Lucie Safarova, prima eterna incompiuta e ora a un passo dalla Top Ten

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Lucie Safarova, prima eterna incompiuta e ora a un passo dalla Top Ten

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Profilo di Lucie Safarova, arrivata alla prima vittoria in un Premier WTA ieri a Doha e pronta a entrare stabilmente nelle prime dieci del mondo, senza rinunciare a traguardi ancora più ambiziosi…

Lucie Safarova ha conquistato ieri a Doha, battendo in finale Vika Azarenka, il suo primo titolo Premier della carriera. Si tratta del più grande traguardo raggiunto dopo la semifinale di Wimbledon dello scorso anno, persa contro l’amica e connazionale Petra Kvitova.

Nata nel 1987 a Brno, in Repubblica Ceca, ha avuto una carriera caratterizzata da un’ascesa iniziale portentosa: dopo eccellenti risultati a livello juniores, nel 2003 è arrivata tra le professioniste, due anni dopo era già nelle prime 50 del mondo e nel 2007 ha raggiunto gli ottavi di finale del Roland Garros e il 24° posto nel ranking. Poi la sua crescita si è fortemente rallentata, attraversando un periodo d’involuzione che l’ha portata a terminare il 2013 al n.29.

La ceca sta raccogliendo solo ora, a 28 anni, i frutti del suo grande potenziale. Di carattere timido e riservato, ha spesso accusato un po’ d’incertezza nelle fasi cruciali di molti match. Inoltre, la sua carriera è stata caratterizzata dai 5 successi WTA su palcoscenici non di primo livello (Oeiras e Forest Hills nel 2005, Gold Coast nel 2006, ancora Forest Hills nel 2008 e, più recentemente, Québec City nel 2013) e soprattutto da partite tiratissime contro le migliori giocatrici del mondo, concluse sempre con sconfitte durissime da digerire, a un passo dall’impresa che può far svoltare una carriera.

Il riferimento va soprattutto al match perso nell’Aprile 2014 al primo turno di Stoccarda contro la futura vincitrice Maria Sharapova, dopo tre ore e mezza di battaglia e tre tie-break, l’ultimo dei quali raggiunto dopo aver rimontato da 5 game a 1 sotto fino al 6-5 30-0, prima di sentire tutta la pressione del momento decisivo e, complici due doppi falli, cedere servizio e tie-break. Lo stesso era accaduto all’inizio del 2014 all’Australian Open, quando contro Li Na (anche in quel caso, per un atroce scherzo del destino, futura vincitrice del titolo) fallì un match point con molta sfortuna (rovescio lungo linea fuori di un soffio), ma soprattutto al momento di servire per il match sul 6-1 5-3 perse il servizio nettamente per evidente paura di vincere.

In tutti questi match Lucie ha dimostrato il suo valore, ma se le partite più importanti finisci per perderle e in quelle che vinci sei consapevole di esserti complicata inutilmente la vita, ecco che nella tua testa, a 27 anni suonati, può scattare quel maledetto meccanismo che ti convince definitivamente di essere un’eterna incompiuta, protagonista di una carriera che non ha espresso appieno il tuo talento, perché vittima di una fragilità mentale che nel tennis ai massimi livelli è del tutto incompatibile con i grandi successi.

Insomma, il profilo di un’ottima professionista, meticolosa nella preparazione ed esemplare nel comportamento in campo, capace di ritagliarsi uno spazio comunque significativo in una nazione di grande tradizione tennistica (Ivan Lendl e Martina Navratilova su tutti i molti altri), ma incapace del salto definitivo tra le protagoniste della sua epoca, non in grado di esprimersi al meglio nelle partite più importanti e soprattutto nei momenti decisivi, il vero spartiacque tra la buona giocatrice e la campionessa. Tutto questo fino a Wimbledon 2014, quando Lucie ha dimostrato di aver consolidato la sua crescita capitalizzando al meglio il suo gioco offensivo e mostrando grandi  miglioramenti a rete.

Prima e dopo erano arrivati i migliori risultati al Roland Garros (ottavi come nel 2007) e allo US Open (ottavi), coronando il suo 2014 con la ciliegina finale, l’impresa della vittoria contro Angelique Kerber nella finale di Fed Cup dello scorso Novembre, che ha dato il 2-0 alle ceche spostando definitivamente l’andamento della sfida a favore dello stato dell’Est Europa, confermandosi così come jolly vincente della forte squadra ceca, dopo aver trionfato nella competizione femminile a squadre anche nel 2011 nel 2012 contro la Serbia al gran completo.

Ultima partita decisiva nella sua crescita, la prima vittoria Premier ieri a Doha contro Vica Azarenka e il best ranking, n.11 del mondo. Ecco, questo numero dice tutto della carriera della Safarova: a lungo mina vagante, eterna incompiuta, ora più costante e finalmente in grado di raggiungere ottimi risultati negli Slam e nei Premier. Non ancora, però, nelle prime dieci del mondo. Non che tra la numero 10 e la numero 11 ci sia una reale e significativa differenza, ma il n.11 ha un enorme aspetto simbolico: ancora una volta, come nelle partite sopra citate, Lucie Safarova è lì, a un passo dal gotha del tennis mondiale, e deve dimostrare di nuovo di essere in grado di saperlo compiere quel passo, per scrollarsi definitivamente di dosso l’ombra di eterna incompiuta, ombra che una volta appesa la racchetta al chiodo può costituire un enorme rimpianto. Ce la farà? Molto probabilmente sì, la maturità e l’esperienza raggiunta a 28 anni, unitamente ai risultati ottenuti, le daranno quella sicurezza e quella consapevolezza nei propri mezzi che le consentiranno d’issarsi stabilmente tra le migliori dieci del mondo.

A quel punto, potrà sentirsi arrivata? No, perché ha nelle corde della sua racchetta il talento per trovare le due settimane giuste, quelle indimenticabili, che possono colmare l’ultimo grande gap: quello tra la giocatrice di grande valore e continuità e la vera campionessa. Non esiste campionessa al mondo senza un titolo pesante, una firma nel Pantheon delle grandi tenniste, per parlarci chiaro una vittoria in uno Slam.

Può apparire prematuro parlare di vittoria di un Major per un giocatrice che ha raggiunto sinora una sola semifinale Slam, ma la Safarova ha dalla sua, oltre a un bagaglio tecnico di grande spessore (in cui svettano servizio efficacissimo e un dritto spesso incontenibile), la determinazione e la perseveranza con cui la tennista di Brno si è costruita, passo dopo passo, una classifica a ridosso delle top ten e un titolo Premier dopo cocenti delusioni che avrebbero potuto stroncarne la fiducia. Una sconfitta è veramente tale solo se non riesci a rialzarti. Lucie l’ha sempre fatto, ha saputo trarre forza da delusioni e amarezze. Se vuole vincere uno Slam, Lucie Safarova dovrà affrontare di nuovo quel sapore, amaro come il fiele e greve come un’aria inquinata, di essere arrivati a un solo centimetro dalla grande vittoria, ricordarsi di averlo già saputo digerire e metabolizzare, in modo da saperne affrontare i fantasmi che si presenteranno davanti a una palla break da salvare dopo averne fallita una a suo favore poco prima, o davanti ai punti decisivi di un tie-break. Perché per vincere uno Slam, in quelle due settimane devi essere praticamente perfetto.

Regolare e costante in carriera per essere stabilmente tra le prime dieci, perfetta per due settimane per vincere un Major. Nel caso della ceca, questi due grandi step non dipendono da un aspetto tecnico (nell’ultimo anno, ha saputo affiancare a servizio e dritto un ottimo gioco nei game di risposta e un sensibile miglioramento col rovescio) o tattico (l’esperienza le ha consentito di limitare i rischi che un gioco di spinta e attacco producevano spesso quando non ce n’era bisogno), ma squisitamente mentale. Ci riuscirà?

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