Perché il tennis femminile mi lascia spesso perplesso, anche se Serena...

Editoriali del Direttore

Perché il tennis femminile mi lascia spesso perplesso, anche se Serena…

Ancora prima che Serena Williams rischiasse la clamorosa eliminazione con Heather Watson, le gare femminili sono state fin qui più avvincenti, ricche di sorprese che quelle maschili. Ma se l’imprevedibilità è motivo di maggior suspence, game dopo game, essa può essere anche… tecnicamente irritante

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Guarda il commento di Ubaldo e Steve Flink al Day 5 di Wimbledon (in inglese)

L’ottimo AGF, collaboratore di Ubitennis che stravede per il tennis femminile e che se gli chiedo di seguire – per sbaglio – un match maschile mi guarda disperato, sarà contento di come sono andate le cose in questi cinque giorni wimbledoniani, e io so che passerò quale orribile “male chauvinist pig”, ma invece sono un po’ stufo di dover dedicare sempre molto più spazio al tennis femminile anziché a quello maschile che, salvo errori, riscuote per solito maggior gradimento tra i lettori di Ubitennis.

Se si fa eccezione per la sconfitta di Rafa Nadal con Dustin Brown, che per qualcuno non dovrebbe essere considerata neppure una clamorosa sorpresa visto che il Nadal del 2015 non sembra lontano parente del Nadal che conoscevo e che è quello delle cinque finali a Wimbledon e non quello delle quattro batoste con tennisti in tripla cifra (dalla n.100 di Rosol alla 135 di Darcis, alla 144 di Kyrgios per finire alla 102 di Brown), è vero che in questi primi cinque giorni dei Championships l’ecatombe di teste di serie nel “ladies singles” – sei delle prime 12 – e i rischi corsi da alcune superstiti (tipo Serena Williams e Lucie Safarova) ha finito per offrire molti più spunti piuttosto che il torneo maschile dove il rispetto delle gerarchie è stato molto più coerente. Anche oggi Djokovic contro Tomic, Wawrinka contro Verdasco e lo stesso Gasquet nel “derby dei grandi rovesci monomani” contro Dimitrov, non mi hanno fatto vivere momenti di grande suspence. E nemmeno, ad essere onesti, la maratona dei “super-battitori” Isner e Cilic ancora lontani dal ripercorrere le orme d Isner-Mahut del 2010 (70-68 al quinto), ma insomma mica poi così divertenti. Un match non equilibrato, dopo 40 anni di tennis, non mi eccita più. Di bei colpi, bei punti, ne ho visti milioni. Non esagero. Anche se li fa Gasquet con il rovescio lungolinea a una mano a Dimitrov, o Djokovic con quello a due a Tomic. Allora quasi solo dove c’è “sangue e arena” mi interesso, cerco di seguire, talvolta mi diverto ancora, anche se al tempo stesso non riesco a non esprimere critiche per un tipo di tennis – quello delle donne – che tecnicamente mi sembra sempre un po’ troppo… limitato, forse perché non riesco a non confrontarlo con quello maschile, anche se so bene che non è giusto. Non voglio darmi arie del grande giocatore che non sono stato, ma il ricordo di come potevo battere facilmente la giocatrice che era n.1 d’Italia, e di come battei – sia pure, inevitabilmente, in una partita di semplice allenamento – una tennista che aveva vinto 3 volte Wimbledon, mi ha come segnato.

Il tennis femminile mi pare sempre troppo imperfetto. Incredibilmente migliorabile. E non riesco a sentirmi, ad esempio, meno preparato tecnicamente a parlare e commentare di tennis rispetto ad una tennista che è stata magari n.40 del mondo (o anche 20). Per carità, lei ha vissuto esperienze in teatri cui io non sono riuscito ad avvicinarmi, quindi ha vissuto delle sensazioni che io non ho potuto vivere, però il mio tennis – mi scusino tutte le giocatrici che hanno raggiunto classifiche nelle top 100 fino a qualche anno fa – era migliore del suo e non vedo perché dovrei capire di tennis meno di lei, dissertarne con qualche complesso. Sia chiaro: oggi le donne giocano molto meglio di quaranta anni fa, hanno molta più potenza, più fisico, hanno affinato tante qualità anche tecniche, giocano a rete come un tempo – nell’era Pericoli, Lazzarino per restare in Italia – si sognavano, Serena Williams è capace di servire a più di 200 km l’ora e non è la sola se perfino la piccola Krunic contro la Errani ha battuto prime palle a 188 km, mentre io ricordo che una delle rarissime volte che ho potuto servire con un radar che misurava la velocità di qualche mio servizio, facevo fatica ad arrivare a 160 km orari (ma con la Dunlop Maxply che usava John McEnroe eh…). Da seconda categoria di vertice quale ero oggi soprattutto mi sorprende sempre la capacità di queste top-player di giocare anche 20 colpi a 5 centimetri dalla riga di fondocampo. Come delle macchine. Io non ne sarei mai stato capace. Al terzo o quarto scambio se andava bene accorciavo, se andava male sbagliavo. E talvolta al terzo o quarto non ci arrivavo. Al tempo stesso vedo oggi donne che sbagliano caterve di risposte su seconde palle di battuta che io, se le avessi, mi sarei imbestialito con me stesso. Anche Serena stasera contro la Watson ha sbagliato delle risposte assurde.

A furia di vedere tennis maschile, mentre riesco a passare sopra all’idea che i break nel tennis femminile non sono veri break – nel senso che contano infinitamente meno… salvo che, tranne stasera, giochi Serena – e mi piace tutto sommato anche l’idea che in un match femminile un break iniziale non significa che all’80 per cento chi l’ha ottenuto vincerà il set – anzi! Invece nel maschile è spesso così: pensate a Pospisil-Fognini… – e pure il fatto che ogni game parte quasi alla pari mi piace perché è meno scontato di troppi games giocati dagli uomini, però i troppi errori gratuiti, le troppe occasioni sciupate in un match femminile troppo dominato dai nervi dell’una o dell’altra contendente, mi suscita qualche insopprimibile fastidio. Troppe volte, confesso, mi sembra tennis di serie B. Il fascino dell’imprevedibilità – che indubbiamente esiste – è fortemente attenuato dalla costanza di troppi passaggi a vuoto. Insopportabili. Di risultati quasi privi di logica. La Watson aveva salvato matchpoints al primo turno contro Caroline Garcia e oggi per poco non batte la n.1 del mondo. Ok, può succedere anche nel tennis maschile, ma molto meno. Ci sono, è vero, anche molti risultati femminili che sono condizionati dai cicli mestruali di questa o quella giocatrice. Nessuna lo dirà mai, anche se non si dovrebbe vergognarsene. Se poi invece diventasse “politically correct”, o accettabile, che le ragazze che ne fossero vittima, lo dichiarasse apertamente, sicuramente qualcuna finirebbe per approfittarne. Magari qualcuno teme che le avversarie, o i loro coach ed agenti, possano fare i conti sulle sue scadenze.

So che verrò criticato per quanto sto scrivendo e confesso la mia visione parziale, condizionata – temo e ripeto – dal fatto di aver giocato a tennis, sia pure non così bene come avrei sognato. Nel farlo ho registrato troppi punti deboli anche nelle tenniste considerate più forti. Alla fine credo che le tenniste debbano considerarsi davvero molte fortunate se possono contare sugli stessi premi degli uomini. Il tennis è forse l’unico sport che garantisce questo tipo di parità retributiva. Un po’ demagogica ai miei occhi. Ciò accade in controtendenza con le leggi di mercato e non è una questione di due set su tre o tre set su cinque. Perché un film più corto può essere anche mille volte migliore di un film più lungo. Ma quando si vendono i biglietti di uno spettacolo si capisce cosa tira di più, cosa vale di più: decide il pubblico a valle. Non decide l’organizzatore demagogo a monte. Quanto costano e a quanto vengono venduti al mercato nero i biglietti di una finale maschile e quelli di una finale femminile? La differenza è enorme anche in un Paese come l’Inghilterra dove l’approccio al tennis femminile non è mai stato così maschilista come, ad esempio, in Italia.

Tutto ciò detto, e consapevole delle critiche che mi pioveranno addosso, rispetto moltissimo chi non le pensa come me, tant’è che in questi giorni su Ubitennis sono stati molti di più i titoli e gli articoli pubblicati sul tennis femminile che non quelli sul tennis maschile. In Italia, poi, negli ultimi 10 anni, non c’è dubbio che le nostre tenniste ci abbiano dato molte più soddisfazioni che i nostri tennisti. E, vi dirò, al di là dei loro migliori risultati, le tenniste azzurre hanno dimostrato in genere – poi ci sono sempre le eccezioni sia chiaro – più serietà, più determinazione, più professionalità, più spirito di sacrificio e vorrei dire anche più intelligenza. Anche quest’ultima connotazione, ribadisco, la esprimo ben sapendo che non si può troppo generalizzare e che ci sono (e sono state) varie eccezioni.

Anche se le nostre ragazze hanno dato lustro al tennis italiano, negli Slam come in Fed cup, in singolare come in doppio, però non mi pare che siano riuscite a trascinarsi dietro un movimento, non paiono avere eredi, né mi pare che la FIT sia riuscita a promuovere molto di più il tennis femminile grazie ai risultati di Schiavone, Pennetta, Errani e Vinci. Non che fosse facile, per la verità. Non sono passati 50 anni da quando gli Internazionali d’Italia femminili furono trasferiti a Perugia, o quando le finali donne venivano giocate a Roma alle 10 del mattino davanti a quattro gatti. E non ne sono passati 10 da quando il torneo femminile agli Internazionali d’Italia ante-torneo-combined mostrava spalti desolatamente vuoti, la settimana successiva al pienone del torneo maschile.
Tuttavia sono curioso di cosa potrebbe succedere se, putacaso, Camila Giorgi, dando ragione al padre che ritiene che lei possa vincere Wimbledon nei prossimi tre anni (o addirittura già quest’anno) ci riuscisse davvero. Lei, che pure parla poco e a bassa voce, ha un tennis che parla per lei, che eccita, che entusiasma. Costellato di quegli errori che mi fanno inorridire, ma anche abbellito da anticipi pazzeschi e colpi assolutamente unici. Da fondocampo come a rete.
Ecco forse Camila Giorgi, se all’improvvso cominciasse a vincere con continuità, sarebbe capace di risvegliare l’interesse italico sul tennis femminile. E perfino il mio, male chauvinist pig.

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