Tomas Berdych, il quasi campione sta cambiando

Rubriche

Tomas Berdych, il quasi campione sta cambiando

Pubblicato

il

 

Tomas Berdych si porta dietro una strana fama di perdente. Eppure il giustiziere di Nadal, alla sua quinta semifinale in uno slam, è stato uno dei più costanti giocatori di vertice. E chissà che quest’anno…

Tomas Berdych, il tennista ceco che oggi ha demolito Rafael Nadal dopo averci perso 17 (!) volte di fila, non ricorderà il 2014 come l’anno più felice della sua carriera. Due titoli conquistati (Rotterdam e Stoccolma, entrambi indoor) e tre finali perse. E se è accettabile perdere da Federer a Dubai, e da super Djokovic a Pechino, meno comprensibile è la sconfitta contro Carlos Berloq sulla terra rossa di Oeiras, oltretutto dopo aver vinto il primo set 6-0. Non un gran bottino per un tennista che, agli inizi della sua carriera, era stato definito come uno dei talenti in grado di segnare una generazione tennistica. La vittoria su Nadal a soli vent’anni nell’ex-Masters 1000 indoor di Madrid e, soprattutto, il titolo a Parigi-Bercy, sempre nel 2005, sembravano preannunciare una carriera ad altissimi livelli. 24° alla fine del 2005, 13° a fine 2006 il ceco cresceva progressivamente nonostante fosse poco più che un teen-ager.

Improvvisamente succede qualcosa, tra il 2007 e il 2009 Tomas si blocca, i miglioramenti non arrivano più. Retrocede al 14° posto a fine 2007, e addirittura al ventesimo nei due anni successivi. Nel 2010 però l’ulteriore salto. A Parigi arriva in semifinale, si porta avanti 2 set a 1 contro Soderling poi cede sul più bello. Ma 20 giorni dopo batte Federer nei quarti a Wimbledon e anche se viene sconfitto da Nadal in quella che – fino ad oggi almeno – rimane l’unica finale slam conquistata dal ceco, arriva l’approdo definitivo alla top ten, che aveva già toccato un paio di volte tra il 2007 e il 2008 senza però riuscire a rimanervi. Dal luglio 2010 Berdych non esce dai top10, anche se non ha più raggiunto una finale slam. Raggiunge però le semifinali in tutti i tornei dello Slam, diventando il primo ceco a riuscirci nell’era Open dopo un certo Ivan Lendl. Berdych trova anche un paio di finali nei “1000” (Miami 2010 e Madrid 2012 – ricordate? il torneo sulla terra blu di Tiriac), e insomma diventa tutto sommato uno dei tennisti più costanti tra quelli al vertice. Non si infortuna quasi mai, raramente esce in un torneo importante nei primi turni, qualche volta si permette il lusso dello scalpo di qualche big (quasi sempre Federer), e arriva puntualmente agli ottavi/quarti dei tornei grossi, per poi perdere quasi puntualmente dal big di turno (Nadal e Djokovic i suoi carnefici preferiti). Il 2014 in questo senso non ha fatto differenza: negli Slam ha ottenuto una semi (a Melbourne, sconfitto dal futuro vincitore Wawrinka), due quarti (a Parigi da un Gulbis che aveva appena ottenuto la testa di Federer e a New York, dal futuro vincitore Cilic); soltanto un terzo turno a Londra sonfitto ancora da quel Cilic che qualche giorno dopo porterà al 5° set il futuro vincitore Djokovic.

Il 2014 non ha mostrato niente di nuovo nel rendimento di Berdych ma il problema (o forse l’opportunità) è stato che le cose davanti a lui cambiavano, con il calo di Federer e Nadal, ma lui restava piantato dietro, osservando la crescita di Wawrinka, Nishikori e persino di Cilic. E Berdych? Lui c’era, è sempre stato lì, ma non ha mai saputo cogliere l’occasione per farsi spazio (chissà se in Australia, con il Nadal infortunato della finale…) il suo manteneva tutte le lacune di sempre – spostamenti laterali rigidi, poca capacità di variazione, difficoltà nel colpire le palle basse – e sembrava persino aver perso un po’ di smalto nei punti forti – lo sanno tutti che se si fa colpire Berdych da fermo è in grado di battere chiunque.

Ma Berdych è un uomo intelligente. E infatti ha provato ad agganciare Ivan Lendl nella primavera-estate 2014 per provare a darsi quella spinta necessaria a uscire dal limbo rappresentato dalla fascia del ranking tra la quinta e la settima posizione. Una volta fallite le trattative con Lendl ha aspettato la fine dell’anno per cambiare il suo precedente team di lavoro, Tomas Krupa e David Vydra, assumendo un altro membro dell’ex team di Murray: non Lendl come forse avrebbe preferito, ma Dani Vallverdu, ex membro dello staff dello scozzese lasciato a casa proprio quest’anno con l’arrivo sulla panchina dell’ex vincitore di Wimbledon di Amelie Mauresmo. Che ci sia lo zampino dello stesso Lendl è possibile, dato che egli ha più volte affermato quanto Vallverdu gli sia stato utile durante la sua esperienza come coach di Murray, e che in futuro magari Berdych possa avvalersi di qualche consulenza del nativo di Ostrava lo è altrettanto.

Quel che invece è certo è che Berdych sembra aver compreso quanto questo momento della sua carriera sia decisivo ai fini dell’intera carriera e di come quindi fossero necessari cambi all’interno del suo team e forse anche nel suo gioco. Questo è quanto in effetti il ceco racconta in un’intervista riportata sul sito dell’Atp quando dichiara di aver sentito la necessità di guardare al proprio tennis con una prospettiva differente, dopo aver trascorso gli ultimi anni (positivi) sempre con le stesse persone: “Dani (Vallverdu) conosce molto bene gli altri giocatori del circuito e sa preparare delle strategie per poterli affrontare al meglio. Questo è un fattore che recentemente mi è mancato un po’. Devo cercare di dare più varietà al mio gioco, sapere di poter, in ogni momento, scegliere la miglior soluzione perché penso che su un campo da tennis questo possa fare una grande differenza”.
L’accenno al “wider angle of the tennis perspective”, così si esprime Berdych nell’intervista, suggerisce l’ipotesi che il ceco non stia semplicemente giocando una carta disperata nel tentativo di rianimare una carriera che, stante i fatti dell’ultima stagione del tennis maschile, sembra aver già consumato le migliori speranze. Un po’ come con Federer l’anno scorso con Edberg, la scelta di Berdych sembra voler dimostrare, a noi e prima di tutto a se stesso, di essere disposto a lottare ancora, di non essersi lasciato scoraggiare o intimorire dall’avvento dei giovani top players né dai loro successi, di essere disposto a cambiare, a modificare il suo gioco (a cominciare dall’addio a Krupa, che, va ricordato, è il coach che l’ha portato ai successi degli ultimi 4-5 anni) per provare non soltanto a stare lì, a galleggiare – anche se, va detto, è un bel galleggiare, quello tra il quinto e decimo posto della classifica ATP –, ma a risalire e a vincere qualcosa anche a livello individuale, dopo le due Coppe Davis, vinte nel 2012-2013. Berdych ci suggerisce, insomma, che lui c’è ancora, vive in mezzo a noi e che nel 2015 bisognerà fare i conti anche con lui, che non vuole essere annoverato in quella generazione di mezzo (quella nata a metà degli anni Ottanta) schiacciata dal dominio di Federer prima e dei fab Four poi. E Nadal rischia di essere solo sua prima vittima. Ecco perché non bisogna dimenticarsi del ceco per il prossimo futuro: la storia degli ultimi anni insegna che, a Melbourne, almeno ai quarti – state tranquilli – ci arriverà: poi si vedrà. E chissà che Lendl…

Maurizio Riguzzi

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement