Grande Flavia Pennetta anche nell'addio. Ci mancherai, ma il tuo esempio resterà

Editoriali del Direttore

Grande Flavia Pennetta anche nell’addio. Ci mancherai, ma il tuo esempio resterà

Fra interviste in italiano e inglese, Flavia Pennetta ripercorre una vita trascorsa nel tennis. 20 anni, mica uno.Le vittorie più belle, ma non solo. Un esempio anche di fair-play. Se avesse accennato a Maria Sharapova che…ma non l’ha fatto. Una campionessa orgogliosa e sempre dignitosa. Il suo passato, il suo futuro

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Flavia Pennetta - Singapore 2015
 

Non so se tutti i lettori hanno capito come funziona l’ascolto degli audio. Qui da Singapore credo di averne inoltrati ben 29 se non erro, ma i titoli che sono stati fatti agli ultimi audio li ho fatti in fretta e furia per mandarli al volo e invece raccolgono molte dichiarazioni che reputo davvero interessanti di Flavia e della sue avversarie. Quei titoli non rendono l’idea. Riguardano alcuni suoi ricordi, i primi match giocati da professionista, le sue vittorie più memorabili, i suoi infortuni, il suo futuro, la sua prossima e davvero ultima trasferta tennistica in India per quella strana ma munifica competizione organizzata da Mahesh Bhuphati ed altri, le sue aspettative, Fabio Fognini, Barcellona, la sua partita con Maria, i soldi e la loro importanza. Anche perchè qui a Singapore è tardissimo per scrivere ancora molto e io avrei molto piacere che li sentiste, e chi può anche quelli in inglese perchè a mio modo di vedere sono interessanti sia per le risposte che Flavia ha dato, sempre misurate, intelligenti, simpatiche, sia per le domande dei colleghi della stampa internazionale che riflettevano la generale ammirazione per la nostra giocatrice (a proposito della quale nei giorni scorsi ho bombardato di domande un po’ tutte le altre giocatrici, contemporanee e non). Ricorderete che Marion Bartoli e Martina Navratilova, hanno detto di aver pianto quel giorno in cui Flavia ha conquistato l’US open, il 12 settembre. Nel mio audio personalizzato, infine, potrete sentire che Flavia …prende in giro me, perchè mi vede con il lucciconi agli occhi, e anche perchè mi sono sbagliato a contare le pallebreak che lei ha avuto nel quinto game del primo set (due e non tre, “Ubaldo perdi colpi!” ) mentre lei è tranquilla e sorridente, sembra quasi non rendersi conto che ha appena disputato la sua ultima vera partita da tennista professionista. Si capisce anche che spera che l’anno prossimo a Roma le sia data occasione di salutare il pubblico degli internazionali e sicuramente questa possibilità le verrà data, ci mancherebbe.

Più d’uno, lo sento, salirà sul suo carro. Accade a tutti i vincitori. Ma loro, proprio perchè sono stati grandi protagonisti, sono perfettamente in grado di capire chi sono quelli che meritano di condividere in qualche modo i loro successi e chi invece no. Io so soltanto, per quel che mi riguarda, di non avere alcun merito. Ma di aver partecipato con grande passione, emozione, intensità, e direi anche amore, alle vittorie dei nostri giocatori. E non per interesse personale – come potrebbe apparire oggi che sono l’editore di un sito che trae ovviamente beneficio dei buoni risultati ottenuti dai tennisti italiani per il maggiore interesse che essi suscitano nei lettori italiani – ma perchè ho sempre sentito l’emozione che procura una vittoria italiana in qualunque sport, non solo nel tennis. Sono uno di quei patetici cretini che quando suona l’Inno di Mameli si commuove ancora. Anche se qualcuno lo critica, lo considera una marcetta di scarso spessore musicale e non all’altezza del Va Pensiero verdiano del Nabucco. Ricordo il patto che facemmo da ragazzini junior al college di Formia sotto le ali di Mario Belardinelli: “Chiunque di noi riusciràrà a vincere qualcosa a livello internazionale…non sarà lui il solo ad aver vinto, ma sarà una vittoria di tutti noi e per tutti noi”. Beh, io me lo ricordo sempre, e ricordo di aver versato lacrimucce per il trionfo di Adriano Panatta al Roland Garros 1976. E poi tante altre volte anche per risultati meno prestigiosi dei nostri. Quando ho sentito qualche imbecille dire che io tifavo contro i tennisti italiani, o che io ero contento quando perdevo, li ho commiserati, ho sempre pensato che…appunto, quelli che la pensavano così erano dei grandi imbecilli.

A Flavia è stato chiesto oggi da alcuni colleghi stranieri quali fossero i match che più ricordava fra i tanti vinti e lei, faticando non poco a estrapolarne alcuni, ha ricordato quello in cui rimontò Nadia Petrova al Foro Italico “lei era n.4 del mondo, io avevo perso il primo set e stavo perdendo pure il secondo”. Io ricordo invece quello straordinario in cui annullò sei matchpoints nel tiebreak a Vera Zvonareva nel secondo ad uno US Open. Ma se mi ci metto, ne ricordo decine di altri. Incluso quello in cui battè Amelie Mauresmo in Fed Cup, e non me lo ricordo certo perchè quella fu una delle rarissime occasioni in cui Flavia si fece prendere la mano, anzi il dito medio, da una difficilissima situazione ambientale. E quel torneo di Los Angeles? E quello di Indian Wells, soprattutto i match prima della finale, un anno e mezzo fa? E l’ultimo US open con quelle lezioni impartite ad Halep (che rabbia che ci abbia perso così male nella prima giornata di queste finali di Singapore! Avesse vinto almeno il secondo set, e ci stava, avrebbe potuto giocare sabato in semifinale) e a Kvitova? In finale io mi sono emozionato certo, come tutti, ma meno. In quel torneo la partita più memorabile è stata quella di Roberta Vinci con Serena. Insomma quando ho detto a fine intervista a Flavia “Ci mancherai!” l’ho detto perchè l’ho sentito veramente. Ho sempre avuto una grane simpatia per lei, ho criticato certe sue prestazioni perchè il mio dovere di giornalista è anche di sottolineare cose che un amico, un parente evita di sottolineare, ma questo accade perchè è il mio mestiere quello di tentare di informare i lettori con i fatti e le mie (peraltro discutibilissime) opinioni.

Flavia dice, a me e a comuni amici, che sono “un tipo tosto” e non credo sia un complimento. Ma forse non è nemmeno un’offesa. Lo spero almeno. Ma se anche lo fosse io non cambierei idea su lei. È stato un esempio di grande sportiva prima ancora che campionessa, di bravissima ragazza molto ben educata dai suoi genitori. Come ha avuto modo di dire lei, dopo i tornei vinti, i soldi guadagnati, il primo posto in classifica mondiale di doppio, il trionfo nel Masters 2010 di specialità in coppia con Gisela Dulko, il traguardo di prima italiana nelle top-ten WTA, il settimo posto raggiunto a fine 2015 (credo rimanga tale…ma se anche fosse l’ottavo poco cambierebbe): “Ho avuto una carriera perfetta, non potevo immaginarmi tutto questo quando ero raccattapalle agli Internazionali d’Italia e sognavo di giocare lì“. Ha giocato tutte le sue carte fino all’ultimo, andando a cercarsi ovunque, Pechino, Tianjin. Mosca, i punti che le servivano per togliersi quest’ultima grande soddisfazione, disputare almeno un Masters WTA di fine anno. Determinata, quasi cocciuta… fino all’ultimo ha reagito allo stesso modo in cui da ragazzina aveva reagito al tifo contratto per aver mangiato un po’ dissennatamente frutti di mare non cotti, poi a vari infortuni (ai polsi e non solo) che in vari momenti l’hanno allontanata dal tennis anche per mesi “costringendomi a ricominciare da capo più volte, a ripartire da zero“. Una forza d’animo incredibile per una ragazzina che da 20 anni, sì da quando affrontava e magari perdeva con la piccola Roberta Vinci nelle gare regionali under 12 pugliesi, si è sempre messa in discussione, racchetta in pugno, sui campi di tennis delle Puglie, dell’Italia, dell’Europa, del mondo.

Sono passati 15 anni dacchè con la sua primissima rivale Roberta Vinci, poi diventata sua compagna di camera a Roma, le due ragazzine pugliesi vinsero il Roland Garros junior in doppio. 15 anni correndo dietro una pallina da tennis, vivendo momenti magici ma anche difficili, in campo e fuori. Ora Flavia ha scritto la parola fine a questa lunga fase della sua vita, pronta a chiudere una parentesi e ad aprirne un’altra. Quale non è ancora possibile sapere con esattezza. Moglie, madre? Di certo Flavia ha detto che si fermerà a Barcellona, “fino a quando no so. Io ci sto bene, ma magari Fabio un domani potrebbe avre un altro allenatore (Josip Perlas oggi) che sta in un altro Paese e…come si fa a sapere che cosa può accadere?“. Certo Flavia, hai ragione. Fino all’ultimo ha dimostrato di essere un bell’esempio per il nostro sport. Tenace ed orgogliosa. Non avrebbe mai chiesto alla WTA una wild card, come il regolamento WTA prevedeva, se non fosse stata una delle prime otto tenniste ant-Singapore. Papà Oronzo non aveva dubbi in proposito. Non si sa nemmeno se l’avrebbe accettata, sarebbe stato unpo come entrare dalla porta di servizio, estromettendo un’altra tennista, forse un’amica, che se lo era meritato più di lei, a suon di punti conquistati sul terreno. E così a Flavia non è passata nemmeno per la testa di avvicinare Maria Sharapova per dirle “Guarda che tu sei qualificata comunque, mentre a me basta un set per raggiungere le semifinali”. Un’altra tennista magari lo avrebbe fatto. Flavia no. E noi tutti, pur dispiaciuti, quasi addolorati per un’eliminazione che poteva essere evitata da un dritto uscito di un centimetro (quello che le è costtao il mancato 4-1 nel primo set con doppio break) dobbiamo dirle grazie per essere la persona che è. “Sono contenta di aver perso la mia ultima partita con una grande campionessa come Maria Sharapova…che contro di me non aveva mai giocato così bene“; parole vere, sentite, da vera sportiva che oltre che a vincere ha imparato anche a perdere e…siccome si può perdere anche dalla Kichenok, n.414 del mondo, quando non si è in buone condizioni, può davvero essere un motivo di orgoglio anche il poter dire: “la mia ultima partita l’ho lottata ma perduta contro una grande campionessa che ha vinto 5 Slam ed è stata anche la n.1 del mondo“. Grande.

Ciao Flavia. Consentimi di ripeterlo: ci mancherai.

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