Editoriali del Direttore
Novak Djokovic e Roger Federer la finale più giusta e più attesa
ATP FINALS – Ha impressionato in semifinale più Novak Djokovic che Roger Federer, ma forse è colpa dei loro avversari. Un Rafa Nadal timoroso (che fine ha fatto il suo dritto?) e un Stan Wawrinka distratto (o complessato?) dal 4-2 in poi.

Sembrava scritto che sarebbero stati Novak Djokovic e Roger Federer a giocare questa domenica la finale di questo Masters.
Per inciso oggi non c’è stato uno fra Stan Smith, Jan Kodes, Ilie Nastase, Harold Solomon, Manolo Orantes, Zeljko Franulovic che non abbia chiamato ancora questo evento Masters anziché Atp World Tour Finals, nonostante fossero ospiti dell’ATP e del CEO dell’ATP Chris Kermode che era lì presente.
Il motivo per cui l’ATP è stata costretta a cambiare il nome all’evento, a suo tempo, dipese dal fatto che Ray Benton, direttore del torneo quando lo si giocava al Madison Square Garden, brevettò quel marchio e avrebbe voluto rivenderlo a peso d’oro all’Atp che non si piegò mai al “ricatto”.
Poi l’Atp ha potuto usare la parola Masters per i suoi tornei – oggi i 1000, prima i Super Nine etcetera – perché il brevetto di Benton era valido per un torneo con quelle caratteristiche, gli otto migliori dell’anno, a fine stagione, i gironi eliminatori.
Gli attuali Masters 1000 non hanno nulla a che vedere con la formula delle attuali finali. Però nel gergo degli addetti ai lavori, dei tennisti, questo è e resta il vero Masters, qualunque sforzo faccia l’ATP per comunicarlo in modo diverso.
E dunque Novak Djokovic giocherà la sua quinta finale, dopo averne vinte quattro su quattro (in realtà tre su quattro …), e Roger Federer la sua decima dopo averne vinte sei. Ma non ne ha perse tre bensì due, perché un anno fa dopo la disfida fratricida con Wawrinka, vendicata stasera, Roger non scese in campo contro Djokovic.
Pensavo che Wawrinka avrebbe lottato di più con Federer, anche se Stan dice “Roger ha il gioco perfetto per battermi”, e mai mi sarei aspettato che avanti 4-2 nel primo set cedesse 8 dei successivi 9 games.
Insomma quest’anno le due semifinali si sono esaurite in due set. Lo scorso anno finirono entrambe in tre (anche se quella fra Djokovic e Nishikori davvero non entusiasmò 61 36 60) e il derby svizzero fu di gran lunga il miglior match.
Quest’anno curiosamente il match migliore è stato forse quello che non contava nulla, Nadal-Ferrer, (di una testa sopra Federer-Nishikori) dopo una serie di partite piuttosto modeste.
Djokovic ha conquistato così la sua quindicesima finale consecutiva e chissà quanto rimpiangerà di aver perso a Doha nei quarti da Karlovic ad inizio anno, perché altrimenti avrebbe stabilito un record insuperabile.
Lungo il cammino ha battuto anche 30 top-ten in questo 2015 che “resterà il mio miglior anno anche se dovessi perdere la finale”.
La supremazia di Djokovic su Nadal oggi mi è parsa… terrificante. Terrificante per Nadal. Perché se Djokovic serve soltanto il 47% di prime palle, quindi meno di una ogni due servizi, e un tennista come Rafa non riesce a strappargli più di 3 punti su 19, beh sono due le cose che posso pensare: a) che Djokovic ha una seconda di servizio sempre diversa, assolutamente rispettabile, difficile da attaccare; b) che Nadal si è perso il dritto per strada, perché su una seconda di servizio devi riuscire a mettergli pressione, a tirare subito qualche vincente, a fare qualche punto se non al primo scambio almeno al secondo.
Niente di tutto questo. È vero che Djokovic nel 2011 vinse 7 partite di fila e che nel 2012-2013 Nadal gli restituì la pariglia (6 vittorie su 7), e che ora il fatto che Novak abbia vinto 8 delle ultime 9 partite potrebbe far pensare che sia soprattutto – come ha cercato di spiegare Novak rispondendo a questa mia perplessità “Com’è possibile che succedano serie come queste?”- “un problema di cicli”. È abbastanza normale. In termini di rivalità è la più grande che c’è stata in questo sport perchè abbiamo giocato 46 volte e continuiamo ad andare avanti. È normale che ci siano periodi in cui ‘il momentum’ è di un giocatore e poi passa ad un altro. Non c’è una spiegazione razionale, per dimostrare perché se un giocatore vince due partite di fila su un avversario si costruisce un vantaggio psicologico… oggi riuscivo a fare quasi tutte le cose che volevo provare a fare“.
Ma parlando con diversi campioni del passato, con i quali ho registrato gli audio che spero avrete provato a sentire (quasi tutti quelli citati all’inizio di quest’articolo), diversi hanno sottolineato un Nadal che gioca corto, che non prende più un vero rischio con il dritto che una volta era un’arma letale, che non azzarda una risposta.
Jan Kodes ha criticato in particolare la lentezza della superficie e delle palle sostenendo che “questo tennis è noioso, ha bisogno di diventare più rapido”. Kodes, lo scrivo per i più giovani che non l’hanno visto o…studiato, è un tipo che è arrivato in finale sull’erba allo US open quando si giocava a Forest Hills e ha vinto Wimbledon nel ’73 quando 78 dei primi 83 tennisti del mondo boicottarono il torneo in segno di solidarietà con lo jugoslavo Nikk Pilic che era stato squalificato dalla sua federazione per aver preferito giocare un torneo piuttosto che un match di Coppa Davis.
Non è che Kodes fosse un attaccante. Giocava anzi certamente meglio dal fondocampo. Aveva un magnifico rovescio. Anche se sapeva esprimersi su tutte le superfici il fatto che uno con le sue caratteristiche tecniche dica che il tennis dovrebbe essere “velocizzato” fa riflettere.
Gli audio con Manolo Orantes e con Ilie Nastase sono in italiano perché Ilie che ha vinto il Masters 4 volte e Manolo che lo ha vinto una (“e non me lo aspettavo, non ero giocatore da tennis indoor, quel tennis indoor”) parlano bene la nostra lingua. Con Orantes abbiamo parlato delle sue sfide con Panatta e anche naturalmente di Nadal. Mi pare che le cose che ha detto su Rafa siano particolarmente interessanti.
È vero che questa superficie danneggia gli effetti del su top-spin, però è impressionante come giochi corto, quasi che avesse perso la forza nel braccio.
“Nadal che all’US open perde da Fognini dopo essere stato due set in vantaggio non è Nadal” ha detto fra l’altro Manolo “e questo senza togliere nulla a Fognini che è un giocatore di talento”. A questo punto l’ho interrotto e gli ho chiesto che cosa pensasse di Fognini e…andate a sentirvi l’audio (sennò perché mi dovrei affannare così tanto per poi trascrivere tutto quel che viene detto?)
Aggiungo una sola cosa di quanto mi ha detto Manolo: “Quando battei Santana, che era un idolo, un’icona in Spagna e io avevo solo 17 anni, ricordo che molti mi avvicinarono dicendomi: ‘Fra due anni giocherai sempre più spesso a questo livello’ e io dissi: ‘Ma perché devo aspettare due anni? Se ho già giocato così vuol dire che sono capace di giocare così e se ne sono stato capace oggi devo solo allenarmi per giocare sempre così‘ Ci vuole la mentalità giusta per diventare campioni”. Il campione non è quello che gioca in maniera fantastica un giorno. È quello che riesce a giocarci con grande continuità. Più sempre che raramente.
Certo è che nei giorni scorsi Rafa mi era sembrato in ripresa e oggi invece mi è parso lontano anni luce da Djokovic. “È quasi imbattibile” ha detto Rafa.
Può essere che sia così. La finale con Federer sarà un bel test, con questo Federer che contro Wawrinka, anche se si è trovato sotto per 4-2 nel primo set era sembrato in ripresa, era venuto a rete sul proprio servizio 3 volte nel primo game e altre 3 nel terzo (forse ho segnato qui una volta di troppo nei miei appunti-geroglifici …dove non c’è il replay). Se ho sbagliato, in eccesso, chiedo venia.
Ma, ecco, quando Federer ha avuto il suo anno nero, si è messo di buzzo buono, si è allenato più intensamente – anche lui che credeva di non averne troppo bisogno, avendo sempre confidato nell’innato talento – con Paganini, con il suo team, poi con Stefan Edberg e si è ingegnato a cambiare qualcosa, a venire a rete più spesso fino a quest’estate a Cincinnati quando ha sperimentato l’ormai celebre SABR.
Idem Djokovic che stasera ha spiegato: “Sono riuscito negli anni a migliorare il passaggio da una situazione di difesa ad una di offesa. Il mio servizio è migliorato, non in termini di velocità, ma di precisione e accuratezza. E dalla prima di battuta oggi ho ricavato diversi punti gratuiti (cioè senza fare troppo sforzo)…. E sui punti giocati con la “seconda” servita comunque bene, quando nel secondo set è un po’ calata la mia percentuale, ho retto molto bene da fondocampo. Soprattutto il mio primissimo colpo ha funzionato benissimo”.
Insomma, vedete amici, che i più forti del mondo e del momento non cessano di studiare, di lavorare, di pensare a cosa devono fare. La sensazione è che Nadal si sia un po’ fermato, non abbia cercato le contromisure ad un tennis, il suo, che non basta più per contrastare un Djokovic intrattabile.
Quando gli hanno chiesto se potesse essere un problema “mentale” Rafa ha detto, esprimendo un concetto abbastanza condivisibile: “Quando un altro giocatore ti è superiore nei colpi si finisce spesso per buttarla sul mentale…ma il fatto è che se uno gioca meglio, come oggi e quest’anno Djokovic, non c’è mentale che tenga”.
Vero, ma anche vero – come dicevo – che Rafa deve imparare a prendersi più rischi. Non può accontentarsi di rispondere a metà campo. Così come Roger Federer non poteva accontentarsi di rispondere bloccando il polso all’atto di giocare il rovescio. Oggi, sarà anche per via della racchetta con l’ovale allargato, tante volte prova a giocare d’incontro, a coprire il rovescio e ad anticipare l’avversario che se ha messo tutto il corpo nell’esecuzione del servizio non fa a tempo a rialzarsi e a preparare il colpo successivo. Non tutti sono Djokovic che è un elastico e che proprio, come ha spiegato lui stesso, dall’esecuzione del servizio si riprende alla grande e spara subito un primo colpo che gli consente di dettare lo scambio.
Vabbè, vedremo che cosa succederà nella finale. Io vedo favorito Djokovic a dispetto di quanto accaduto nel girone eliminatorio e nonostante Federr abbia detto: “Ha un suo peso, perchè possiamo tutti e due guardare cosa ha funzionato e cosa no. Stesso campo, stesso condizioni, stesso posto, non è come aver giocato una settimana prima in un’altra posto… a me dà un po’ di fiducia, a lui questa finale consente una seconda chance”.
La penso come Federer quando ha aggiunto: “Credo che la sua fiducia sia più forte della mia considerando tutti i successi che ha avuto quest’anno”.
Se Roger dovesse vincere scavalcherebbe Andy Murray al secondo posto delle classifiche mondiali. Ma Murray potrebbe riprenderselo vincendo i suoi singolari in Coppa Davis (un regolamento assurdo glielo consentirebbe). Essere n.2 e non n.3 può essere importante soprattutto per essere testa di serie n.2 a Melbourne e quindi evitare il pericolo pubblico Djokovic almeno fino alla finale.
A proposito della Davis devo dire che tutte le notizie che rimbalzano da Bruxelles, e il “coprifuoco” che è in atto nella capitale belga per presunti attacchi terroristici, non tranquillizza certo nessuno, nè i giocatori britannici – la Gran Bretagna è nel mirino dell’ISIS – né quelli belgi chiamati ad esibirsi in uno stadio…quando le autorità belghe sconsigliano ogni genere di assembramento per concerti e manifestazioni musicali. Pare si stia pensando di far sospendere anche le partite di calcio.
Oltre ai giocatori, che hanno grandi motivazioni per essere presente, ci sono anche gli spettatori. E, ultimi nell’interesse generale, anche noi giornalisti.
Ho prenotato da tempo il treno da Londra sotto la Manica per Bruxelles, da dove dovrò passare mercoledì prossimo per raggiungere Gent. Per me non sono in palio né milioni di dollari né gloria imperitura come è invece il caso per Andy Murray suo fratello Jamie, Goffin e soci.Voi ci andreste? La mia famiglia non vorrebbe. Mi dicono: ma vuoi proprio andartela a cercare? Io penso che ci andrò lo stesso.
Editoriali del Direttore
ATP/WTA Roma: cronaca del SuperSaturday più bagnato per gli spettatori più sfortunati: quelli del serale…
Rybakina ha giocato un solo set dopo mezzanotte. Kalinina dà forfait con la kazaka come Swiatek e Kalinskaya. Rune e Ruud han dato spettacolo. Il danesino è fortissimo e…furbetto. Medvedev avrà 6 ore in meno di recupero. Ma a Tsitsipas ha “restituito” il balletto irridente

Il torneo di Wimbledon, anzi “The Championships” come lo chiamano con sussiego gli inglesi facendo intendere che l’unico torneo che conta è… il loro in Church Road, fra le tante tradizioni conosciute nel mondo vanta anche quella della pioggia che raramente risparmia “the fortnight”, dei tanti match sospesi e rinviati, dei giorni cancellati per pioggia.
E nel libro che viene stampato annualmente dall’All England Club, c’è tutta una sezione, assai corposa, in cui si trovano tutte le date delle cancellazioni e, ovviamente, quelle date in cui il torneo si è concluso al terzo lunedì, con il numero dei giorni rovinati dal maltempo.
Se un libro del genere esistesse anche per gli Internazionali d’Italia – che pure di finali rinviate al lunedì ne hanno avute più d’una – forse Angelo Binaghi avrebbe dato retta a Sergio Palmieri che -lo rivelò con grande onestà lo stesso presidente FIT rispondendo a una mia domanda che manifestava perplessità sul SuperSaturday – aveva suggerito di comportarsi come fanno ormai tutti i 4 Slam e anche il “minislam” di Miami (ma non il minislam di Indian Wells): e cioè semifinali maschili al venerdì, finale femminile al sabato con la finale di doppio maschile.
Se è vero che, sia pur senza l’ausilio di un libro, ho la quasi certezza di non aver assistito a un torneo più costantemente “bagnato” di questo in 50 anni che vengo al Foro Italico, è anche vero che tanto per il concorso ippico di Piazza di Siena che per gli Internazionali d’Italia si sono sempre sprecate le battute sulla pioggia immancabile che perseguitava le due manifestazioni nonostante la primavera ben inoltrata. Insomma, il rischio pioggia non era del tutto così imprevedibile da non doverlo minimamente prendere in considerazione.
Tant’è che mi permisi – con le cautele del caso onde non smorzare il grande entusiasmo che comprensibilmente aleggiava perche Roma aveva finalmente ottenuto il prolungamento del torneo – di porre quella domanda sul Supersaturday e i rischi che comportava nella mattinata del 28 aprile in cui fu presentata l’edizione extralong degli Internazionali.
Un po’ perché la domanda l’avevo fatta io e per solito a Roma -oltre ad aver dovuto sempre aspettare pazientemente il mio turno per porne una (in passato si è spesso aspettato che cessasse la diretta con Supertennis per concedermi di porre la mia domanda) – devo dire che mi sorprese l’estrema trasparenza con cui il presidente federale raccontò il diverso parere di Palmieri e la sua decisione contraria che alla fine prevalse.
Essa non venne giustificata da motivi di incasso, anche se fu opinione comune che quella potesse essere in realtà la motivazione principale, ma dall’esigenza di non avere un sabato “fiacco”, quando per tutti gli anni in cui il torneo si era sviluppato lungo una sola settimana…il sabato era stato quasi il giorno più desiderato: meglio la giornata delle due semifinali (per il calcolo delle probabilità che almeno una venisse fuori bene) piuttosto che una finale che poteva anche deludere.
Ma cosa fatta capo ha e oggi non ha senso piangere sul latte versato né recriminare su quel che poteva essere e non è stato.
Il meteo viene comandato solo… Lassù. Consoliamoci con l’aver visto un gran bel primo set, il primo fra Ruud e Rune. Straordinario. Spettacolare. Vario. Per 69 minuti i protagonisti del derby scandinavo hanno dato il meglio di sé. Entrambi.
Fino a un’ora e 51 minuti di gioco, cioè fino al 4-3 con il primo break della partita conquistato da Ruud due game prima (cioè nel quinto gioco per salire sul 3-2), il norvegese che alla vigilia del torneo sembrava assai poco in forma e in fiducia, era stato quasi perfetto. Aveva sbagliato poco o nulla. Sembrava esser tornato quello che era arrivato in finale al Roland Garros.
Ma lì, sul 4-3, ha invece – dopo un doppio fallo e un errore inconsueto di dritto (fino a quel momento quasi inarrestabile) ha concesso la sua prima palla break. Cui, avendo cacciato fuori un rovescio gratuito, ha fatto seguito il break.
Da lì in poi, mentre Rune prendeva coraggio, Ruud si è trasformato nel giocatore incerto che aveva perso da Arnaldi a Madrid, da Cerundolo a Barcellona, da Struff a Montecarlo, da Van de Zandschulp a Miami, da Garin a Indian Wells, da Daniel a Acapulco.
Figurarsi se Rune si faceva pregare. Il danese era stato ancora una volta birichino. Aveva chiesto un MTO, medical time out, sul 3-2, per un presunto dolore ad una spalla. Torcicollo? Boh, non si saprà mai. Fatto sta che quel fisio deve essere stato un mago. E che Rune era stato doppiamente birichino perché il MTO si dovrebbe poter chiedere soltanto prima di un proprio game di servizio. Altrimenti si costringe l’avversario a battere a freddo, dopo magari 5 minuti di stop.Ma l’arbitro non ha detto nulla. Ruud ha tenuto il servizio, ma le conseguenze di quello stop che gli ha spezzato il ritmo fino ad allora vincente si sono viste dopo: dal 4-2 per lui ha perso 8 game su 9, 6-4 e 4-1 per Rune. A quel punto il bel Ruud del primo set non c’era più, mentre Rune trovava via via l’abituale spavalderia.
Non c’è quasi stata più partita. E Rune è approdato alla finale come a Montecarlo. Sembrerebbe approdarci come nel Principato da favorito – anche se poi invece perse da Rublev – perché a Montecarlo aveva battuto Medvedev nell’unico confronto diretto e perché il russo per sconfiggere 7-5,7-5 Tsitsipas (e improvvisargli un irridente balletto sfottò …per restituirgli pan per focaccia; era stato il greco a fargli un balletto quando lo aveva battuto a Cincinnati…se non erro) aveva conquistato la finale 6 ore e mezzo dopo Rune e avrà quindi meno tempo per recuperare. Vero che Medvedev ha vinto in due set, ma la sua partita con Tsitsipas è stata infinita per via della pioggia che smetteva e ricominciava obbligando sia lui sia Tsitsipas a cinque o sei operazioni di riscaldamento sui 15 minuti ciascuno. Un bello stress. “Anche perché dove ci trovavamo non vedevamo né il cielo né correttamente la situazione sul centrale – avrebbe spiegato Daniil – e non si poteva capire se saremmo davvero scesi in campo a breve oppure no”. Intanto il russo che qui perdeva sempre al primo turno è in finale e se vince risale a n.2 ATP, lui che era uscito dai top-ten.
Anche per il pubblico, che ha pagato biglietti decisamente salati soprattutto per chi è venuto da fuori con qualche familiare, è stato un calvario. Apri gli ombrelli, chiudi gli ombrelli, lascia lo stadio, ritorna allo stadio, fai le code ai bagni (per i quali, apro un inciso, va fatto qualcosa anche se capisco possa non essere semplice) che devono devono essere assolutamente aumentati e migliorati come numero di accessi, manutenzione e pulizia. E fai delle gran code anche per comprare una fetta di pizza a 7 euro, un panino a 9 euro, un mini-cono gelato a 5 euro.
Sfortunati davvero soprattutto quelli che avevano comprato il biglietto serale, perché arrivati per le 19, sono dovuti restare fuori da cancelli e sotto la pioggia per quasi due ore finchè sono stati fatti entrare e almeno poco dopo le 21 hanno potuto vedere la finale del doppio femminile opportunamente spostata sul Pietrangeli fino a che alle 22,30 Medvedev ha trasformato il matchpoint contro Tsitsipas e si è liberato il centrale per la finale femminile fra Rybakina e Kalinina. Poi però andava fatta sfollare la gente che aveva il biglietto pomeridiano sul centrale per far sistemare chi aveva il biglietto serale. Insomma un discreto ambaradan, non facile obiettivamente da gestire avendo a che fare anche con gente inevitabilmente spazientita. Con alcuni che addirittura si erano presentati convinti di poter assistere a una semifinale maschile…che non era per loro.
Quelli che avevano resistito alle intemperie, all’umidità e ai ritardi, senza un tetto che li coprisse, erano chiaramente o i più appassionati irriducibili o quelli che non volevano rassegnarsi ad aver buttato via un centinaio (o più centinaia) di euro. E così hanno atteso che Rybakina e Kalinina potessero fare il loro ingresso sul campo centrale.
Ma la finale così a lungo attesa è durata solo un set e un game. Più sfortuna di così! Forse è gente che meriterebbe un qualche compenso. Sarebbe un beau geste da parte di una federtennis molto ricca, no?
Anhelina Kalinina si è procurata una contrattura alla coscia sinistra a fine primo set –un po’ come Iha Swiatek contro la stessa Rybakina nei quarti; e Kalinskaia si era arresa dopo 7 games sempre per un problema muscolare; tanti i ritiri: colpa dell’umidità del Foro Italico alla sera? – e, con le lacrime agli occhi si è dovuta ritirare dopo il primo game del secondo set, sul 6-4,1-0 per la tennista kazaka. Lacrime hanno rigato il volto della ragazza ucraina che la sera prima ci aveva raccontato delle bombe russe che cadevano e cadono ancora a pochi passi da casa, a Kiev, dei nonni che hanno lasciato la cttà d’origine dopo 65 anni…e lacrime anche del marito coach. Anhelina giocava la sua prima grande finale e non avrebbe mai voluto concluderla a quel modo. Forse è riuscita a sorridere ugualmente per quanto è accaduto nel corso dell’improvvisata premiazione. Hanno chiamato per la premiazione prima la vincitrice e non lei finalista, hanno sbagliato nel consegnare i premi e in chi li doveva consegnare, il microfono è andato in panne e a un certo punto la Ribakina ha fatto segno a una hostess che sì, quel trofeo che era rimasto lì sul tavolino lo aveva vinto lei e che – se proprio non c’era nessuno altro che potesse farlo– fosse lei a consegnarglielo. Altrimenti sarebbe rimasto lì. E lo speaker si era rivolto alla Rybakina dicendosi dispiaciuto per la sua sconfitta. La Rybakina appariva trasecolata. Beh, devo dire che scene così buffe non ricordo di averle mai viste in tornei di questo livello. Ma probabilmente la giornata difficile aveva confuso e stressato un po’ tutti. E mi dispiace. ma quando Elena Ribakyna si è presentata in conferenza stampa per l’intervista di rito alle 1,27 del mattino non ce l’ho fatta ad aspettarla. Se ne erano andati da un pezzo anche i due giornalisti polacchi che erano venuti a Roma nel weekend sicuri di poter raccontare le gesta della loro Iga (Swiatek). Ma lei si era fatta male qualche giorno prima della Kalinina. E loro si sono consolati andando a visitare il Vaticano, da bravi cattolici osservanti. Un discreto gruppo di appassionati presi in contropiede dal cambio di programma che era stato peraltro segnalato a febbraio credeva di poter vedere tennis maschile nel pomeriggio ma aveva i biglietti solo per il serale. E non hanno potuto far altro che arrendersi. Non potendo assistere a una semifinale maschile si erano consolati …culturalmente, andando a visitare la Galleria Nazionale di Arte Moderna. Quel biglietto costava meno.
Editoriali del Direttore
ATP Roma : i dispiaceri del giovane Sinner in crisi di crescenza. Quanto è davvero forte? Al Foro Italico un… rinascimento che non c’è stato
Il maltempo è stato più protagonista dei giocatori più attesi, Alcaraz, Djokovic, Sinner. Un peccato perché la cornice unica al mondo e i tanti progressi organizzativi meritavano più fortuna. Sempre meglio che il Masters 1000 di Madrid…

Dispiace davvero che nel torneo che per la prima volta si avvicina come giorni di gara ai due Masters 1000 più prestigiosi, quelli del Sunshine Double Indian Wells e Miami, il maltempo abbia fatto di tutto per rovinare la festa del Foro Italico. Che è diventato sempre più bello, ma con il sole lo sarebbe stato molto di più. Speriamo nei prossimi giorni di poterlo ammirare in tutta la sua bellezza, anche se i tennisti italiani si vedono ormai solo su Supertennis e Sky. Era meglio vederli giocare.
Già, dispiace proprio che a turbare quella che poteva essere una quindicina davvero memorabile – anche se la programmazione degli incontri poteva essere a mio avviso migliore e la situazione dei campi anche (ieri a Djokovic è scappato un “Questi sono campi di m…” all’ennesimo cattivo rimbalzo) – ci abbiano messo uno zampino stavolta maldestro anche i tennisti italiani che purtroppo, loro malgrado, non sono stati all’altezza delle aspettative e per la prima volta dal 2019 – e come già nel 2016 e nel 2017 – non ci hanno regalato neppure un rappresentante azzurro fra uomini e donne nei quarti di finale. Altro che sfiorare il trionfo di Panatta nel ‘76, la finale di Zugarelli nel ’77 con Gerulaitis e quell’altra di Panatta nel ’78 con Bjorn Borg.
Facendo percorso a ritroso, Jannik Sinner aveva raggiunto i quarti un anno fa, sconfitto da Tsitsipas (7-6,6-2). Lorenzo Sonego era stato in semifinale nel 2021: aveva battuto Thiem e poi Rublev, si era arreso a Djokovic in 3 set. Matteo Berrettini raggiunse i quarti nel 2020 quando perse con Ruud.
Insomma abbiamo fatto purtroppo il passo del gambero dopo essersi tutti – noi compresi – riempiti la bocca con proclami sul Rinascimento del tennis italiano.
Se andiamo in profondità tuttavia non si può certo colpevolizzare Matteo Berrettini per aver saltato per due anni di fila gli Internazionali d’Italia a causa dei suoi ripetuti infortuni, né criticare Sonego e Musetti per aver ceduto in due set al n.5 del mondo Stefanos Tsitsipas che sulla terra battuta è da qualche anno uno dei migliori specialisti del mondo, con le due vittorie di fila a Montecarlo, e le finali raggiunte al Roland Garros 2021 e a Roma 2022. E Cecchinato è stato bravo a dar segni di risveglio per aver battuto Bautista Agut, ma certo quello del 2018 a Parigi oggi sarebbe nei quarti contro Medvedev… Quanto alle ragazze per ora quando perdono Trevisan e Giorgi siamo… sott’acqua.
Sonego ha avuto anche due setpoint nel secondo set, sul 4-5 e sul 5-6, e non se li è giocati benissimo, mentre Musetti è stato anche avanti di un break nel secondo set (2-0,3-1) ma ha ceduto per due volte in ciascun set la battuta sul 5-6: la differenza fra i giocatori più forti rispetto a quelli meno forti emerge sempre quando i punti diventano più importanti.
Non c’è dubbio che la grande delusione è legata alla inattesa sconfitta di Sinner con Cerundolo, tennista capace di battere già 3 top-ten in carriera ma non così irresistibile da giustificare il duplice 6-2 che gli ha inflitto.
Grande delusione perché le aspettative nei suoi confronti erano enormi, dopo due semifinali e una finale nei primi 3 Masters 1000 dell’anno.
Sembrava quasi che se non avessero vinto il torneo i primi due favoriti, Alcaraz e Djokovic, oppure Djokovic e Alcaraz a seconda dei gusti, il terzo favorito fosse lui, Sinner, anche a causa di un inizio d’anno non travolgente di Tsitsipas e, ancor più, di Ruud. Mentre Medvedev, che ora che deve affrontare il qualificato (e n. 101 ATP) Hanfmann, ha legittime ambizioni di dire la sua anche per il titolo, in 4 partecipazioni romane non aveva vinto una partita e non poteva davvero godere di grandi aspettative.
Allora questo Sinner è davvero forte come si suol dire nei nostri confini oppure no? La risposta la potrebbe dare Albert Einstein: è tutto relativo.
Certo che è forte. E’ n.8 del mondo. E resterà probabilmente fra i top-ten a lungo. Molto più a lungo di Panatta, Barazzutti e Fognini. Probabilmente anche di Berrettini che c’è già stato di più di quei tre appena citati, anche se aiutato in parte da qualche circostanza favorevole, come il congelamento delle classifiche per via del Covid.
Ma quanto è forte? Beh dipende con chi lo si confronta. Per motivi forse influenzati dal certificato anagrafico lo si è fin qui spesso posizionato – in Italia eh – sui livelli di Carlitos Alcaraz e Holger Rune.
Ecco, per ora si può, si deve dire che forse si è esagerato per amor patrio e per digiuno di campioni azzurri da… Panatta in poi. Perché i risultati di Alcaraz, uno Slam e 4 Masters 1000, già n.1 ATP passato e prossimo, sono ben diversi e il fatto che Jannik lo abbia battuto in 3 occasioni su 6, a Umago, Wimbledon e Miami dopo averci perso con il matchpoint a favore all’US open significa che Alcaraz soffre il suo tipo di gioco, il bombardamento da fondocampo, e che quindi la distanza non è enorme sul piano personale, ma conta anche tutto il resto. E a vederli giocare si vedono tante altre differenze, tanti più limiti in Jannik piuttosto che in Carlitos.
Quali limiti ha Jannik se comparati? Cito in ordine sparso (e confuso) le qualità di maggior completezza di Alcaras per: tocco di palla, fluidità naturale del gioco, esplosività dei colpi, forza fisica, atletismo e capacità di recupero, varietà e quindi imprevedibilità, duttilità tattica, dal serve&volley (anche con continuità come ha saputo dimostrare contro Medvedev senza mai sembrare un pesce fuor d’acqua sottorete), alla resilienza del maratoneta. Anche quando serve Carlitos è capace di alternare battute potenti a quelle con il kick, variando di continuo gli angoli, lo spin. I suoi dropshot non sembrano mai costruiti, innaturali… al contrario di quelli di Jannik, il cui tennis spesso dà la sensazione di essere robotico, anche se è indubbio che nell’ultimo anno i progressi siano stati tanti.
Io ho paragonato Jannik Sinenr a Ivan Lendl, come tipologia di tennista, perché Ivan è uno la cui filosofia d’approccio era lavoro, lavoro, lavoro, ma non aveva certo il talento naturale di un John McEnroe. Solo che alla fine ha vinto più di McEnroe e questa deve essere la speranza, l’obiettivo di Sinner e del suo team.
Rune e – non lo dice solo il suo Pigmalione Mouratoglou – è un altro talento decisamente più naturale di Jannik. È più completo, serve meglio, smorza meglio, sa alternare pallate a cambi di ritmo… alla Gattone Mecir, ha un tennis intelligente, istintivo a momenti ma anche ben ragionato in altri.
Ha già vinto un Masters 1000 –anche se quello di Bercy è il più farlocco dei Masters 1000 – è in anticipo sulla tabella di marcia di Jannik, ha certamente grande personalità, anche se non sempre atteggiamenti gradevoli. Ma mi ricorda abbastanza McEnroe. La gente non aspettava altro che Mac sbroccasse. Sarà così anche con Rune. Il modo in cui ha disposto di Djokovic, nonostante la interruzione dovuta al piovasco che gli è forse costata il secondo set, la dice lunga sulle sue qualità mentali, di testa. Anche il modo in cui batté Sinner a Montecarlo del resto lo dimostrò.
Lui ha già centrato obiettivi che Jannik ha solo sfiorato. Jannik sembra anche essere spesso (troppo spesso?) vittima di guai fisici. Non è un tennista naturale, non è un atleta naturale. Ma ha talmente voglia di arrivare che potrà sconfiggere questi handicap. Lo abbiamo visto in grado di esprimere notevolissime qualità di combattente in certe situazioni, ma purtroppo anche di sembrare talvolta incapace di reagire quando – come contro Cerundolo – è incappato in una cattiva giornata. Come se non riuscisse a liberarsi psicologicamente da una situazione che lo sorprende e lo trova impreparato.
Alcaraz ha perso con Marozsan ma prima di perdere le ha provate tutte. Èstato avanti 4-1 nel tiebreak poi perso 7-4, perché anche lui è giovane e ha delle pause. Ma ha lottato e cercato di cambiare tattica. Mentre Jannik è sembrato sgonfio, si è lasciato andare, senza trovare in sé la forza di reagire. Anche lui è giovane, probabilmente prima o poi supererà queste situazioni, le rovescerà. Ma per ora non è così. Sono ancora tante le cose, anche tecnicamente, che non gli riescono. Sul servizio deve ancora lavorare tantissimo, sulle volée anche. Il salto di qualità che tutti sognano, lui per primo, deve ancora avvenire. Sta imparando, non è… ancora imparato.
Saltando di palo in frasca… chi si lamenta per l’eliminazione prematura dei grandi favoriti(del ranking per i primi due, del pubblico per il numero 8) rilegga però quello che era successo al Masters 1000 di Madrid. A Roma Medvedev, Ruud, Tsitsipas, Rune, n.3,4,5 e 7 sono ancora in gara (se Cerundolo non fa fuori anche il n.4). A Madrid avrebbero pagato per avere un cast dello stesso livello nelle fasi finali, anche se il personaggio Struff ha entusiasmato per la sua storia..quasi romantica. Il lucky loser che arriva in finale e fa soffrire perfino Alcaraz. Qui a Roma siamo messi meglio. A me piacerebbe assistere a una finale Rune-Tsitsipas. E a voi?
Chiudo esprimendo tutto il mio dispiacere per il forfait di Rafa Nadal al Roland Garros. Non sembrerà il vero Roland Garros. Roma avrà un nuovo campione quest’anno. Forse anche il Roland Garros.
Editoriali del Direttore
ATP Roma: Marozsan, ma da dove sei uscito? Da Budapest o Firenze? Insieme a Sciahbasi esultò di più che a battere Carlos Alcaraz
Ha demolito il prossimo n.1 ATP a suon di smorzate e missili di dritto. Eppure non c’era il suo coach. Da un gettone di 3.000€ per la serie A a 84.900. Ora in ottavi ha Coric che, semisconosciuto, sorprese Nadal, proprio come lui Alcaraz

Le grandi sorprese degli ultimi anni
Esultò assai di più quando l’anno scorso conquistò per il Tennis Matchball di Bagno a Ripoli il punto decisivo che valeva la promozione in serie A nel doppio dei playoff contro il Tennis EUR…
Diversamente da quella volta, quando slanciò le braccia al cielo e poi abbracciò calorosamente il suo compagno di doppio, il marchigiano Lorenzo Sciahbasi, Fabian Marozsan, 23 anni e n.135 ATP, non si è concesso sul centrale del Foro Italico e in mezzo a un diluvio di applausi nemmeno la più piccola esultanza, che so…una smorfia, un sorriso, un grido, neppur quando Carlitos Alcaraz ha tirato fuori il suo ultimo dritto sul matchpoint al termine di un tiebreak nel quale il murciano era stato avanti 4-1 prima di perdere 6 punti di fila!
Al suo primo torneo ATP il ragazzo di Szazhalombatta, piccola cittadina a 30 km da Budapest e nota per le sue raffinerie di petrolio, ha dato una lezione di tennis, e di smorzate, allo spagnolo che lunedì prossimo tornerà n.1 del mondo. Sì, non lo ha solo battuto. Il bruno ragazzo magiaro dall’aria apparentemente esile, un metro e 93 per 75 kg (10 meno di Matteo Berrettini che è però 3 cm più alto) lo ha dominato, nonostante che Alcaraz abbia lottato fino all’ultimo, senza mai mollare. Certo Carlitos ha giocato meglio altre volte, ma sbaglierebbe chi credesse che abbia giocato male. A risultare davvero impressionante è stata la partita di questo ragazzo che pochi conoscevano, al di fuori di chi segue la Serie A e di chi lo aveva visto giocare già bene al Challenger di Cagliari una decina di giorni fa, quando aveva battuto Luca Nardi in tre set prima di perdere in due set ravvicinati con Ben Shelton 6-4,7-6(6).
L’ungherese si è presentato in sala stampa dimostrando anche un certo sense of humour, nonostante l’evidente timidezza: “Mi chiamo Fabian Marozsan, ho cominciato a giocare quando avevo 5 anni, mio padre è stato il mio primo coach, ho cominciato a vincere qualche partita e mi sono deciso a continuare, sperando di fare sempre meglio. Per ora ho giocato solo challenger, ma dovrei essermi avvicinato alla centesima posizione ATP…”
Beh, sì, è virtualmente n.114 dopo aver vinto qui a Roma cinque partite di fila, Skatov, Meligeni nelle “quali”, Moutet n.67 ATP, Lehecka n.39. Questa vittoria, oltre all’immensa e impagabile soddisfazione, gli garantisce prima ancora di affrontare Borna Coric, la bella sommetta di 84.900 euro…non male per uno che nei campionati interclub italiani e francesi si accontenta di 3.000 euro a gettone di presenza (più il rimborso del viaggio).
“Avevo rischiato di perdere al primo turno delle qualificazioni con Skatov…(tennista kazako); lui ha servito sul 5-4 nel terzo…”.
Buffo che incontri Coric…perché il tennista croato che è stato allenato per un certo periodo da Riccardo Piatti, ha una storia non troppo dissimile da quella di Marozsan.
Nove anni fa al suo terzo torneo e dopo 3 sole vittorie in 2 precedenti tornei ATP il semisconosciuto Borna Coric battè Rafa Nadal – spagnolo come Alcaraz – al torneo di Basilea 2014 e con un punteggio assai simile a 6-3,7-6 di Marozsan-Alcaraz: 6-2,7-6.
Marozsan è tesserato quest’anno per il terzo anno di fila al Tennis Club Matchball – dove in questi giorni si sta svolgendo un torneo WTA di 125.000 euro con la partecipazione di Paolini, Stefanini, Errani, Bronzetti, Townsend, Konjuh, Liu – e ormai si è fatto un tale gruppo di amici che lui stesso, pur timido e introverso, ha tenuto a sottolinearlo ringraziando tutto il gruppo, presidente (Leonardo Casamonti) compreso. Il Matchball celebra quest’anno 50 anni di vita. “Ero davvero felice di aver aiutato la squadra. Mi erano super riconoscenti. Sì, mi piace giocare lì, ci tornerò di sicuro anche a ottobre. Loro mi hanno aiutato…”
Ad aiutare ancor più la sua fiducia devono essere stati due risultati importanti ottenuti in Coppa Davis e in doppio…che pure non è la sua specialità. Le sue risposte brucianti che hanno messo in difficoltà Alcaraz avevano “bucato” due team di grandi volleador.
In coppia con Valkusz lui aveva battuto contro tutti i pronostici la coppia australiana campione di Slam Peers-Saville 6-4,6-4 e a febbraio anche quella francese formata da Mahut e Rinderknech. Contro la Francia sul 2 pari aveva perso il singolare decisivo da Humbert che giocò benissimo a quanto mi dicono qui i colleghi dell’Equipe.
Sarebbe interessante riguardare tutto il match per contare le sue smorzate. Giocate anche con il saltello, oppure retrocedendo, quindi con un coefficiente di difficoltà super-aumentato. Ma il suo repertorio di colpi è apparso completissimo.
Da dove è saltato fuori uno così, si chiedeva Ivan Ljubicic, ammiratissimo e non meno stupito. Un anno fa, il 10 maggio, si ritirava al primo turno di Zagabria con il nostro Bonadio: era n.333 del mondo. Meno di un mese fa, il 25 aprile, ha perso qui a Roma al primo turno del torneo del Garden da Alexander Weis. Certi miracoli si fa fatica a spiegarli.
Però quando un tennista dice: “Non guardo il tabellone perché penso soltanto ad un avversario per volta” occorre ammettere che non hanno tutti i torti a non fidarsi dei pronostici. Mi sarebbe piaciuto vedere che quota avessero i bookmaker a proposito di una vittoria di Marozsan su Alcaraz. Una volta il n.1 o n.2 del mondo non avrebbe mai perso da un tennista non compreso fra i top 100. Ma i tempi sono cambiati, il tennis si è livellato, basta che un top-10 sia in giornata poco buona, non dico cattiva perché ribadisco che Alcaraz non ha giocato male, e l’outsider provoca la sorpresa.
E l’ha procurata sebbene il suo coach Miklos Palagyi non fosse a Roma. Quel giovane ragazzo biondo che avrete intravisto nel suo angolo in tv. Mark Pataki, è più un amico che un vero coach: era il boyfriend di Anna Bondar e ora segue più spesso Timea Babos che non Fabian.
Anche l’outsider più timido, più introverso come Marozsan del quale però a Bagno a Ripoli ricordano anche una forzata esibizione nel karaoke insieme al compagno di doppio …perché erano stati i più lontani dall’indovinare il conto della cena della squadra. E quella, era stata la punizione. Avevano interpretato, fra le risate generali, la canzone “Baby Shark”.
Lo si deve perdonare se, così giovane, non conosce bene ancora bene la storia del tennis ungherese quando dice: “Il mio amico Fucsovics mi ha sempre aiutato e lui è stato forse il miglior tennista ungherese di sempre”.
Beh, non proprio: l’ungherese Jozsef Asboth nel ’47 ha vinto il Roland Garros, 11 anni prima che una donna ungherese Zsuzsi Kormoczy lo imitasse sempre al Roland Garros. Poi c’è stato anche Istvan Gulyas che ha giocato una finale a Parigi nel ’66 e aveva vinto Montecarlo nel 1965. Anche Balasz Taroczy, n.12 ATP in singolare e vittorioso in 2 Slam in doppio in coppia con lo svizzero Gunthardt (Wimbledon e Roland Garros) è stato un giocatore migliore di Marton Fucsovics il cui best ranking è stato n.31.
Vabbè, queste ultime sono cose da…vecchietti come me. Che salvo Asboth e la Kormoczy, gli altri li ha visti tutti giocare.