Camila Giorgi: che si sbaglino tutti quando dicono che diventerà una top-ten?

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Camila Giorgi: che si sbaglino tutti quando dicono che diventerà una top-ten?

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Venus e Serena Williams non mollano, i francesi sì. Il ritorno dei canguri. Lo show di Djokovic, lo choc di Petra Kvitova

Tre volte a 2 punti dal match contro una Venus Williams che corre e recupera molto meglio e più di Serena (anche se rispetto a Serena serve però molto peggio, quando deve affidarsi alla “seconda”), Camila ha comunque giocato una gran partita per 2 ore e 10 minuti, cioè fino al 2-1 al terzo per Venus, quando ha annullato 7 pallebreak in un game durato 17 minute e 28 punti.

Ho visto tre tenniste italiane raggiungere dal 2009 in poi un ranking da top-ten (Pennetta, Schiavone ed Errani), altre due avvicinarsi come più non si poteva – n.11 – a quella elite, Farina e Vinci, e ancora due entrare fra le primi 15, Reggi e Cecchini, ma non ho mai avuto la sensazione di assistere ad esibizioni di una potenziale campionessa annunciata – salvo nei magici momenti del Roland Garros 2010 e 2011 per Francesca Schiavone – come quelle che ho provato vedendo giocare Camila Giorgi contro Caroline Wozniacki, Maria Sharapova e anche oggi contro Venus Williams per una lunga parte del match.

 

Con tutte le tenniste con le quali ho avuto occasione di parlare di Camila, incluse in questo torneo le sue “vittime”, Flavia Pennetta, Tereza Smitkova e la sua “giustiziera” Venus Williams, ho sentito dire le stesse cose: “Ha certamente il talento, la forza, i colpi, per diventare una top-ten”. Non mi sono mai sembrate dichiarazioni di comodo, di cortesia.

Io del resto qualche partita di tennis l’ho vista e certe qualità che ha Camila non le ho viste, come dicevo, in altre tenniste italiane che ad oggi le sono state davanti. Vedremo, il tempo è galantuomo. Magari abbiamo preso in tanti un abbaglio. Sono tante, troppe, le variabili che fanno di una ottima tennista, quale certamente Camila è già, una campionessa, quale ancora non è.

Lo diventerà? E quando? Nessuno può dirlo con certezza. Oggi, una sua risposta, a chi le chiedeva se pensava di essere ancora una tennista in attività sul circuito all’età di Venus Williams, trentaquattrenne che il 17 giugno ne avrà 35, “No, farò sicuramente qualche altra cosa”, detta senza mezza incertezza, mi ha fatto per un attimo pensare che Camila potrebbe anche non essere sempre così spensierata e felice per la vita e i sacrifici che fa per salire sempre più in alto.

Certo ha ancora voglia di impegnarsi, la sfida è ancora aperta, i sogni più belli non sono ancora realizzati (“Voglio diventare n.1 del mondo”, si legge perfino nelle sue note biografiche nel Media Guide della Wta), però la gente non immagina che non sono tutte rose e fiori, che spesso una bella ragazza vorrebbe trovarsi a fare tutt’altre cose e che per quanto il suo rapporto con il padre-allenatore che l’ha portata a questi livelli combattendo contro tanti pregiudizi sia ottimo, a volte possa anche essere pesante doversi sempre rapportare ad un genitore che le vuole un bene dell’anima ma che come allenatore pretende sempre anche molto da lei.

Vabbè, se Camila a 34 anni non avrà più voglia di misurarsi giorno per giorno su un campo da tennis ce ne faremo una ragione. Basta che non arrivi troppo prima di quella scadenza anagrafica con la nausea del tennis, una nausea che può bruciare (burn-out dicono gli americani) una più che promettente carriera.

Per ora ha certamente ancora fame di arrivare, di dimostrare che i suoi sogni non erano quelli di una ragazzina troppo presuntuosa.

Oggi ha patito la lezione dell’inesperienza, ha rimesso in corsa Venus quando ha avuto tre palle consecutive per il 5-2 che avrebbero, se trasformate, “ucciso” la partita. E poi Venus è stata brava a riuscire a sottrarsi agli scambi incrociati di dritto, nei quali era quasi sempre perdente, e ad inventarsi qualche “recupero” da grande campionessa quale forse non è più del tutto, ma che certamente è stata.

Dall’anno scorso a quest’anno Camila ha fatto grandi progressi, anche tattici. Prima le rimproveravano – anch’io eh – di non avere mai un piano B, di non sapere variare colpi e gioco, ma invece lei ha certamente migliorato il servizio – se aveste visto come ha annullato le sette palle break del terzo game sopra ricordato – anche se 15 doppi falli sono un po’ troppi (“Ma non ha mai servito seconde palle, erano tutte prime” ha osservato giustamente Venus) e quando servi 124 battute, alla fin fine forse il calcolo di tirarle tutte forti non è sbagliato: ha messo dentro 109 palle fra prime e seconde che erano quasi prime. Forse è un rischio che vale la candela. Anche se magari, un po’ più in qua, Camila penserà – senza che debba urlarglielo il padre – a giocare una prima a tre quarti di velocità e con un po’ di kick per farla stare dentro. Cosa che un anno fa non sapeva fare e oggi invece sì. Ha imparato, Camila, anche a giocare il dritto liftato sulle palle basse, “strettini” incrociati efficacissimi. Prima non li sapeva fare, tirava sempre soltanto forte. Ed è migliorata moltissimo anche a rete, anche se talvolta resta un tantino a mezza strada, dimenticando che più avanti si sta e più facilmente si chiudono gli angoli, si prende più probabilmente la palla più alta e prima che scenda pericolosamente e, infine, può bastare anche una piccola steccata per fare il punto se si è vicini alla rete. La palla corta non le viene ancora troppo naturale, ma anche di tocco Camila non è male. Quando ci ha provato ha ottenuto buoni risultati. La sua reattività sulla risposta, anche alle prime a 185 km orari di una che serve le prime come Venus, è straordinaria. Non ce l’ha quasi nessuna tennista al mondo, salvo forse Serena (o la Sharapova delle migliori giornate). A Camila manca ancora la giusta continuità, un po’ di prudente saggezza in qualche situazione in cui si lascia prendere dalla foga, ma secondo me le manca davvero poco. Deve fare i conti anche con la grande pressione che le mette suo padre in certi frangenti delicati, ma d’altra parte va anche detto che i meriti di Sergio – un po’ snobbato dai cosidetti tecnici italiani – travalicano ampiamente i demeriti. Papà Giorgi ad esempio ha la prima grande qualità di un buon coach: è un grande motivatore e pensa sempre positivo. E questo aiuta molto. Semmai penso che lui riesca ad infondere più fiducia nella figlia prima di una partita che durante la partita stessa se le cose si mettono male. Non riesce a frenare la propria emotività. E questo è forse uno dei motivi per cui a volte Camila si smarrisce. Perché non è facile dover pensare, oltre al proprio self-control, anche ad arginare quello del padre mentre sei in campo e sotto un sole cocente come quello australiano – ad esempio stai lottando da due ore.

LE WILLIAMS SONO SEMPRE LI’

Eh sì, Serena e Venus, 33 e 34 anni, ma quest’anno avranno 34 e 35, non demordono. Per la prima volta in 4 anni entrambe sono negli ottavi di uno Slam.
Venus ha passato alcuni anni bui, da quando le hanno diagnosticato il morbo di Sjogren, che è una brutta gatta da pelare per chiunque, figurarsi per un’atleta. Ho già scritto che Venus corre e recupera in allungo più di Serena. Era tanto che non era così. Le due sorelle si sono sempre sostenute a vicenda e non deve essere sempre stato facile. Anche loro hanno attraversato momenti difficili, brutti , dalla morte di una sorella alla separazione del padre e della madre, ai diversi infortuni fisici che le hanno via via colpite. Anche Serena, ricorderete il suo rischio di trombosi, le ferita al piede, i mesi fuori dal circuito. Però sono sempre supercompetitive, Venus è praticamente risalita a n.12 del mondo anche se dovesse fermarsi in ottavi con la Radwanska (4-3 per lei i confronti diretti ma la polacca ha vinto gli ultimi 3), dopo averli centrati per la prima volta dopo Wimbledon 2011. La Radwanska, per inciso, ha goduto di un buon tabellone ma alle sue avversarie, Nara, Larsson e Lepchenko, ha dato sempre almeno un 6-0 e in 6 set vinti ha concesso appena 9 games, di cui 5 oggi. Agnieszka potrebbe pagare il non aver affrontato fin qui un vero test, ma il suo gioco solido e regolare sembra fatto apposta per contrastare con maggiore continuità di Camila, il tennis di Venus.
Serena è attesa da quella Muguruza che l’ha battuta all’ultimo Roland Garros e che è certamente una delle nuove leve più interessanti e promettenti, certo più forte del suo ranking attuale, n.24. Ma insomma anche se ogni tanto Serena traballa, e oggi nel primo set con la Svitolina ci si domandava che cosa avesse, si ha sempre la sensazione che Serena possa fare il bello e il cattivo tempo, nel senso che se gioca bene non ce n’è per nessuna. Ma al tempo stesso tutte scendono in campo contro di lei con la speranzella di sorprenderla, come non accadeva prima.
Serena (17 Slam) che si è accorta dallo scoreboard della Rod Laver Arena mentre stava giocando contro la Svitolina che Venus stava vincendo 4-1 contro Camila al terzo ha raccontato: “Beh mi sono detta, se Venus ce la fa ad arrivare al 4 round con tutto quello che ha avuto, la sua malattia, con tutto quello che ha dovuto passare, io sto perfettamente bene e allora dovrei riuscirci anch’io“. Venus (7 Slam) ora è supermotivata, molto determinata e super rilassata allo stesso tempo. E Venus parlando degli anni che passano: “Serena ed io parliamo più di tutte quelle giocatrici che non giocano più e non ci sappiamo spiegare perché noi invece siamo ancora qui a lottare. Quando scendi in campo non ci sono più discorsi di età, di altezza, di nulla. È sempre un match alla pari. Devi fare il punto e basta..” Le è stato chiesto: Serena ha detto che vedendoti avanti nel punteggio ha trovato la giusta motivazione …e te l’hai trovata in Serena? E lei: “Certo…dal ’97. Il modo in cui lei affronta la sua vita, il suo essere senza paura sul campo, tutti possono imparare qualcosa da lei. Se non ci fosse stata Serena non credo che avrei potuto fare le cose che ho fatto”.

IL RITORNO DEI “CANGURI”

Dopo oltre una decade, quasi due, in cui il tennis australiano è vissuto praticamente di solo Hewitt, questo torneo ha fatto vedere che la nuova generazione degli australiani potrebbe dare nuova linfa ad un tennis che per un lungo periodo è stato il più forte del mondo, i Tomic, i Kyrgios, i Kokkinakis, faranno parlare di sé per almeno un quinquennio, forse un decennio. E prima o poi, scommetterei, vinceranno una Coppa Davis se resteranno uniti sotto la guida di Pat Rafter e del futuro capitano di Davis Lleyton Hewitt.
Anche perché negli incontri casalinghi potranno affrontare i “terraioli” sull’erba e senza le difficoltà di fuso orario e acclimatamento che avranno le altre squadre.

LA FRANCIA E’ ANDATA K.O. AL CONTRARIO DELLA SPAGNA

Con la sconfitta di Simon dopo oltre tre ore e mezzo di battaglia contro Ferrer, e quella della Cornet con “Cipollina” Cibulkova (sei setpoint annullati alla francese dalla slovacca qui finalista un anno fa), il tennis francese è sparito… dall’Australia! Come gli è spesso successo prima degli ottavi. Ma i francesi (maschi) non vincono un Slam da quasi 32 anni, quindi…
Erano in 12, come gli spagnoli, all’inizio del torneo i Paesi più rappresentati.
Solo che gli spagnoli, in barba a quella vecchia tradizione che li voleva fortissimi sulla terra rossa e deboli sui campi duri, invece su questi campi che tutti definiscono superveloci, sono ancora in quattro in piena lizza. Peraltro sono tennisti che sui campi rapidi non sono a disagio. Nadal ha vinto questo torneo, Ferrer, Feliciano Lopez (vittorioso su Janowicz) e Garcia Lopez giocano altrettanto bene sul “veloce” che su campi più lenti, anzi.

IL CANADA SI DISTINGUE IN AUSTRALIA

Raonic non ha un gioco che entusiasma però è diventato sempre più regolare su alti standard. Buone soddisfazioni quindi per Riccardo Piatti e Ivan Ljubicic. Negli ultimi 4 Slam Milos ha sempre raggiunto almeno gli ottavi, andando anche più in là. Sarà contento il mio vecchio amico e collega Tom Tebbutt che pure essendo canadese da quattro anni scrive la quotidiana presentazione dell’Open d’Australia sul depliant che viene distribuito qui. Chissà se i colleghi australiani avranno gradito…di essere stati scavalcati da un giornalista canadese. Non avrà certo gradito, fra gli altri, il giornalista australiano più noto, Craig Gabriel, discreto nel fare radio, ma davvero non un talento quando scrive. Tuttavia mi immagino quale altro Paese avrebbe “ingaggiato” uno straniero per il suo “programma” quotidiano. Di certo non l’Inghilterra. Mentre anni fa negli Stati Uniti l’editore Harold Zinman scelse per quasi un decennio Rino Tommasi per scrivere i pronostici del giorno. E al Roland Garros non “ingaggerebbero” mai un belga.

NOVAK DJOKOVIC SOLITO SHOWMAN

Non ha avuto vita facile Novak Djokovic contro un Verdasco molto motivato e vicino al rendimento di quando qui impegnò Nadal allo spasimo in una memorabile semifinale di 4 ore e passa. Ma una volta domato, dopo aver mancato un sacco di breakpoint nel primo set, il mancino spagnolo, Novak ha potuto celebrare la vittoria che lo avvicina al sogno di conquistare il quinto Australian Open (era anche il traguardo cui mirava Roger Federer) facendo…gli auguri alla sua mamma che compieva gli anni. Lo ha fatto strappando il microfono a Jim Courier al termine della rituale intervista: “Oggi è il compleanno di mia mamma Diana, vogliamo cantargli un ‘Happy Birthday’ tutti insieme?“. Manco a dirlo tutti gli spettatori della Rod Laver Arena l’hanno seguito. Non ricordo che nessun altro giocatore lo avesse mai fatto, per la propria mamma. Ma Novak è un grande showman, un personaggio che sa essere padrone della scena, simpatico, creativo, istintivo. Mamma avrà gradito certamente ma in fondo anche tutti noi.

KVITOVA ENNESIMA DELUSIONE DOWN UNDER

Una delle grandi favorite del torneo era Petra Kvitova, per chi non sapeva la sua idiosincrasia per la terra dei canguri: l’anno scorso perse dalla thailandese Kumkhum (attuale n.111 del mondo), due anni fa da Laura Robson 11-9 al terzo (ma aveva battuto la Schiavone al primo turno) e oggi è andata sotto in due set 6-4 7-5 dall’americana Madison Keys, classe ’95, n.35 del mondo. Una delle due Madison americane vittoriose oggi: l’altra è la Brengle n.64 e classe 90. In ottavi ci sarà il derby delle Madison. Peccato non poterlo organizzare al Madison Square Garden. Nella metà del tabellone su otto giocatrici superstiti 4 sono americani, appunto le due Williams e le due Madison. Serena (che ha prima Muguruza e poi eventualmente Azarenka nei quarti) e Venus che ha Radwanska e poi una Madison, si potrebbero affrontare in semifinale.

QUATTRO GRANDI SINGOLARI MASCHILI

Beh, dopo qualche giornata di programmazione poco eccitante, oggi si fa fatica a decretare quale possa essere il match meno interessante.
Se per noi italiani e per gli australiani Seppi-Kyrgios è il più atteso, per ovvi motivi, anche se i padroni di casa hanno anche Tomic contro Berdych di sicuro interesse, il Nadal incerto di questi giorni sembra poter rischiare davvero grosso contro un grande battitore come il sudafricano Kevin Anderson, particolarmente a suo agio su campi così veloci. Potrebbe arrivare da questo match la più clamorosa eliminazione dopo quella patita da Federer con Seppi.
Ma sotto il profilo squisitamente tecnico il match migliore dovrebbe risultare quello fra Andy Murray e Grigor Dimitrov. Favorito il britannico, 4-2 nei precedenti, ma nell’unico Slam a Wimbledon 2014 fu il bulgaro a vincere in 3 set. A Bercy l’ultimo duello, vinto da Murray.
Chi vincerà se la vedrà con il vincitore tra Kyrgios (che Rafter ha voluto tenere lontano dal centrale temendo la pressione e “che si possa montare la testa”) e il nostro Seppi, rivincita dell’US Open dove l’australiano vinse in tre set set nei quali ci furono anche scintille (per colpa di Kyrgios ovviamente).
L’australiano potrebbe risentire delle grandi aspettative caricate dai media del suo Paese. Andreas ha entusiasmato contro Federer, ma non ha mai amato troppo chi non gli dà ritmo e gli si presenta a rete punto dopo punto. Vedremo. Vinca il migliore? “Sperem di no” usava dire il Paron Nereo Rocco quando il suo Padova affrontava gli squadroni con le maglie a strisce.

AI CRONISTI DI UBITENNIS E AI REDATTORI

Spero ve ne siate accorti, ma coordinati principalmente – ma non solo – da Roberto Salerno (i cronisti) e da Chiara Bracco (i traduttori), Ubitennis ha offerto un panorama pazzesco di cronache su decine e decine di match e decine e decine di traduzioni. Non ci saremmo mai riusciti senza l’apporto davvero straordinario, giorno dopo giorno, di tanti cronisti che hanno fatto in piena notte miracoli per seguire tutto e di più, con un’attenzione e uno scrupolo di cui mi auguro i lettori si siano accorti. Io so che sono a loro infinitamente grato. Oltre che orgoglioso per avere messo in piedi – e non il sottoscritto che c’entra pochissimo, ma la vicedirezione e il comitato dei “saggi” semmai – tutta questa mega-organizzazione.
Credo anche che la miglior grafica con il nuovo template studiato e organizzato da Claudio Giuliani, vi abbia permesso di leggere con più agio tutto quel che abbiamo pubblicato, con un lavoro enorme dei quattro bravissimi collaboratori che sono qui in Australia con me, ma anche di tutti i redattori che in Italia – e nell’ombra, con molta meno visibilità e quindi ancora più encomiabili – hanno compiuto questo sforzo davvero enorme. Io so che, nonostante tutto, quello che ho scritto dicendo la sacrosanta verità non esimerà i nostri lettori più critici dal sottolineare errori e manchevolezze del sito, di noi tutti, ma mi piacerebbe proprio – anche se non lo scriverete – che in cuor vostro apprezzaste quello che giorno e notte tutti insieme (20/30 persone) ci sforziamo di fare. Per voi. Per il tennis che tutti amiamo in modo esagerato.

P.S. Vorrei ricordare a chi legge in inglese e in spagnolo che anche in quelle pagine tanti redattori, a casa e qui, in America, Inghilterra, Argentina e Spagna, stanno facendo un gran lavoro. Perchè non ci date un’occhiata? Non vi dico invece di cliccare sui nostri banner perchè infrangerebbe la netiquette, anche se sarebbe un modo assai gradito per sostenerci e che a voi non costa nulla.

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Editoriali del Direttore

Roland Garros: il knock down di Sinner non è un k.o. Si rialzerà. Basta non chiedergli troppo. E che non se lo chieda neppure lui

Settantacinque errori gratuiti con Altmaier fanno credere più a una eccezionale giornata negativa che a una regola. Nonostante il brutto ricordo di Cerundolo. Preoccupano maggiormente le difficoltà d’ordine tecnico e l’assenza del piano B

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Jannik Sinner - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)

Ma allora quanto accaduto a Roma con Cerundolo non è stato un caso? Di certo la delusione procurataci dalla sconfitta di Jannik Sinner con il tedesco Altmaier, n.79 del mondo, è stata cocente.

Se Jannik avesse trasformato quel matchpoint, dei due avuti, in cui “Se potessi rigiocarmi il punto smeccerei dall’altra parte…”, e poi Altmaier è stato certamente fortunato a passare Jannik a rete con l’aiuto di un nastro beffardo…non avrei certo scritto che Jannik aveva giocato bene, e nemmeno che aveva dimostrato carattere uscendo vittorioso da un confronto con un avversario molto tosto e ieri molto ispirato. Perché la sua partita sarebbe rimasta comunque brutta. Certo non da meritare iperboli elogiative.

Settantacinque errori gratuiti non è roba da Sinner. Neppure se la terra rossa non è notoriamente la superficie sulla quale Jannik si esprime meglio –e tuttavia a Montecarlo aveva raggiunto la semifinale e perso di misura con Rune – , neppure se queste palle che diventano pesanti e grandi come gatti arrotolati certamente non si adattano al suo tipo di tennis basato sulla spinta progressiva dei suoi fondamentali.

 

Ora che ha perso un match maratona di 5 ore e 26 minuti, fallendo 15 pallebreak delle 21 conquistate per aver giocato troppi punti con il freno a mano tirato; ora che aveva recuperato il break di svantaggio nel quinto set proprio quando Altmaier serviva per il match e si era fatto però subito strappare nuovamente il servizio andando sotto 0-40; ora che aveva annullato anche i tre matchpoint consecutivi sul 6-5 40-0…per giocarsi malissimo le ultime tre pallebreak conquistate grazie al “braccino” che si era finalmente impadronito del tedesco, beh di maramaldeggiare infierendo su Sinner proprio non mi vaIo non credo che siamo di fronte a un k.o. che farà di Sinner un pugile suonato e irrecuperabile. Semmai un doloroso knock-down.

Vedo dai primi commenti inviati dai lettori di Ubitennis che tanti invece infieriscono, sottolineando l’illusorietà dedle aspirazioni dei fans di Sinner che gli attribuivano e ancora forse gli attribuiscono doti simili a quelle di Alcaraz  Rune e prospettive di un Sinner campione Slam.

Tutte queste aspettative, dei suoi fan ma un po’ anche di noi tutti troppo a lungo a digiuno di campioni indigeni, hanno certamente pesato massicciamente sulle spalle di Jannik, irriconoscibile a Roma con Cerundolo e anche ieri con Altmaier.

Irriconoscibile non tanto perché abbia perso un match nel quale è stato a un centimetro dalla vittoria, ma perché ha subito quasi sempre il tennis giocato dal suo avversario. Nemmeno Altmaier fosse un Djokovic, un Alcaraz, uno Tsitsipas.

Allora adesso c’è chi parla di crisi di fiducia, chi di presunzione (di lui per primo quando si è sbilanciato nel ritenersi capace di centrare uno Slam quando per ora non ha ancora vinto un 1000, diversamente da Alcaraz e Rune), chi di fragilità mentale e invoca un mental coach ad hoc, quando fino a uno o due anni fa tutti magnificavano la sua testa forte e irriducibile, i suoi nervi a prova di bomba, il suo coraggio. E naturalmente c’è chi accusa il suo team allargato (Vagnozzi più Cahill) che lo confonderebbe e pretenderebbe il licenziamento in tronco di Vagnozzi…esattamente come quando qualche mese fa per le sconfitte in serie di Musetti c’erano i social che chiedevano la testa del bravo Tartarini.

Insomma sono tutte storie già vissute. Non leggo il norvegese – sorry! – ma mi chiedo quanti articoli saranno stati scritti sui giornali di Oslo, Trondheim e zone limitrofe ben ghiacciate, per dirne di tutti i colori su Casper Ruud che non vinceva più una partita. Anche Tsitsipas non ha sempre brillato, quest’anno. E i miei studi di greco al Classico non mi hanno aiutato a leggere che cosa ha scritto la stampa di Atene (oltre che di Sparta e Micene…).

Il disappunto per il k.o. parigino è cresciuto in modo esponenziale sia per come il k.o. è venuto, sia per la grande occasione mancata da Jannik in uno Slam in cui sembrava essersi spianata un po’ la strada verso le semifinali a seguito della sconfitta di Medvedev con Thiago Seyboth Wild.

Nessuno dei giocatori laggiù nel quarto basso del tabellone pareva essere irresistibile per un Sinner capace di esprimersi sui livelli di Montecarlo.

Sono i paragoni con i fenomeni di una volta, Nadal, Federer, Djokovic, a condurci sulla cattiva strada. Quella è gente che ha vinto 64 Slam, non uno solo come Alcaraz o come Medvedev, oppure nessuno come Tsitsipas e Rune. Quelli monopolizzavano 3 posti su 4 in tutti gli Slam, e i soli che riuscivano ogni tanto, ma proprio ogni tanto, a far sentire la loro voce erano i Murray e i Wawrinka.

Io non so se Sinner vincerà mai uno Slam, ma so che non l’avrebbe mai vinto se fosse capitato nell’era dei Fab Four, mentre oggi può capitare che il n.1 del mondo Alcaraz perda da un qualificato ungherese non compreso fra i primi 200 del mondo, che il n.4 ATP Ruud perda da Arnaldi che sta lottando per entrare fra i primi 100. E via dicendo.

E quindi può anche capitare  che – come è successo improvvisamente a Camila Giorgi a un open del Canada – che pur senza avere il grandissimo talento dei “fenomeni” un giocatore come Sinner possa prima o poi indovinare tutta una serie di partite consecutive come gli è successo fra Indian Wells, Miami e Montecarlo e quindi vincere un grande torneo.

Tutto sta nel non dare per scontato che debba accadere, così come non si può escludere che accada. Perché oggi i fenomeni non ci sono più e chi li sostituirà in cima alle classifiche ATP, non sarà mai come loro.

Sinner non sarà mai un campione di quella portata, ma non è neppure un tennista così modesto che non potrà mai infilare una sequenza giusta un bel giorno e una bella settimana (o due) per vincere un grande torneo.

Se è n.5 nella race significa che una certa continuità ad alto livello è stato capace di tenerla. Non ha e non avrà mai l’eleganza stilistica di Roger, la intensità di Rafa, la determinazione di Nole, il talento straordinario di quei tre, ma con i giocatori con cui dovrà misurarsi da oggi in poi – sebbene sia Alcaraz sia Rune possano vantare un talento naturale oggettivamente diverso – Sinner potrà vincere prima o poi tornei importanti continuando anche a perdere partite da giocatori di classifica molto inferiore.

Ai tre fenomeni non succedeva. A Sinner succederà ancora. Potrebbe succedergli per esempio ancora a Wimbledon, e tocco ferro. Ma non è che per un solo torneo in cui se l’è cavata bene, adesso dobbiamo considerarlo un “erbivoro” e aspettarsi chissà che cosa.

Forse gli succederà un po’ meno quando né lui né il suo team eccederanno nelle aspettative, mettendosi tanta inutile pressione addosso. Questa non gioverà mai.

A un certo punto della sua carriera, fra i 23 e i 26 anni, Jannik e il suo team si renderanno meglio conto dei propri pregi e difetti. Lavoreranno sodo, perché Jannik di sicuro non demorderà, per correggere i difetti più macroscopici. E certamente lui migliorerà e ne conseguiranno risultati sempre migliori. Però non vivrà più come un dramma insormontabile una cattiva giornata. E magari imparerà anche a dotarsi di un piano B, che ieri non si è proprio vista. A differenza di Camila Giorgi che si è sempre intestardita a negare la necessità di studiare il famoso piano B (“Io devo fare il mio gioco, le altre non contano”) Jannik è consapevole del fatto che non si può giocare sempre allo stesso modo. Soprattutto contro chiunque. Che abbia un tennis di un tipo oppure di un altro.

Ieri mi è dispiaciuto vedere un Sinner poco reattivo, piatto, a tratti rassegnato a scontrarsi con l’aria del perdente a una giornata no, come se non si potesse reagire, come se quella situazione negativa lo schiacciasse in modo insuperabile, irrovesciabile.

Ecco i tre fenomeni erano anche campioni di (legittima) presunzione: erano convinti di poter sempre rovesciare una situazione negativa, e quella fiducia quasi sempre pagava.

Non erano mai rassegnati. Erano sempre irriducibili. “In tennis is never over until is over” è un detto che si sono sempre detti tutti i campioni per evitare di arrendersi.

Jannik non si arreso nemmeno ieri, tant’è che è risalito fino al 5 pari del quinto e dopo 5 ore di gioco insufficiente, però non aveva l’aria di crederci davvero, appariva  perennemente in preda alla sconforto.

Ha pesanti limiti tecnici? Beh, forse non così pesanti se è arrivato a giocare alla pari per ore e ore con Alcaraz (all’US open, a Wimbledon e non solo), con Medvedev alle ATP Finals di Torino 2021, anche con Nadal per due set qui a Parigi.  

Deve continuare a credere in se stesso, senza farsi influenzare dai critici del divano e delle tastiere social. Cercando di avvicinare il più possibile chi migliore di lui, senza sbilanciarsi in proclami avventurati.

E per quanto riguarda noi italiani,anziché gettargli la croce addosso ad ogni brutta sconfitta – e questa con Altmaier come quella con Cerundolo è stata certamente una brutta e inattesa sconfitta – cerchiamo di non dimenticare che per 40 anni non abbiamo avuto un top-ten e che Jannik lo è, e probabilmente lo sarà a lungo. Anche se magari ogni tanto ne uscirà e poi ci rientrerà. E non dimentichiamo che insieme  a lui abbiamo altri due top-20 in Musetti e Berrettini, come possono vantare nel mondo solo gli USA e la Russia, con un bacino demografico molto più ampio.

Sinner al momento è in piena corsa per ritrovarsi alle ATP Finals di Torino fra i Magnifici Otto. Non roviniamoci tutto quel che abbiamo, per il gusto dell’autoflagellazione tipicamente italiana.

Qui a Parigi abbiamo, ad oggi, quattro tennisti ancora in gara al terzo turno, Musetti (che ha un ostacolo duro in Norrie), Sonego (che ha Rublev), Fognini che ha Ofner, e domani la Cocciaretto che può farcela con l’americana Pera da lei battuta nell’ultimo duello a Hobart in Tasmania,a gennaio.

I francesi che hanno una federazione con un migliaio di dipendenti e che dal Ronald Garros traggono profitti dieci volte quelli di Roma, da anni non vincono più nulla, non hanno un tennista maschio fra i primi 40 del mondo – anzi Humbert è proprio n.40 – e poi c’è Mannarino che è n. 47, ma ha 34 anni e il terzo è Gasquet, n.52 che di anni ne ha 36.

Come già nel 2021 al Roland Garros non c’è nemmeno un tennista francese fra uomini e donne – ed erano in 28 al via nei due tabelloni di singolare – che sia approdato al terzo turno.

Io ho visto giocare assai bene sia Arnaldi, contro Shapovalov, sia Zeppieri contro Ruud. E di ragazzi come loro, fra i 20 azzurri compresi fra i primi 200 ATP, ce ne sono diversi. Smettiamola allora di lamentarci, anche se Sinner ci ha un po’ tradito. Ma solo un po’, perché non dimentichiamo che prima di lui nessun aveva giocato tre semifinali di fila in un Masters 1000. Nemmeno Adriano Panatta.

Intanto fra le teste di serie saltate non c’è solo Sinner n.8. Jannik è in buona compagnia con altre 29 “vittime”, fra cui 5 top-10 (Medvedev, Sinner, Aliassime, Garcia e Sakkari)i:

tabellone maschile:
PRIMO TURNO
2  Medvedev ( Seyboth Wild)
10 Aliassime ( Fognini) 
20 Evans ( Kokkinakis)
25 Van De Zandschulp ( Tirante)
30 Shelton ( Sonego)
31 Kecmanovic ( Vavassori)
32 Zapata Miralles (Schwartzman)
SECONDO TURNO
8   Sinner (Altmaier)
16 Paul (Jarry)
18 de Minaur (Etcheverry)
19 Bautista Agut (Varillas)
24 Korda ( Ofner)

tabellone femminile
PRIMO TURNO
8  Sakkari ( Muchova)
12 Bencic (Avanesyan)
13 Krejicikova (Tsurenko)
16 Pliskova ( Stephens)
18 Azarenka ( Andreescu)
21 Linette ( Fernandez)
25 Kalinina (Parry)
26 Trevisan (Svitolina)
29 Zhang (Frech)
30 Cirstea (Paolini)

31 Bouzkova (Wang)

32 Rogers (Martic)
SECONDO TURNO:
5 Garcia (Blinkova)
15 Samsonova (Pavlyuchenkova)
17 Ostapenko (Stearns)
19 Zheng ( Putintseva)
20 Keys (Day)
22 Vekic (Pera)

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Jannik Sinner - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)
Jannik Sinner - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)

Era solo il primo martedì del Roland Garros 2023, ed è stato un martedì da leoni. Sì, una di quelle giornate – peraltro dopo le tante maratone già seguite domenica e lunedì – che chi le ha vissute non potrà mai dimenticarle. È la forza di questo straordinario sport. Sempre più popolare perfino quando si rischia di essere soffocati dalla troppa folla, dalle troppe code attorno ai campi aperti ai possessori dei cosiddetti biglietti “annexes” o “ground”. Meglio queste code, tuttavia, di quelle che si devono fare ai servizi igienici del Foro Italico…che sono tutto fuorchè igienici. Non mi stancherò mai di sottolinearlo. Prima o poi spero che qualcuno ci metterà mano. Diego Nepi, ci pensi tu?

Giornate di emozioni indescrivibili, anche perché ci vorrebbero ore e ore per raccontarne una minima parte. Sia che fosse un appassionato italiano, o anche un serbo seppure con minor gioia e felicità, quelli che hanno visto e sofferto per 5 ore e 10 minuti l’epica battaglia sul campo 8 fra Vavassori e Kecmanovic, non la dimenticheranno. Papà coach Vavassori, e non solo lui, avrà rischiato l’infarto con i 4 matchpoint annullati al serbo nel terzo set e poi pure con il quinto nel terzo tiebreak consecutivo. La partita – ricordo a chi non avesse letto la cronaca puntuale – si è conclusa soltanto al ventesimo punto del tiebreak finale. E’ stata una delle più incredibili rimonte…almeno fino a quella ancora più pazzesca che ha concluso la nottata ben dopo la mezzanotte…

 Sì, alludo a quella vinta da Gael Monfils, il più showman degli showman, e talvolta con eccessi border-line –come ricorderanno tutti coloro che videro quel quarto di finale dell’US open di qualche anno fa che fu vinto da Matteo Berrettini – che alla fine sono costati cari al malcapitato argentino Baez. Già stato vittima di Zverev qui al Roland Garros nel 2022: si era procurato, invano, il matchpoint. Stamattina è rimasto vittima – quando era calata la notte e si era fatto anche molto freddo dopo una giornata invece caldissima come tutte queste prime tre degli Internazionali di Francia – di una atmosfera divenuta per contrasto assolutamente incandescente.

 

Monfils, in vantaggio due set a uno, aveva perso il quarto set 6-1 e si trovava sotto 4-0 30-40 nel quinto. Insomma aveva fatto un solo game su 11. Non so come abbia fatto, giuro, ma sebbene avesse la testa sott’acqua, è riuscito miracolosamente a risalire la corrente. Certo il pubblico letteralmente impazzito per lui gli ha dato un’incredibile energia. Lui che era rimasto praticamente fermo e senza tennis da un anno per i vari acciacchi fisici. Eppoi mica è più un ragazzino mr Svitolino. Non c’è oggi che spenda più di lui con quel suo tennis da “rematore” di fondocampo eppur anche con quelle incredibili improvvise accelerazioni, cambi di ritmo, dropshots, tutto un repertorio imprevedibile e affascinante.

Ma alla fine, in mezzo al delirio collettivo e nonostante i crampi che sembravano averlo implacabilmente attanagliato, è riuscito ad evitare il supertiebreak nel quale avrebbe probabilmente finito per soccombere. Se non faceva scena, se non recitava come tante altre volte – lui che ha vinto al Roland Garros 11 volte al quinto set su 15 –   sembrava non reggersi proprio più in piedi. E invece, ancora una volta, ha finito per vincere 7-5 al quinto. Pazzesco! Non so chi abbia visto i francesi sullo Chatrier…sembravano tutti fuori di testa. Come dicevo partita davvero indescrivibile. 3 ore e 51 minuti di lotta furibonda, tremenda, appassionante. Una meraviglia indimenticabile. Anche se gli argentini preferirebbero dimenticarla.

Quindi dopo i tifosi italiani e serbi, anche gli appassionati francesi e argentini hanno vissuto emozioni grandissime. E che dire allora di quegli altri italiani che hanno seguito per 5 set e 3 ore e 20 minuti Zeppieri e contro quel matto di BublikCi sarà stato anche qualche tifoso kazako no? Io la partita l’ho rivista un po’ su Discovery Plus, che ce la fa vedere tutte. E di cui su Ubitennis ritrovate gli highlights.

Ma vogliamo parlare di quanto successo per 4 ore e un quarto fra il campione di Roma nonché n.2 del mondo Daniil Medvedev e un brasiliano, Thiago Seyboth Wild, che in tre apparizioni al Roland Garros aveva sempre perso al primo turno delle qualificazioni?

Beh, era dai tempi delle tre vittorie di Guga Kuerten a Parigi che la torcida brasileira non godeva così. Sotto di due set a uno, il ragazzo di 23 anni, ex speranza mondiale junior che giocava soltanto il suo secondo Slam dopo quello disputato nel 2020 a New York, ha rimontato e battuto  il russo che aveva scalzato Djokovic dalla seconda posizione mondiale. Medvedev grazie all’inatteso trionfo romano su una superficie che non ha mai fatto mistero di non amare _”Meno male che la stagione sulla terra battuta è finita” ma non è che quella sull’erba lo ispiri troppo di più – aveva reso possibile il maligno sorteggio  che ha messo nella stessa metà del tabellone i due principali favoriti del torneo, Alcaraz e Djokovic.

 I due giocheranno sempre nello stesso giorno, fino a quando dovessero eventualmente scontrarsi. Giocano oggi sul centrale uno dopo l’altro, Alcaraz con il giapponese Taro Daniel, Djokovic in sessione notturna con Fucsovics. Nessuno dei due dovrebbe rischiare di perdere, sebbene il Djokovic di Roma e Montecarlo non sia stato il vero Djokovic. Se giocheranno sempre negli stessi giorni la colpa è di Medvedev.

Non so se Sinner e il suo team guardino i tabelloni, a volte dicono di no, altre volte dicono di sì. Certo la strada verso i quarti di finale, quando teoricamente Sinner n.8 e Medvedev n.2 avrebbero potuto incrociare i loro destini, è oggi ancora lunga.

 Jannik dovrà prima liberarsi domani del tedesco Altmaier, n.79 ATP, ma pericoloso quando in giornata con il servizio, poi probabilmente di Dimitrov, quindi di Tiafoe o di Zverev (mi fa più paura il tedesco perché prima o poi ritroverà l’antico splendore: inciso, anche lui come Medveved perse al primo turno a Parigi nel 2017 poco dopo aver trionfato a Roma). Tiafoe sulla terra rossa mi pare più limitato, anche se la personalità per produrre più d’un exploit non gli manca davvero.

Nell’area originalmente presidiata da Medvedev le teste di serie sopravvissute al primo turno sono Nishioka, De Minaur e Coric. Ma ci sono anche due argentini come Cachin (vittorioso su Thiem) e Etcheverry da non sottovalutare. Un altro argentino a Roma ha giocato un brutto scherzo a Sinner.

Però, e non solo i ragazzi vestiti da Carote (e da Lavazza che li ha portati a Parigi dove averli visti a Roma) in onor di Pel di Carota Jannik Sinner – che di Pel di Carota, nomignolo che gli aveva affibbiato il sottoscritto, non aveva mai sentito parlare, tantomeno letto – per Sinner cominciano a sognare cose grandi, nonostante lo choc romano che di nome fa Cerundolo.

Fra i tanti spettatori che non dimenticheranno mai la giornata vissuta ieri a Porte d’Auteuil non vanno dimenticati i tedeschi che hanno visto il loro Hanfmann (quarti di finale a Roma e ottimo protagonista anche a Cagliari) prevalere 6-4 al quinto sull’altro brasiliano Monteiro il quale, rimontati due set era avanti 40-0 sul 4 pari al quinto, ma ha perso il servizio proprio in quel momento.

Insomma, per i brasiliani ieri è stata una giornata di gioie e dolori.  Forse conviene affidarsi alla Haddad Maia. Anche i finlandesi, se c’erano (? Non li ho visti), si saranno entusiasmati per il loro Ruusuvuori venuto a capo in 5 set del francese Barrere. Così come i giapponesi – c’erano, c’erano, ne ho visti tanti – per Nishioka che ci ha messo anche lui 5 set per battere Mister Muscolo, l’americano Wolf. Ribadisco: sono state giornate intense, intensissime, indimenticabili, per chi le ha vissute.

Ho accennato alle gioie e ai dolori di tanti Paesi e chissà quante ne ho dimenticati. Anche perché ho trascurato colpevolmente il tennis femminile. Mi sono eccitato quasi soltanto per la vittoria schiacciante della sedicenne (compiuti il  29 aprile) enfant prodige russa (non so come si dice in russo enfant-prodige, e se lo sapessi non potrei scriverlo con la mia tastiera, Gianni Clerici le chiamava tutte Lolita) Mirra Andreeva che ha lasciato soltanto 3 game alla Riske Amritray in un giorno in cui sono saltate diverse teste di serie:Kalinina con Parry, Bouzkova con Wang Xin, la campionessa di due anni fa Krejcikova con l’ucraina Tsurenko, la Azarenka con la Andreescu, la Cirstea con la nostra Paolini, la Rogers con la Martic.

Allora adesso chiudo qui ripetendo quanto ho detto ieri sera a caldo intorno alle 20 sia sull’Instagram di Ubitennis – seguiteci ragazzi, se volete ..uova fresche, siamo solo a 16.000 followers vorrei arrivare almeno a 20.000 per Wimbledon…sbrigatevi! – sia sul rituale video quotidiano di fine giornata: 11 italiani sui 15 in tabellone hanno passato il primo turno. Molti contro pronostico, come le tre vittorie su quattro ottenute questo martedì: Vavassori con Kecmanovic, Zeppieri con Bublik, Paolini con Cirstea. La sola a non compiere il miracolo è stata la campionessa di Rabat, la Bronzetti. Ma chiederle di battere la Jabeur era chiederle troppo.

Oggi 6 azzuri affrontanto il secondo turno. Il mio pronostico l’ho già “azzardato” come faccio sempre su Instagram, peggio per voi se non vi siete ancora iscritti. “Chi non li azzarda i pronostici non li sbaglia”, era solito ripetere Rino Tommasi,  spesso con l’aria di rimproverare un po’ l’amico Gianni Clerici che invece non amava sbilanciarsi.

Gianni però quasi tutte le sere veniva da me in sala stampa e mi chiedeva: “Ubaldo, ma Ubitennis le ha già pubblicate le quote degli incontri di domani?”. Stavolta allora lo chiedo io alla redazione. E vediamo se i miei quattro favoriti, sui sei che scendono in campo oggi, hanno quote favorevoli oppure no. Serve per capire se i bookmakers la pensano come il sottoscritto oppure no. Più tardi verifico.

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Editoriali del Direttore

ATP/WTA Roma: cronaca del SuperSaturday più bagnato per gli spettatori più sfortunati: quelli del serale…

Rybakina ha giocato un solo set dopo mezzanotte. Kalinina dà forfait con la kazaka come Swiatek e Kalinskaya. Rune e Ruud han dato spettacolo. Il danesino è fortissimo e…furbetto. Medvedev avrà 6 ore in meno di recupero. Ma a Tsitsipas ha “restituito” il balletto irridente

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Il torneo di Wimbledon, anzi “The Championships” come lo chiamano con sussiego gli inglesi facendo intendere che l’unico torneo che conta è… il loro in Church Road, fra le tante tradizioni conosciute nel mondo vanta anche quella della pioggia che raramente risparmia “the fortnight”, dei tanti match sospesi e rinviati, dei giorni cancellati per pioggia.

 

E nel libro che viene stampato annualmente dall’All England Club, c’è tutta una sezione, assai corposa, in cui si trovano tutte le date delle cancellazioni e, ovviamente, quelle date in cui il torneo si è concluso al terzo lunedì, con il numero dei giorni rovinati dal maltempo.  

Se un libro del genere esistesse anche per gli Internazionali d’Italia – che pure di finali rinviate al lunedì ne hanno avute più d’una – forse Angelo Binaghi avrebbe dato retta a Sergio Palmieri che -lo rivelò con grande onestà lo stesso presidente FIT rispondendo a una mia domanda che manifestava perplessità sul SuperSaturday – aveva suggerito di comportarsi come fanno ormai tutti i 4 Slam e anche il “minislam” di Miami (ma non il minislam di Indian Wells): e cioè semifinali maschili al venerdì, finale femminile al sabato con la finale di doppio maschile.

Se è vero che, sia pur senza l’ausilio di un libro, ho la quasi certezza di non aver assistito a un torneo più costantemente “bagnato” di questo in 50 anni che vengo al Foro Italico, è anche vero che tanto per il concorso ippico di Piazza di Siena che per gli Internazionali d’Italia si sono sempre sprecate le battute sulla pioggia immancabile che perseguitava le due manifestazioni nonostante la primavera ben inoltrata. Insomma, il rischio pioggia non era del tutto così imprevedibile da non doverlo minimamente prendere in considerazione.

Tant’è che mi permisi – con le cautele del caso onde non smorzare il grande entusiasmo che comprensibilmente aleggiava perche Roma aveva finalmente ottenuto il prolungamento del torneo – di porre quella domanda sul Supersaturday e i rischi che comportava nella mattinata del 28 aprile in cui fu presentata l’edizione extralong degli Internazionali.

Un po’ perché la domanda l’avevo fatta io e per solito a Roma -oltre ad aver dovuto sempre aspettare pazientemente il mio turno per porne una (in passato si è spesso aspettato che cessasse la diretta con Supertennis per concedermi di porre la mia domanda) – devo dire che mi sorprese l’estrema trasparenza con cui il presidente federale raccontò il diverso parere di Palmieri e la sua decisione contraria che alla fine prevalse.

Essa non venne giustificata da motivi di incasso, anche se fu opinione comune che quella potesse essere in realtà la motivazione principale, ma dall’esigenza di non avere un sabato “fiacco”, quando per tutti gli anni in cui il torneo si era sviluppato lungo una sola settimana…il sabato era stato quasi il giorno più desiderato: meglio la giornata delle due semifinali (per il calcolo delle probabilità che almeno una venisse fuori bene) piuttosto che una finale che poteva anche deludere.

Ma cosa fatta capo ha e oggi non ha senso piangere sul latte versato né recriminare su quel che poteva essere e non è stato.

Il meteo viene comandato solo… Lassù. Consoliamoci con l’aver visto un gran bel primo set, il primo fra Ruud e Rune. Straordinario. Spettacolare. Vario. Per 69 minuti i protagonisti del derby scandinavo hanno dato il meglio di sé. Entrambi.

Fino a un’ora e 51 minuti di gioco, cioè fino al 4-3 con il primo break della partita conquistato da Ruud due game prima (cioè nel quinto gioco per salire sul 3-2), il norvegese che alla vigilia del torneo sembrava assai poco in forma e in fiducia, era stato quasi perfetto. Aveva sbagliato poco o nulla. Sembrava esser tornato quello che era arrivato in finale al Roland Garros.

Ma lì, sul 4-3, ha invece – dopo un doppio fallo e un errore inconsueto di dritto (fino a quel momento quasi inarrestabile) ha concesso la sua prima palla break. Cui, avendo cacciato fuori un rovescio gratuito, ha fatto seguito il break.

 Da lì in poi, mentre Rune prendeva coraggio, Ruud si è trasformato nel giocatore incerto che aveva perso da Arnaldi a Madrid, da Cerundolo a Barcellona, da Struff a Montecarlo, da Van de Zandschulp a Miami, da Garin a Indian Wells, da Daniel a Acapulco.

Figurarsi se Rune si faceva pregare. Il danese era stato ancora una volta birichino. Aveva chiesto un MTO, medical time out, sul 3-2, per un presunto dolore ad una spalla. Torcicollo? Boh, non si saprà mai. Fatto sta che quel fisio deve essere stato un mago. E che Rune era stato doppiamente birichino perché il MTO si dovrebbe poter chiedere soltanto prima di un proprio game di servizio. Altrimenti si costringe l’avversario a battere a freddo, dopo magari 5 minuti di stop.Ma l’arbitro non ha detto nulla. Ruud ha tenuto il servizio, ma le conseguenze di quello stop che gli ha spezzato il ritmo fino ad allora vincente si sono viste dopo: dal 4-2 per lui ha perso 8 game su 9, 6-4 e 4-1 per Rune. A quel punto il bel Ruud del primo set non c’era più, mentre Rune trovava via via l’abituale spavalderia.

Non c’è quasi stata più partita. E Rune è approdato alla finale come a Montecarlo. Sembrerebbe approdarci come nel Principato da favorito – anche se poi invece perse da Rublev – perché a Montecarlo aveva battuto Medvedev nell’unico confronto diretto e perché il russo per sconfiggere 7-5,7-5 Tsitsipas (e improvvisargli un irridente balletto sfottò …per restituirgli pan per focaccia; era stato il greco a fargli un balletto quando lo aveva battuto a Cincinnati…se non erro) aveva conquistato la finale 6 ore e mezzo dopo Rune e avrà quindi meno tempo per recuperare. Vero che Medvedev ha vinto in due set, ma la sua partita con Tsitsipas è stata infinita per via della pioggia che smetteva e ricominciava obbligando sia lui sia Tsitsipas a cinque o sei operazioni di riscaldamento sui 15 minuti ciascuno. Un bello stress. “Anche perché dove ci trovavamo non vedevamo né il cielo né correttamente la situazione sul centrale – avrebbe spiegato Daniil – e non si poteva capire se saremmo davvero scesi in campo a breve oppure no”. Intanto il russo che qui perdeva sempre al primo turno è in finale e se vince risale a n.2 ATP, lui che era uscito dai top-ten.

Anche per il pubblico, che ha pagato biglietti decisamente salati soprattutto per chi è venuto da fuori con qualche familiare, è stato un calvario. Apri gli ombrelli, chiudi gli ombrelli, lascia lo stadio, ritorna allo stadio, fai le code ai bagni (per i quali, apro un inciso, va fatto qualcosa anche se capisco possa non essere semplice) che devono devono essere assolutamente aumentati e migliorati come numero di accessi, manutenzione e pulizia. E fai delle gran code anche per comprare una fetta di pizza a 7 euro, un panino a 9 euro, un mini-cono gelato a 5 euro.

Sfortunati davvero soprattutto quelli che avevano comprato il biglietto serale, perché arrivati per le 19, sono dovuti restare fuori da cancelli e sotto la pioggia per quasi due ore finchè sono stati fatti entrare e almeno poco dopo le 21 hanno potuto vedere la finale del doppio femminile opportunamente spostata sul Pietrangeli fino a che alle 22,30 Medvedev ha trasformato il matchpoint contro Tsitsipas e si è liberato il centrale per la finale femminile fra Rybakina e Kalinina. Poi però andava fatta sfollare la gente che aveva il biglietto pomeridiano sul centrale per far sistemare chi aveva il biglietto serale. Insomma un discreto ambaradan, non facile obiettivamente da gestire avendo a che fare anche con gente inevitabilmente spazientita. Con alcuni che addirittura si erano presentati convinti di poter assistere a una semifinale maschile…che non era per loro.

Quelli che avevano resistito alle intemperie, all’umidità e ai ritardi, senza un tetto che li coprisse, erano chiaramente o i più appassionati irriducibili o quelli che non volevano rassegnarsi ad aver buttato via un centinaio (o più centinaia) di euro. E così hanno atteso che Rybakina e Kalinina potessero fare il loro ingresso sul campo centrale.

Ma la finale così a lungo attesa è durata solo un set e un game. Più sfortuna di così! Forse è gente che meriterebbe un qualche compenso. Sarebbe un beau geste da parte di una federtennis molto ricca, no?

Anhelina Kalinina si è procurata una contrattura alla coscia sinistra a fine primo set –un po’ come Iha Swiatek contro la stessa Rybakina nei quarti; e Kalinskaia si era arresa dopo 7 games sempre per un problema muscolare; tanti i ritiri: colpa dell’umidità del Foro Italico alla sera? – e, con le lacrime agli occhi si è dovuta ritirare dopo il primo game del secondo set, sul 6-4,1-0 per la tennista kazaka. Lacrime hanno rigato il volto della ragazza ucraina che la sera prima ci aveva raccontato delle bombe russe che cadevano e cadono ancora a pochi passi da casa, a Kiev, dei nonni che hanno lasciato la cttà d’origine dopo 65 anni…e lacrime anche del marito coach. Anhelina giocava la sua prima grande finale e non avrebbe mai voluto concluderla a quel modo. Forse è riuscita a sorridere ugualmente per quanto è accaduto nel corso dell’improvvisata premiazione. Hanno chiamato per la premiazione prima la vincitrice e non lei finalista, hanno sbagliato nel consegnare i premi e in chi li doveva consegnare, il microfono è andato in panne e a un certo punto la Ribakina ha fatto segno a una hostess che sì, quel trofeo che era rimasto lì sul tavolino lo aveva vinto lei e che – se proprio non c’era nessuno altro che potesse farlo– fosse lei a consegnarglielo. Altrimenti sarebbe rimasto lì. E lo speaker si era rivolto alla Rybakina dicendosi dispiaciuto per la sua sconfitta. La Rybakina appariva trasecolata. Beh, devo dire che scene così buffe non ricordo di averle mai viste in tornei di questo livello. Ma probabilmente la giornata difficile aveva confuso e stressato un po’ tutti. E mi dispiace. ma quando Elena Ribakyna si è presentata in conferenza stampa per l’intervista di rito alle 1,27 del mattino non ce l’ho fatta ad aspettarla. Se ne erano andati da un pezzo anche i due giornalisti polacchi che erano venuti a Roma nel weekend sicuri di poter raccontare le gesta della loro Iga (Swiatek). Ma lei si era fatta male qualche giorno prima della Kalinina. E loro si sono consolati andando a visitare il Vaticano, da bravi cattolici osservanti. Un discreto gruppo di appassionati presi in contropiede dal cambio di programma che era stato peraltro segnalato a febbraio credeva di poter vedere tennis maschile nel pomeriggio ma aveva i biglietti solo per il serale. E non hanno potuto far altro che arrendersi. Non potendo assistere a una semifinale maschile si erano consolati …culturalmente, andando a visitare la Galleria Nazionale di Arte Moderna. Quel biglietto costava meno.

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