Corrado Barazzutti e l’eterno Zugzwang del tennis italiano

Rubriche

Corrado Barazzutti e l’eterno Zugzwang del tennis italiano

Pubblicato

il

 

Più che di una scelta errata, la disfatta di domenica ad Astana è frutto di una non scelta. Un riassunto di 15 anni di grandi occasioni perse dall’Italia al maschile di Barazzutti

Correva l’anno 2008: l’Italia di Davis a Rijeka perdeva a inizio aprile 3-2 contro la Croazia nel primo turno del gruppo euro-africano, andando a giocarsi le chance di non retrocedere ulteriormente a settembre, battendo con lo stesso punteggio la Lettonia. Due mesi prima le ragazze di Fed Cup, forti di due finali consecutive di cui una vinta, inciampavano a Napoli contro la Spagna delle modeste Llagostera-Vives e Medina-Garrigues. Quel 2008 fu l’ultima volta in cui entrambe le squadre italiane persero al primo turno. Da allora in poi questo evento non si è più ripetuto per merito di Schiavone, Pennetta, Errani, Vinci e compagne, perché al maschile le controprestazioni ci son sempre state. Il 2008 può sembrare tanto tempo fa, eppure fra oggi e allora intercorrono tanti anni quanti ce ne sono fra quell’epoca e il giorno in cui sulla panchina di Davis si è seduto, per la prima volta, Corrado Barazzutti.

Oggi di nuovo, siamo nel 2015, l’Italia tennistica sprofonda, perdendo due tie comodamente alla portata. E ci si interroga di nuovo se quindici anni non siano un lasso di tempo sufficiente, persino in Italia, per sentire un po’ l’aria del cambiamento. Deve o non deve, Corrado Barazzutti, lasciare il testimone della nazionale?

L’ex campione e top10 di Udine, nella sua seconda carriera da allenatore ha vissuto molto più sui fasti di una grande squadra di Fed Cup, con le nostre ragazze capaci di dominare per un lustro una competizione sia per propria bravura che per disinteresse delle avversarie. Se da un lato va detto che difficilmente la squadra si sarebbe portata a casa 4 titoli nell’ultimo decennio se gli Usa o la Russia avessero giocato con il loro organico al completo, dall’altro lato ciò non è certo stata colpa di Barazzutti.

L’effetto Fed Cup ha in parte mitigato le delusioni raccolte in Davis. Al maschile non abbiamo (da qualche decennio ormai) giocatori di punta né un organico al livello delle colleghe in gonnella. Per non dire che, per quanto spesso snobbata dai big, la Davis lo è comunque meno rispetto alla Fed Cup: i passaggi del turno vanno sudati, e si parte dagli ottavi ogni anno invece che dai quarti.

Detto questo e andando a vedere la storia della squadra italiana nell’epoca di Barazzutti, il dato che più fa sollevare le sopracciglia sono i 10 anni impiegati per riemergere dal pantano della serie B. Corrado ha preso la guida della nazionale nel 2001, proprio in seguito alla disfatta di Venezia contro il Belgio che ci aveva relegato in serie B (ok, “Gruppo I della zona Europa-Africa”, se vogliamo usare una terminologia tennistica ma poco intuitiva). La sconfitta casalinga di Gaudenzi, Sanguinetti, Furlan e Nargiso segnò la fine di un ciclo che ci aveva portato a un passo dalla vittoria due anni prima, e diede l’impulso a quel rinnovamento che in Italia, non solo nel tennis, arriva quando proprio non se ne può più fare a meno.

Corrado Barazzutti era l’uomo incaricato di riportare il tennis italiano nel primo gruppo: ci ha impiegato dieci anni, con addirittura una parentesi nel Group II (la serie C, che non esiste neanche più nel calcio ormai) nel 2004. Troppo, pur rimarcando la carenza di giocatori di vertice, se consideriamo che per tornare nel tennis che conta sarebbe bastato vincere uno dei tie contro Croazia (2001), Spagna (2005, 2006), Svizzera (2009), Svezia (2010), che nel 2003 retrocedemmo dopo averle prese da Marocco e Zimbabwe, ed en-passant abbiamo anche perso al primo turno di spareggio da Finlandia (2002), Israele (2007) e ancora Croazia (2008). Tutto ciò fino appunto al settembre 2011 quando il 4-1 sul Cile ci riportava nel World Group che, per ora, non abbiamo più lasciato.

Paradossalmente l’Italia con Barazzutti ha fatto miglior figura nel gruppo principale che in quello secondario, migliorando di un turno ogni anno: spareggi nel 2012, quarti nel 2013 e come tutti ricorderanno semifinali lo scorso anno. Il tutto a far ben sperare che ormai fossimo pronti a sederci al tavolo dei potenti e che, con una Svizzera senza campioni, Serbia e Gran Bretagna con secondi singolaristi battibili, Spagna in serie B, quest’anno si potesse persino tentare il colpaccio e riportare in patria l’insalatiera.

Macché! Sconfitti dai kazaki ad Astana, una capitale che si chiama “capitale”, come Seoul, e anche questa è stata, fatte le debite proporzioni, una Corea; pur se quella calcistica era del Nord e Nedovyesov, pur carneade, è quantomeno un professionista del suo sport e non un professore di educazione fisica con il diploma da dentista come Pak Doo Ik. Ciò non toglie che quella kazaka sia stata una figuraccia per una squadra che puntava in alto. Si è vero, i kazaki hanno quasi fatto fuori la svizzera: ma con entrambi i loro singolaristi in forma e comunque non dando mai l’impressione di poter fare il terzo punto nella giornata della domenica. Qui invece ci han battuto con una riserva che a dire il vero non pare abbia neanche giocato così bene come tanti dicono. Sì, ci sono stati gli arbitri di parte. Ma quando mai in una sconfitta italiana in qualsiasi sport non c’è la responsabilità arbitrale? L’Italia è una Repubblica fondata sulle recriminazioni.

Veniamo al punto: accorato che “I nostri avversari erano in trance agonistica” e “Gli arbitri hanno inciso” e “Se si rigioca Fognini-Nesocoso altre dieci volte il kazako non vince un set” e “Abbiamo comunque dato tutto quello che avevamo”, vediamo se magari, forse, qualche responsabilità italiana ci sia.

Alcuni han criticato il cambio di venerdì con la fiducia data a Bolelli al posto di Fognini. Un cambio doppiamente tattico perché a quel punto il solido Seppi è diventato numero uno andando contro Golubev, il punto (l’unico in singolo alla fine) che bisognava portare a casa il venerdì. E così è stato fatto. Bolelli le ha poi prese da Kukushkin, che negli ultimi tre giorni per tutti i media italiani è improvvisamente diventato un fenomeno cui strappare un punto sarebbe stata impresa ardua, quando invece trasformare uno dei set point avuti nel primo set in entrambi i confronti di Bolelli e Seppi avrebbe incrinato le certezze del campionissimo di origine russa. Tutto sommato, l’idea di mettere Bolelli il venerdì non è stata uno sbaglio.

Con il senno di poi però, riproporre Fognini la domenica è stata una mossa timida. Un ottimo alibi per dire che una chance è stata data a tutti, che si è provato a cambiare e sperimentare, mentre in realtà si è perso di vista il vero errore: mandare a giocare in un clima ostile, con tifo (pochino a dire il vero) contro, giudici di linea approssimativi e quant’altro, un giocatore che di solito ha bisogno di molto meno per perdere le staffe. E così è successo, perché pur senza dare in escandescenze palesi, nel quarto set Fognini invece che chiudere ha rimesso in partita il suo avversario alle corde uscendo dal match mentalmente. In parole povere, fra tutti i singolaristi presenti, per andarsi a giocare il punto decisivo si è scelto l’unico che in giornata no può perdere dal 130 del mondo. E così è stato. Aggiungiamoci che mandare a scaldare il solo Fognini ha dato un’indicazione chiara al coach kazako e sciolto i suoi dubbi su chi contrapporgli; un’astuzia in più avrebbe magari confuso le carte.

Il non osare è stato il grave peccato di Barazzutti. Chi segue un po’ gli scacchi, o ha visto questo film, sarà familiare con il concetto di Zugzwang (“Obbligatorietà del tratto”), ovvero quando la mossa migliore sarebbe di non muovere affatto. Negli scacchi non è possibile: nella vita, in amore, al lavoro e financo nella Coppa Davis, si può.

Ora il punto è: vero che siamo in Italia, vero che sulle poltrone si sta comodi, ma forse dopo 15 anni di direzione, Barazzutti dovrebbe, potrebbe (forse…) farsi da parte. Non ci sono state grandi tragedie, ma una serie di piccole occasioni mancate, prima per tornare nel World Group, poi per far qualcosa di convincente in esso. L’Italia in questi 15 anni ha perso tutte le partite che doveva perdere, ma non ha vinto tutte quelle che doveva vincere, fra cui quella di ieri. Non la prima, ma magari l’ultima. Se per una volta i piani alti del tennis italiano sentiranno la pressione dello Zugzwang, l’obbligo di fare una mossa.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement