo. Tre game più in là trova il controbreak nel punto più memorabile della serata. Dopo uno scambio lungo in cui è stato spesso costretto in difesa, Edberg trova un dritto che sembra fuori per quasi tutti gli spettatori della FRankfurt Festhalle ma non per il giudice di sedia
Dopo due doppi falli nell’undicesimo game, Edberg cede il terzo set e praticamente la partita.

 

Hannover, 1998: Corretja-Moya 3-6 3-6 7-5 6-3 7-5

E’ una delle finali meno nobili, guardando il palmares dei protagonisti. Di certo è la più sorprendente. Ma qualità non è mancata e il pathos c’è stato davvero. Corretja è riuscito a battere Sampras 76 al terzo in semifinale e dato vita alla prima finale tutta spagnola nella storia del Masters. Gli schemi non sono quelli usuali per i due: tante discese a rete, variazioni continue e tante emozioni per la finale più lunga dell’anno. “Mi dispiace Carlos” ha detto Corretja a fine partita, “so come ti senti”. Moya spreca un vantaggio di due set e non chiude nemmeno dopo essere stato avanti 3-1 nel quinto. Corretja diventa il primo spagnolo a vincere il Masters dopo Orantes (Houston 1976) e dedica la vittoria agli zii scomparsi da poco.

Houston, 2003: Federer b. Agassi 6-3 6-0 6-4
Il Masters 2003 chiude una stagione stellare per Roger Federer. Un anno segnato dal primo dei sette titoli a Wimbledon e dal primo dei sei successi al Masters. Nella finale di Houston, interrotta per due ore e mezza a causa della pioggia nel secondo set, c’è Agassi. Si sono affrontati anche nel round robin: Federer ha vinto dopo aver salvato due match point. In finale invece non c’è storia. Agassi, che solo pochi mesi prima era tornato per l’ultima volta numero 1 del mondo, è annichilito dai vincenti di Federer.

 

Shanghai, 2005: Nalbandian b. Federer 6-7 6-7 6-2 6-1 7-6 
Dopo la pioggia che ha devastato l’edizione 2004, con una finale ridotta al meglio dei tre set e giocata di sera tardi, il Masters non si giocherà più all’aperto. Dal 2005 trasloca in Asia, a Shanghai. Federer non è al meglio. Mentre si sta allenando con l’amico Michael Lammer al Paradies Club, di proprietà del direttore del torneo di Basilea, Roger Brennwald, sente un dolore al piede destro. I raggi X rivelano una lesione al tendine. A meno di tre mesi dal Masters, lo svizzero cammina con le stampelle. Ma grazie all’intenso lavoro di riabilitazione con Paganini torna a giocare, firma in semifinale contro Gaudio la prima vittoria 60 60 della sua carriera e arriva in finale contro David Nalbandian.

Federer vince i primi due set, ma quando completa il punto del 13-11 che gli consegna il tiebreak del secondo, il cronometro segna 2 ore e 20 minuti di gioco. E le sei settimane senza allenamento iniziano a farsi sentire. Nalbandian vince 16 dei successivi 19 game e si ritrova in vantaggio 4-0 nel quinto set. Ma Federer non ci sta. Rimonta. Completa l’aggancio sul 4-4, ottiene il break, va a servire per il terzo titolo di fila sul 6-5 e arriva a due punti dalla vittoria (30-0). “Non posso andare a casa così” pensa Nalbandian che infila quattro punti straordinari e firma il controbreak prima di dominare il tiebreak 7-3.

La sconfitta interrompe la serie di 35 vittorie di fila di Federer. Se avesse vinto, lo svizzero avrebbe eguagliato il record di 82 successi in 85 partite di McEnroe nel 1984. Nalbandian diventa così il secondo, e finora ultimo, argentino ad aver vinto il Masters dopo Vilas, che ha conquistato il titolo a Melbourne nel 1974.

 

Londra, 2012: Djokovic-Federer 7-6 7-5

Non si poteva desiderare finale più bella per quel Masters 2012, con il n.1 e il n.2 del mondo che disputavano il 29° confronto in carriera. Federer risorto dopo l’ennesimo periodo in cui qualcuno lo paventava fuori dalle scene, con una mirabolante vittoria sui prati di Wimbledon. Un Djokovic stratosferico che aveva giocato 3 finali Slam (salvo vincere solo in Australia) e una semifinale, non ingiocabile come ai livelli del 2011, ma con la stessa fame. La finale che tutti volevano e tutti desideravano, nella cornice di Londra al tempo aveva ospitato anche le Olimpiadi. 

Un confronto di stile che dava vita a scambi fantastici, sul filo dell’equilibrio, e sempre emozionanti. E non solo la qualità tecnica, la partita fu un continuo ribaltamento di fronte. Se l’elvetico riuscì a partire a razzo, dimostrando come non volesse lasciare all’avversario neanche il tempo di riprendere fiato, il serbo metabolizzò e reagi di conseguenza, riuscindo a ribaltare completamente il primo set. Da 3-0 a 4-5, il pubblico in visibilio. Ma Federer allora ebbe il guizzo del campione per non arrendersi e portare la partita al tiebreak, che fu alquanto equilibrato, salvo poi finire 8-6 per il numero uno mondiale.

Federer non ci sta e mostrando la sua immensa classe dà battaglia a Djokovic rischiando più volte di entrare in partita. Sciagurato fu quel turno di servizio sul 6-5 per il serbo. Arrivo il break decisivo, servito da un rovescio lungolinea marchio di fabbrica in casa Djokovic.

 

Oggi come allora, si ripete la stessa finale e la stessa situazione. La classifica ed i risultati dicono Djokovic, ma la fame, la voglia di tornare a zittire tutti i detrattori, e il talento che lo contraddistingue  potranno forse far ppendere l’ago della bilancia in favore di Federer? L’augurio è uno: che sia una gran bella finale, da poter aggiungere in futuro a questa lista.

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