L’ITF: “Basta maratone in Davis”. È quello che vogliono i tifosi?

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L’ITF: “Basta maratone in Davis”. È quello che vogliono i tifosi?

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L’ITF è decisa a rivedere la formula della Coppa Davis. Tra le proposte, l’introduzione del tie-break sul 6 pari del quinto set. Abolire le maratone, alcune delle quali sono gemme epiche nella storia del tennis, gioverebbe alla competizione? Come reagirebbero giocatori e pubblico?

Come riportato ieri, la Federazione Internazionale di Tennis è seriamente intenzionata ad apportare cambiamenti significativi nella formula della Coppa Davis. Uno di questi riguarda la possibilità di introdurre il tie-break anche al quinto set, evitando così le maratone che hanno caratterizzato non poche sfide della centenaria storia della competizione a squadre del tennis maschile.

Molte sono e sono state le proposte giunte da più parti per rinnovare l’interesse dei giocatori sulla Coppa Davis. Una necessità che traspare dalle dichiarazioni e dai comportamenti dei maggiori protagonisti del circuito, che non di rado l’hanno accuratamente evitata. Di recente sia Nadal che lo stesso Federer, vincitore l’anno scorso, ne hanno criticato formula e organizzazione. In particolare Nadal ha affermato che “oggi vincerla ha meno valore che in passato, dato che spesso i migliori giocatori non vi prendono parte, e questo significa che c’è qualcosa che non va.

In questo articolo ci concentreremo specificamente sull’aspetto dei match maratona, tralasciando altri aspetti molto attuali, come la proposta di sfide di andata e ritorno sul modello delle coppe europee del calcio, la possibilità di disputare il torneo ogni due o ogni quattro anni, quella di una prima fase a eliminazione su base geografica con le squadre che accedono alla fase finale a contendersi il trofeo in una sede unica, in un evento biennale o quadriennale di due settimane che attirerebbe campioni, sponsor e tv. Su queste e altre proposte e su pro e contro del rinnovamento della Coppa seguiranno qui su Ubitennis altri interventi che vi consigliamo di non perdere.

Venendo dunque al tema dell’opportunità di ridurre il rischio di match particolarmente lunghi, è interessante quanto detto da Juan Marget, vicepresidente ITF, a sostegno della proposta:  “A Wimbledon 2010 quando Isner vinse 70-68 contro Mahut, tutti parlavano di record, ma se fosse successo in una semifinale Slam ci saremmo lamentati tutti, perché il vincitore non sarebbe stato capace di giocare il match successivo. Non serve giocare 15 ore“.

A questa frase si potrebbe obiettare in diversi modi.

La situazione creatasi tra Isner e Mahut, per quanto improbabile, potrebbe benissimo accadere anche in una semifinale Slam: è sufficiente un torneo un po’ anomalo, neanche troppo, in cui un bombardiere di qualità tipo Raonic arriva in semifinale e si trova di fronte un avversario in giornata col servizio in stato di grazia. Allora per lo stesso principio si dovrebbero portare tutti gli Slam al tie-break al quinto set, esattamente come accade allo US Open. Per carità, è una posizione rispettabilissima, ma che nel caso andrebbe appunto applicata anche agli Slam, non solo alla Davis (in altre parole, a tutte le competizioni che si disputano sulla distanza dei 5 set).

Sotto un altro punto di vista, spesso si critica il fatto che con la formula attuale una competizione a squadre, che dovrebbe premiare lo stato di salute tennistica di un paese, permette a una compagine nazionale di andare avanti con due soli giocatori, come accaduto alla Svizzera di Federer e Wawrinka, vincenti l’anno scorso, che hanno sempre giocato i loro singolari e il doppio insieme. Ebbene, proprio se un match del tie della prima giornata si prolungasse a oltranza (o in minor misura anche il doppio), nel caso in cui nella giornata successiva i due giocatori protagonisti della maratona non fossero nelle condizioni di giocare, la squadra che ne trarrebbe maggior giovamento sarebbe proprio quella con la panchina di maggior qualità. Questo appunto premierebbe il Paese che può contare su un maggior numero di giocatori di livello, penalizzando invece chi si fa strada contando su due soli tennisti. Sarebbe appunto un modo per valorizzare la squadra più completa, trattandosi appunto della competizione a squadre nello sport individuale per eccellenza.

Oppure, da un altro punto di vista, tale circostanza costituirebbe il presupposto per un altro aspetto di grande fascino che solo la Davis sa regalare: l’outsider che, chiamato a sostituire il compagno più forte, trova la giornata di gloria diventando l’eroe del suo paese. Magari proprio la squadra che sulla carta verrebbe penalizzata dall’indisponibilità di uno dei due migliori singolaristi potrebbe estrarre il più inatteso degli assi della manica, come già successo più volte in passato.

Basti pensare all’ultimo week end di Astana nel quale i kazaki ci hanno beffato trovando nel semisconosciuto Nedovyesov il salvatore della patria sul favorito Fognini, ad altre grosse sorprese come Guillaume Raoux, doppista spalla di Guy Forget nella maledetta semifinale Francia – Italia di Nantes ’96, quando gli azzurri di capitan Panatta, avanti 2-0 dopo la prima giornata, si fecero rimontare dai transalpini di Yannick Noah. In quell’occasione, la rimonta francese partì dal doppio, dove un esperto Forget venne affiancato da un giocatore all’apparenza innocuo, dall’aspetto quasi buffo – occhialuto com’era- che sembrava lì per caso e che invece la fece da padrone quasi mettendo in secondo piano lo stesso Forget.

Altro esempio di underdog che stava per compiere l’impresa, quel Nicklas Kulti che nella finale Svezia – Francia dello stesso anno scese in campo nel quinto e decisivo incontro opposto ad Arnaud Boetsch, per sostituire niente meno che Stefan Edberg, lui che fino a quel momento aveva coperto il solo ruolo di doppista spalla di Jonas Bjorkman. Giocò un match straordinario e perse solo alla fine di una maratona spettacolare – una di quelle che l’ITF vorrebbe abolire – per 10-8 al quinto.

Il presidente della Federazione Internazionale ha concluso il suo intervento affermando che “un match di 7 ore piace ai giornalisti e non ai giocatori.

Sui giocatori, è facile pensare che le situazioni anomale che spesso vengono a crearsi in Davis, dove condizioni del campo difficili in termini di pubblico molto partecipe (per non dire partigiano) e superfici di gioco spesso ostiche (a volte rese tali ad arte dallo staff della squadra di casa), non attirano campioni abituati a ben altri palcoscenici, caratterizzati da un tifo sempre corretto e spesso molto equilibrato e dalla minore probabilità di incontrare il giocatore semisconosciuto che trova le condizioni ambientali che lo aiutano a realizzare l’impresa (e la conseguente magra figura per il favorito di turno). Restare in campo a massacrarsi per ore e ore può allora essere giustificato solo in virtù di una pesante rivisitazione delle formula del torneo che, come detto, affronteremo prossimamente.

E il pubblico? Come reagiscono i tifosi, a casa e sugli spalti, di fronte a match che si prolungano oltre le 5 ore?
Dipende dalla qualità del match: un partita intensissima e pieno di colpi di qualità e recuperi impossibili come la storica finale dell’Australian Open 2012 tra Djokovic e Nadal, durata quasi sei ore, ha entusiasmato il pubblico della Rod Laver Arena e chi ha seguito il match da casa, tanto che Ubitennis è stato sommerso di commenti entusiasti di una guerra di tale intensità. Se la sfida è invece caratterizzata da molti errori, pochi vincenti, rare variazioni di gioco, un match maratona può risultare particolarmente indigesto, ma molto raramente è il caso della Coppa Davis: lì infatti la qualità spesso non eccelsa degli scambi viene ampiamente compensata dal coinvolgimento del pubblico, dalla guerra di nervi, dalla capacità di reggere l’enorme tensione in condizioni di gioco, come detto, spesso al limite del proibitivo.

Parliamoci chiaro: meglio 6 ore e 22 minuti di McEnroe – Wilander (9-7 6-2 15-17 3-6 8-6 per l’americano) dei quarti finale di St. Luis ’82, o anche l’impresa di Omar Camporese, vincitore in 6 ore abbondanti nella trasferta brasiliana di Maceiò ’92 contro Luiz Mattar, oppure gli strampalati punteggi (più adatti al basket che al tennis), del recente campionato-esibizione giocato in India alla fine delle stagione 2014?

Insomma, certamente la Davis deve essere rivista per restituirle prestigio e considerazione da parte dei big, ma per favore non toglieteci i match maratona, match che hanno fatto la storia di questa gloriosa e affascinante competizione.

Per una volta, allora, permettetemi di dissentire dalle parole di Rino Tommasi: “Se due giocatori arrivano 6 pari al quinto set, chiunque dei due vinca non è un’ingiustizia, dunque ok il tie-break al quinto. No, per vincere devi fare qualcosa di più di due punti di fila in più del tuo avversario, soprattutto in Davis dove la trincea, il sangue e l’arena sono il marchio di fabbrica della sfida, dove il pubblico vuole la battaglia, anzi la guerra, fino alla fine!

Mi sono brevemente soffermato sulle possibili preferenze dei tifosi, osservando qualche commento dei lettori ad articoli passati e fornendo la mia impressione sui possibili gusti del pubblico. Sarebbe molto interessante capire come la pensa a riguardo, specificamente sui match maratona in Davis e non solo, il pubblico di Ubitennis. Dite la vostra!

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