Roger Federer: "Dopo la vittoria in Coppa Davis ho pensato al ritiro"

Interviste

Roger Federer: “Dopo la vittoria in Coppa Davis ho pensato al ritiro”

Nella lunga intervista rilasciata a Le Monde, prima dei tornei di Roma e Parigi, il campione elvetico parla di sé, del tennis di ieri, di quello di oggi e di quanto sia difficile riuscire a smettere

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Proviamo a ripercorrere il suo Roland negli ultimi anni: nel 2011 finale,  semifinale nel 2012, quarti nel 2013, ottavi nel 2014. Dovremmo preoccuparci per il 2015?
No, spero di no… Nel 2013 stavo male. Non ero al 100% e al Roland Garros, quando non sei al meglio fisicamente, non puoi ottenere grandi risultati. Lo scorso anno invece perdere da Gulbis è stata una grande delusione,  perché poi avrei incontrato Berdych nei quarti di finale con delle chance di arrivare in semifinale. Quest’anno, se trovo il mio gioco, se sto bene fisicamente, penso di poter fare molte cose.

Il suo obiettivo può essere quello di vincere il torneo?
Sì, mi piacerebbe alzare ancora una volta la Coppa dei Moschettieri e sarebbe una sorpresa incredibile. Sulla terra ho meno punti di riferimento, non ho passato molto tempo su questa superficie negli ultimi anni, ma l’obiettivo è ancora quello. Bisogna sempre puntare in alto, senza dimenticare i primi turni per non subire una sconfitta come all’Australian Open di quest’anno (3° turno contro Andreas Seppi, ndr).

Dopo aver perso quattro volte di fila contro Rafael Nadal tra il 2005 e il 2008, di cui tre volte in finale, c’è stato un momento in cui si è detto: “Non vincerò mai il Roland”?
No, mai. Non me lo sono mai detto ma è chiaro che era un po’ frustrante arrivare così vicino alla vittoria. E poi c’è anche chi ti dice che la finale non è il massimo dei risultati. È vero che nel 2008 ho perso molto seccamente (6-1, 6-3, 6-0, ndr) ma l’anno dopo sono tornato e ho vinto. Sono molto orgoglioso di questo.

E Novak Djokovic, che sta facendo una stagione fantastica ma ha perso sei partite al Roland Garros contro Nadal, secondo lei, teme di non vincere l’unico Slam che gli manca?
No, penso che dica piuttosto: “Mi avvicino sempre di più”. Se perde ancora una volta e poi di nuovo, ad un certo punto forse penserà: “Ah, non mi resta molto tempo”. Detto questo, mi dispiace, adoro il Roland, ma i giornalisti e il pubblico pensano che devi vincere tutto e invece si può avere una splendida carriera oltre il Roland Garros. Oggi mi fanno sempre domande sul fatto che non ho mai vinto a Monte Carlo e a Roma. Sì, ok, va bene ma non si può vincere tutto. Quello che puoi fare è provare tutto. È quello che sta facendo Novak ed è quello che cerco di fare da quindici anni. La cosa importante è non avere rimpianti.

Perché non ha deciso di smettere dopo aver vinto la Coppa Davis nel 2014, contro la Francia?
Bella domanda. Ovviamente ho avuto questo pensiero ma non ero certo di fare questa scelta. Ritirarmi senza esserne realmente convinto e poi, magari, avere la voglia di tornare dopo qualche anno è qualcosa che non mi appartiene. Certo, devo ancora giocare una Coppa Davis prima delle Olimpiadi di Rio, anche se trovo questa regola ridicola, e forse, con il senno di poi, mi renderò conto che sarebbe stato meglio fermarsi, ma in quel momento non me la sono sentita di prendere quella decisione.

Pensa ancora di vincere uno Slam?
Credo di sì, considerando come ho giocato l’anno scorso a Wimbledon (perso in finale da Djokovic, ndr) e agli US Open (perso in semifinale da Cilic, vincitore del torneo, ndr). Posso ancora vincere uno Slam. Il Roland Garros è forse il più difficile per me. Credo di avere maggiori possibilità negli altri tornei.

Il tuo record di 17 ­Slam è minacciato?
Sì, Rafa (Nadal, ndr) non è lontano (con i suoi 14 titoli, ndr), può farlo. Ma sono convinto che i record esistono per essere battuti, quindi questa eventualità non mi spaventa. Ho avuto il mio tempo quando ho battuto il record di Sampras (14, ndr) così come Sampras ha avuto il suo momento quando ha battuto quello di Emerson (12, ndr). Questo è qualcosa che nessuno può togliermi.

Però può sperare che il suo record tenga più a lungo possibile …
Sì, ma allo stesso tempo sei felice per chi fa meglio di te. Questa è un’epoca segnata dai record e dall’idea che bisogna batterli. Quando ero giovane, non era nemmeno un argomento di discussione. È iniziato verso la fine della carriera di Sampras.

Nel 2008, dopo una sconfitta in semifinale a Melbourne, lei ha parlato di aver “creato un mostro”. Cosa intendeva?
Per anni la gente era scioccata quando perdevo un set, per i giornalisti non avevo il diritto di perdere una partita. Raggiungere la finale? Questo non andava bene. La semifinale? Neanche a parlarne. Un quarto di finale? Era come se avessi perso al primo turno. Si stava veramente esagerando, perdendo la dimensione delle cose.

Era pesante vivere e giocare con questa pressione?
No, non proprio, ma a volte ero un po’ frustrato per alcuni risultati che non venivano apprezzati per il loro vero valore. Rafa, Novak e anche Murray hanno cominciato a vincere sempre, e i media pensano che questo sia normale. Ma non è affatto normale. Quello che fanno, soprattutto Novak e Rafa, è semplicemente incredibile, e non sono sicuro che tutti ne siano veramente consapevoli.

È contento di non essere più il superfavorito in ogni torneo?
Solo un po’ perché devo ammettere che mi piace essere il favorito.

Fino a quando la vedremo in campo? Il tempo che i suoi gemelli siano abbastanza grandi per vederla giocare?
Mia moglie ha detto questo per scherzare. Cioè, non so, forse invece era seria. In effetti i bambini potrebbero prolungare la mia carriera. Vedremo.

Quindi la vedremo almeno fino ai Giochi Olimpici di Rio dell’estate 2016?
In linea di principio, sì. Beh, manca ancora un anno e mezzo, ma è un desiderio. Le Olimpiadi sono qualcosa di straordinario.

E oltre?
Non credo che mi ritirerò dopo Rio. Molti pensano che smetterò dopo i Giochi, ma io non ho mai detto questo. Non ho idea di come e dove accadrà.

Si immagina coach  un giorno?
Per motivare i giovani in Svizzera, giocare con loro, dare consigli agli allenatori sì, nessun problema. Continuare a viaggiare dopo tanti anni, tuttavia, è molto difficile da immaginare. Ma è stato lo stesso per Stefan Edberg. Credo che non avrebbe mai immaginato di tornare di nuovo sul circuito quindici anni dopo essersi ritirato… Quando immagino il dopo, all’inizio mi vedo piuttosto nel mondo degli affari, al servizio della mia fondazione (la Fondazione Roger Federer, per l’educazione dei bambini, ndr) e con la mia famiglia in Svizzera. Nel tennis, anche, in un modo o nell’altro, ma non so esattamente come.

La vita di un giocatore di tennis fuori dalla Top 120 – in pratica, quelli che non partecipano regolarmente agli Slam – è spesso precaria. Sarebbe disposto a ridurre i suoi guadagni per permettere a questi “forzati del tennis” di vivere meglio del loro sport?
Si tratta di un tema importante che è stato molto discusso in sede di Consiglio dei giocatori. Vorremmo che il maggior numero di giocatori possibile guadagni meglio, ma non è certo pensabile di organizzare un circuito che premia i perdenti. Solo perché giochi a tennis, guadagni $ 20 000 anche se poi perdi al primo turno di un piccolo torneo? Non sono d’accordo. Si deve prima dimostrare il proprio valore. La dotazione dei Challengers e dei Futures (2e e 3e divisioni del tennis mondiale, ndr) aumenta sempre e nei tornei più grandi abbiamo davvero fatto passi da gigante in termini di ripartizione. Ma è vero che per i giocatori al di là della Top 120, si possono ancora fare piccoli aggiustamenti verso l’alto.

Il gioco si è uniformato, le superfici sono state rallentate, il serve&volley è scomparso a favore del gioco da fondo campo. Non le succede mai di annoiarsi guardando una partita di tennis?
È un peccato che tra i 100 migliori del mondo non ce ne sia una ventina che giochi a rete e una ventina dietro la linea a giocare di lift. Prima c’erano ragazzi che non sapevano giocare da fondo campo e altri che non erano in grado di fare una volée. Oggi tutti sanno fare tutto. Quindi quando si incontrano due stili di gioco simili, e ogni punto si svolge allo stesso modo, faccio fatica a seguire il match.

Cosa le manca del tennis di ieri?
All’epoca, in ogni torneo, c’era sempre un giocatore capace di infiammarsi e di alzare la qualità di gioco durante la partita. Con un buon servizio e qualche volée, diventava  molto difficile da breakkare e poteva vincere 7-6, 6-4 o 7-6, 7-6. Oggi devi colpire la palla davvero bene per battere i migliori, che alla fine riescono sempre a trovare un modo per vincere. Molti giocatori ci lasciano giocare invece di prendere dei rischi e vedere quello che succede. Mi piacerebbe che giocatori top 5 o top 10, pensassero: “Ok, non mi piace la volée ma cercherò di scendere a rete, di applicarmi seriamente e di provare un serve&volley almeno un paio di volte a partita”.

E lei non ha mai pensato di giocare serve&volley per una partita intera, provando a battere Nadal al Roland Garros?
È facile da dire ma è molto difficile da fare. Ho provato un po’ nella finale di Roma nel 2013. Ho perso 6-1, 6-3. (Sorride). Dovresti giocare in questo modo tutte le partite di un torneo per affrontare la finale contro il miglior giocatore sulla terra battuta.

Quello che non esiste più, sono gli irascibili tipo McEnroe, Connors e Nastase. Non si può più gridare in campo oggi?
Sì, possiamo ma questo toglie molta concentrazione, i giocatori si sono resi conto che non vale la pena di lanciare racchette o parlare con i giudici di linea. Perché è qualcosa che può ritorcersi contro di te, e i giocatori vogliono essere amati dal pubblico e dagli altri giocatori. Ora il comportamento corretto è molto diffuso, quando un giocatore urla in campo, è considerato un pazzo. Ma in fondo è per questo che io ero contro l’Hawk-Eye (Sistema digitale che può controllare dove la palla rimbalza, ndr). Perché non c’è più dialogo con l’arbitro. Prima, quando veniva chiamato “fuori”, andavi dal giudice di sedia: “No! Sì! Out, no! Non è possibile! Non hai visto niente!” Oggi, si alza un dito e si dice: “Hawk-Eye”. Mi manca un po’ il lato personale. C’era vita. E a me andava bene, perché molti giocatori perdevano la concentrazione a causa di questo e a volte ho potuto approfittare dell’occasione.

Ora, in generale, tutto sembra sotto controllo nella vita di un tennista…
Il lato privato in realtà non esiste più. Con gli smartphone e i social network tutto è diventato molto complicato. Anni fa’ si era più tranquilli, era più facile essere se stessi, non avevi  così tante persone intorno a te, Edberg era amico con dei giornalisti. Da una decina di anni, il tennis è entrato in un’altra dimensione, c’è un lato incredibilmente professionale. Quando ho visto Rafa, Murray o Djokovic ottenere i loro successi iniziali, molto prima di me, con un’equipe di cinque persone intorno, l’ho trovato incredibile. Io all’inizio della mia carriera, avevo solo il mio allenatore. E mi avrebbe fatto impazzire il fatto di essere circondato da diverse persone e non avere il diritto di perdere, perché devi arrivare almeno a un quarto o in semifinale per mantenere l’equilibrio finanziario. Sarebbe stato troppo per me. Li ammiro anche se mi chiedo quanto tempo saranno in grado di giocare perché, fin dall’inizio della loro carriera, sono sottoposti a un regime serio e rigoroso.

Pensa che possano esaurire le loro energie prima di Lei?
Forse sì. Me lo chiedo. Detto questo, sembrano felici sul circuito, penso che abbiano trovato il loro equilibrio.

Come si spiega che Lei non abbia mai perso, cosa rara, una partita per abbandono?
Ho avuto un po’ di fortuna, perché nel 2005 ho subito una distorsione alla caviglia e se questo fosse accaduto durante una partita, non avrei potuto continuare. Comunque ho giocato anche quando avevo dolore o ero infortunato. Ho sempre detto: “Se rinunci, è perché pensi di mettere a rischio la tua carriera”. Le mie capacità fisiche e forse il mio stile di gioco mi consentono di giocare abbastanza bene anche quando mi sono fatto male. Riesco a fare in modo che l’avversario non si accorga quasi di nulla.

È stato così nella finale dell’ultima Coppa Davis, quando si parlava solo della sua schiena dopo il forfait al Masters di Londra una settimana prima?
Contro Gaël (Monfils il venerdì, ndr) ho avuto tanta paura. Lui ha giocato molto bene (vittoria in tre set, ndr). Avevo paura nelle scivolate, non sapevo esattamente come la mia schiena avrebbe tenuto. Il doppio (sabato, con Wawrinka di fronte Benneteau-Gasquet, ndr) mi ha dato molta fiducia, e la domenica (contro Gasquet, ndr) stavo molto meglio. Mi sono fatto un po’ male verso la fine del primo set ma niente di serio e sono stato in grado di gestire la situazione.

Come è riuscito a recuperare per la finale di Coppa Davis? Ha ricevuto delle cure quotidiane?
No, la situazione non era così drammatica. Con il mio fisioterapista abbiamo fatto il necessario.  Il lunedì e il martedì sono stato fermo sul divano e avevo sempre male. Il mercoledì pomeriggio ho cominciato a correre un po’ e ho potuto giocare a tennis. Così giovedi mi sono riscaldato per quarantacinque minuti e ho giocato mezz’ora. Ho colpito senza esagerare, nella speranza di tenere. Quando ho perso contro Gael, Stan (Wawrinka, ndr) è venuto in campo, mi ha chiesto: “Come ti sei sentito? “Ho risposto: “Verso la fine della partita un po’ meglio”. E lui ha detto: “Perfetto, questo è tutto quello che ci serve”.

Nel tennis è raro sentire parlare di controlli antidoping positivi. Perché il doping non c’è? Perché ce lo nascondono? Perché non ci sono abbastanza controlli?
Sicuramente si potrebbero fare più controlli. Anche nei tornei ATP 250. Non appena si raggiunge un livello finanziariamente interessante, abbiamo bisogno di controlli. È importante sapere che sarai testato ogni volta che giochi un torneo. Quando vinci tre tornei e due mesi dopo non sei ancora controllato, c’è qualcosa che non va. Forse si potrebbero mantenere i campioni biologici più a lungo, per punire più tardi, se necessario. E trovo che non ci siano abbastanza test lontano dalle competizioni. Ma io continuo a pensare che il programma funziona; il passaporto biologico è già un inizio.

A quanti controlli è sottoposto in un anno?
L’anno in cui ne ho fatti di più è stato il 2004,  credo 25. Mi ricordo di aver passato tre test consecutivi in un fine settimana di Coppa Davis, venerdì, sabato e domenica. Ora non credo più di 15 all’anno.

Ci sono stati dei controlli antidoping durante o dopo la finale di Coppa Davis?
Onestamente non ricordo.

Traduzione di Maria Cristina Graziosi

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