Due giorni a Roma a farci un selfie, inseguendo ovunque l'ombra di Federer

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Due giorni a Roma a farci un selfie, inseguendo ovunque l’ombra di Federer

Il bilancio dei primi due giorni del Foro Italico, passati a inseguire l’ombra e a guardare la gente farsi i selfie, mentre dilaga la psicosi Federer: è davvero arrivato a Roma?

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I primi due giorni del Foro Italico si passano a inseguire l’ombra. La temperatura estiva, più da luglio che da inizio maggio, non permette di stare seduti sui marmi bianchi del Pietrangeli o dei campi periferici, marmi che riflettono questo sole diretto. Si giocano gli incontri di qualificazione con qualche tennista importante, e si gioca la domenica qualche partita di primo turno con in campo chi è uscito presto da Madrid, il torneo che contende a Roma il quinto Slam, pensieri per dirigenti Federali che poco interessano ai romani. Tanto loro hanno il Foro Italico, comunque.

La canicola romana molto in anticipo ci fa desiderare anzitempo il Ponentino, il vento del refrigerio che arriverà poi in serata. E allora si cerca l’ombra, specie per mangiare, e specie se si hanno i bambini piccoli. Perché le famiglie al Foro sono tantissime, e allora meglio risparmiare qualche cosa sul bilancio portandosi i panini da casa. E quindi, sotto gli alti tigli che costeggiano il vialone, ci si accampa alla meno peggio, aprendo cartate di prosciutto con le mamme che tagliano i panini all’olio, con i bimbi in trepida attesa con le guance paonazze, stremati dal caldo più dei genitori.

I temerari che sfidano il solleone, affacciandosi ai campi periferici o al Pietrangeli per vedere il tennis da bordocampo, si scontrano con gli autentici eroi della giornata, i nostri SEAL. Sono gli addetti alla sicurezza, quelli che regolano l’accesso ai campi vestiti come i pinguini di Madagascar. Camicia bianca e vestito nero all-season, stanno in piedi sotto almeno trenta gradi percepiti. Loro, che passano indifferentemente dalla discoteca al tennis, cercano il conforto del pubblico con lo sguardo, rinunciando a far sgomberare la scalinata di passaggio del campo 1 occupata dai fan di Dolgopolov. Uno spettatore con l’accento del Nord a un certo punto gli chiede quanto fa caldo. Lui è lapidario: “n’poi capì”. Non puoi capire.

Le tribune sono un crogiolo di accenti, tutti con l’occhio migliore dei giudici di linea e con la competenza tecnica dell’ex tennista di prima categoria. Ieri erano tutti a giudicare i (mancati) progressi di Gianluigi Quinzi sul Pietrangeli, con più voglia di criticarlo che sostenerlo, come se fosse colpa sua se l’Italia non ha un top 10 dai tempi di Corrado Barazzutti, dal 1978. Oggi nessuno si fila Arnaboldi e Napolitano, i quali si giocano un posto in tabellone, ma in tantissimi sono a seguire Fabbiano, impegnato contro la nuova grande speranza del tennis russo, Andrey Rublev. E mentre Dolgopolov sbuffa sotto il sole, apprezzando oggi più che mai il ferretto che gli tiene immobili i lunghi capelli, quando oggi ogni pelo non può che aumentare la sudorazione, la folla “ruggisce” quando Fabbiano chiude il match.

La ressa per la preziosa firma di "The Dog"

La ressa per la preziosa firma di “The Dog”

Passa un’oretta e mentre Delbonis si avvia a perdere, sul campo adiacente, che comincia a essere oscurato dall’ombra dei pini con il sole che si avvia a scendere dietro Monte Mario, giocano Niculescu e Jovanoski. A tratti i quattro giocatori di fronte a noi giocano contemporaneamente. In primo piano abbiamo le rasoiate di Dolgopolov, linee rette che lasciano la racchetta per toccare terra, dall’altra parte, invece, parabole che costringono i tifosi ad alzare la testa per seguirle. Roba da quarta categoria, con rispetto parlando (per i quarta). Sulle tribune poi, fra un cambio di campo e l’altro, si fanno le puntuali telefonate agli amici da far rosicare perché “mamma mia come gioca Dolgopolov”, ma anche per sapere cosa è successo in Formula uno. Finita la partita a “The Dog” non rimane che firmare gli autografi ai tantissimi bambini che si protendono oltre la recinzione per porgergli le gigantesche palle da tennis, con il pennarello nero d’ordinanza. Sono oggettivamente troppi da accontentare, e chi torna dai genitori senza la mitica firma sorride ugualmente, tanta è l’eccitazione e l’entusiasmo di essere qui, al Foro.

Dove non c’è, ancora, Federer. La gente sta impazzendo e lo immagina ovunque. Ieri si era sparsa la voce che fosse sul Centrale ad allenarsi, e frotte di fan correvano verso le scale dell’impianto, chiedendo a chiunque avesse un badge al collo dove fosse il proprio beniamino. Sul Centrale si stava allenando una tennista. Oggi, dai campi periferici, dei papà con la vista buona, loro sì con l’occhio di falco, hanno avvistato Federer sulla loggia del Bar del Tennis, secondo loro in bermuda e polo bianca affacciato a seguire i match di qualificazioni. Ed è partita la psicosi, con tutti a puntare il dito verso un tizio che, verosimilmente, aveva appena finito di mangiare la sua cacio e pepe.

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“Vi mettete i cartelli vicino la bocca? grazie”

Quando l’ombra si prende quasi tutto il Foro Italico e quando comincia a rimbombare la musica delle prove della serata nella oramai mitica Ballroom, ci si può concedere una pausa. Sono le sette e fra un po’ bisognerà accendere i fari. Infatti a Roma si può giocare fino alle 19 e 34, come ci dice Sergio Palmieri, l’uomo ovunque del torneo che più di tutti consumerà le suole delle scarpe durante questi dieci giorni E allora i raccattapalle che hanno finito il turno si sdraiano sul verde a mangiarsi un gelato, mentre la gente si avvia ai cancelli e sulle tribune ci sono pochi spettatori. Eppure in campo c’è Gulbis, un nome che tira. Il lèttone è uno di quelli che incute maggior timore ai piccoli tennisti vestiti Australian color arancio-blu che gli porgono palline e lo inseguono per farsi ridare l’asciugamano sudicio. Gulbis non fa paura però al più grande tifoso italiano di Jiri Vesely che, appostato in tribuna in solitaria, incita il suo idolo a ogni punto, dandogli anche la strategia: Daje Vesely rimettila di là che poi fa tutto lui. Senza neanche andarci troppo lontano.

Un corrucciato Ernest Gulbis, strano eh?

Un corrucciato Ernest Gulbis, strano eh?

E allora si formano i capannelli degli addetti ai lavori sui prati che circondano il Pietrangeli, si scattano le ultime foto con la social media manager degli #IBI15 e si sorseggia l’ultima Corona della giornata. Da lunedì ci sarà anche il serale e toccherà lavorare di più. Questa settimana, intanto, ci sentiamo tutti un po’ importanti, come cantava Venditti. Il tennis mondiale è a Roma e gli Internazionali d’Italia siamo anche noi sulle tribune, “che nun contamo niente.

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