Editoriali del Direttore
Dopo il doppio con 3 singolaristi migliori dell’unico doppista. Andy Murray sarà Sir?
Difficilmente la Regina Elisabetta, a dispetto delle sue posizioni filo-independiste, potrà negargli il titolo di “baronetto” se Andy Murray batterà David Goffin come da pronostico. I numeri di Andy e Jamie

La Gran Bretagna dei fratelli Murray ha vinto il doppio, come si aspettavano i più, e ora, alla vigilia del match fra i numeri uno, Andy Murray vs. Goffin, il team Brit è superfavorito perchè anche se la terra rossa non è la superficie prediletta del n.2 del mondo lui ha pur sempre raggiunto 3 volte le semifinali al Roland Garros e David Goffin nemmeno una. Andy, l’unico a non perdere mai il servizio (Darcis lo ha ceduto 4 volte, Jamie 3, Goffin una), è stato il miglior in campo, il più solido. Favorito anche dai servizi non straordinari di Goffin e Darcis, Andy ha potuto far brillare il colpo più brillante del suo repertorio: la risposta. E per quanto concerne il servizio soltanto sul 4 pari del primo set Andy ha concesso una palla break sulla propria battuta, ma l’ha salvata con un bel servizio sul rovescio di Darcis. Pur avendo servito lui 11 volte e Jamie soltanto 8 (due per set, subendo appunto 3 break), Andy ha concesso soltanto 14 punti sulla propria battuta e Jamie invece 28. In media, in rapporto ai games di servizio, più del doppio. Se Darcis non fosse crollato nel finale Jamie sarebbe stto il peggiore in campo.
Per tenere i servizi in doppio è ovviamente importante anche che il partner a rete contribuisca, con continui movimenti ed intercettazioni, a complicare le risposte degli avversari. In questo Jamie si muove molto più di quanto faccia Andy, e questo ha aiutato Andy a tenere i propri servizi. Ma la qualità della battuta di Andy era decisamente superiore a quella di Jamie, molto più fragile emotivamente.
All’inizio Darcis, che rispondeva da sinistra, è stato il migliore dei belgi, soprattutto quando si spostava attorno alla palla per colpire di dritto. Alcuni suoi colpi sono stati davvero spettacolari. Al suo posto avrei giocato qualche lob liftato in più, perchè Jamie si appiccicava talmente a rete che scavalcarlo non avrebbe dovuto essere impossibile, mentre come prontezze di riflessi era notevole. Era stato però uno smash abbastanza facile sbagliato da Darcis sul 4-5 40 pari nel primo set a far arrivare al setpoint i Murray e naturalmente lì ci ha pensato una gran risposta di Andy a mandare in archivio quel set iniziale.
Da metà secondo set è cresciuto Goffin, che nel primo set e mezzo aveva sbagliato palle abbastanza facili – anche dritti a metà campo che avevano ricordato identici errori commessi nei primi due set contro Edmund il giorno prima – però da metà terzo set Darcis è precipitato in una crisi nera. Ha perso 4 volte di fila il servizio dal 2-1 con break che aveva illuso il belgi: due a 15, una a zero, una ai vantaggi, di fatto compromettendo sia il terz sia il quarto set. Si può perdere uno, due, anche tre servizi, ma li si devono almeno lottare. Non è successo. E non è che i due Murray facessero cose straordinarie.
Sia chiaro: non è stato un grande doppio. Tre dei quattro lo giocavano da singolaristi, più da fondocampo che a rete, e il quarto, Jamie Murray era il più debole del lotto a dispetto del suo best ranking come doppista: è n.7 (e non è mai stato più su). Se fosse stato un gran doppio ci sarebbero stati pochissimi break, sebbene sia stato giocato sulla terra rossa. Invece nel terzo set, quello che in pratica ha spostato gli equilibri dopo che erano stati i belgi a portarsi avanti di un break (2-1 con break a Jamie che aveva già subito il break che aveva deciso l’unico set vinto dai belgi, il secondo) si sono verificati ben cinque break nell’arco di cinque games, dal terzo all’ottavo. Due subiti da Jamie, due da Darcis e uno da Goffin.
C’era grande atmosfera, le due schiere di tifosi facevano un baccano d’inferno, ma in maniera folcloristica, coroegrafica, divertente. Fondamentalmente corretta. Ci sono stati quei rovesciamenti di fronte nel terzo set che sono sttai accolti con grandi grida e cori entusiasti, ora da una parte, ora dall’altra. Davvero la Coppa Davis è l’unica manifestazione in cui il doppio diverte, eccita, appassiona. Perfino nel quarto set, vinto 6-2 dai fratelli scozzesi, c’è stata una decina di minuti in cui non sono mancate le emozioni: Jamie Murray si è trovato sul 2-1 – subito dopo che Darcis aveva perso la battuta – a fronteggiare ben sette palle break, le prime tre consecutive sullo 0-40. Ma Darcis, che ormai era entrato in crisi, non ha praticamente risposto in sei occasioni, vanificando le brillanti risposte di Goffin che sui punti pari giocava adesso benissimo. Soprattutto un’orrenda steccata di rovescio a due passi dalla rete e dagli inermi fratelli ha affossato definitivamente ogni speranza di recupero.
“La piccola differenza alla fine l’ha fatta la diversa esperienza per chi aveva giocato il doppio insieme tutto l’anno– ha detto il capitano belga Van Herck – abbiamo avuto chances ma non le abbiamo saputo sfruttare. Volevamo giocare da dietro e fargli giocare tanti scambi…Credo che la tattica fosse giusta”. Beh, certo una tattica che ha messo in difficoltà Jamie che ha un dritto modestissimo e che se doveva scambiare da fondo si trovava a malpartito con Goffin e, all’inizio, anche con Darcis. Perso il secondo set i britannici hanno compiuto una modifica tattica che ha loro permesso di resituire un po’ più di serenità a Jamie Murray: Andy ha preso una posizione più difensiva quando toccava a Jamie rispondere: “Stando più indietro ho dato un po’ più di trnquillità a Jamie sulla risposta. Se io sto appiccicato alla rete lui è costretto a rischiare molto la risposta, perchè altrimenti gli avversari a rete hanno facilità a chiudere la volee tirandomi addosso…se io sto più indietro loro fanno più fatica a chiudere il punto anche se intercettano la sua risposta. E poi ho dato più tempo a Jamie di venire a rete, dopo la sua risposta. E’ stato infatti molto più veloce a raggiungere la rete dopo quel cambio tattico. Una volta che arriva a rete lui è davvero molto forte”.
Darcis ha smentito quella notizia che mi era giunta all’orecchio da fonte belga, e cioè che avesse dovuto praticarsi un’iniezione di cortisone al polso destro…ma si è presentato sul campo con una vistosa fasciatura che pareva quasi bloccargli tutto l’avambraccio destro. E nel finale a me è parso che non riuscisse a fare il solito movimento con il servizio. Di qui le conseguenze disastrose. Oggi ha negato di avere il problema. Che sia per non dare vantaggi agli avversari nel caso il match arrivasse all’improbabile 2 pari?
Intanto un componente della famiglia Murray, Jamie, ha fatto il suo dovere: conquistare un punto nella finale di Davis. Ora tocca a Andy completare l’opera che dai tempi delle Isole Britanniche in Davis sembrano tradizionalmente affidate a dei fratelli: i Renshaw alla fine dell ‘800, i Doherty agli albori del ’90, i Lloyd in occasione dell’ultima finale giocata dai Brit prima di questa (1978, persa contro gli USA), i Murray oggi. “E’ forse un’occasione unica per noi quella di giocare questa finale…abbiamo una doppia chance, prima io e poi se perdessi, chi giocherà sul 2 pari. Speriamo di saperne approfittare” Andy Murray dixit. Io credo che Andy non si farà sfuggire l’occasione per centrare, dopo la medaglia olimpica nel 2012, Wimbledon nel 2013, anche questa grande opportunità. Dopo di che alla Regina Elisabetta non resterà che nominarlo baronetto, Sir Andy Murray. Non è che ai sudditi scozzesi sia capitato tanto spesso. Sì a Sean Connery, si al pilota Jackie Stewart, ma per ora Andy è soltanto OBE, insignito dell’Order of British Empire. Chissà che una Coppa Davis che mancava al Regno Unito dal 1936, non gli porti l’onorificenza più ambita. Mi farà effetto chiamarlo Sir.
Per finire un’annotazioncina senza pretese con… le lenti del fan italiano nel caso in cui oggi Andy Murray conquisti la storica decima Coppa Davis che ai suo connazionali mancava dal 1936, 79 anni fa: se ciò avverrà – consentendogli di eguagliare il record di McEnroe nell’82 e Wilander nell’83, tutti vinti gli 8 singolari giocati nei quattro incontri di Davis – con lui tutti i quattro “Fab Four” si saranno tolti la soddisfazione di vincere almeno una volta la Coppa Davis. E questo significa che non si danneranno più l’anima per vincerne un’altra, egoistelli come sono un po’ tutti. Quindi via libera a tutti gli altri Paesi, Italia compresa. Se alla finale 2015 sono arrivati due nazioni semi-scassate come la Gran Bretagna e il Belgio, ci può arrivare benissimo anche l’Italia di Fognini, Seppi e Bolelli. Purchè si sbrighino però. Perchè loro non sono più dei bambini, Seppi e Bolelli ormai trentenni, Fognini a maggio 29enne…e alle loro spalle non si profila nessun vero “prospect”, anche se a sentire i nostri dirigenti federali “tutto va bene, madama la Marchesa salvo che…”.
Editoriali del Direttore
Roland Garros: Djokovic-Alcaraz arriva troppo presto? Per Novak forse sì
Stasera Rune-Ruud. Chi vince partirà favorito contro il vincente di Zverev-Etcheverry. Ma c’è chi crede al duello serbo-spagnolo come ad una finale anticipata. Infuria il caso Sabalenka-Svitolina

Daniil Medvedev ha fatto un gran dispetto a Novak Djokovic vincendo Roma. Eh sì. Lo ha scavalcato in classifica mondiale e poi il sorteggio del Roland Garros ha piazzato Novak nella stessa metà tabellone di Carlitos Alcaraz. E il sorteggio non ha fatto un favore al serbo, semmai lo ha fatto ad Alcaraz.
Sì, perché il Djokovic visto sin qui, a Montecarlo (Musetti), Banja Luka (Lajovic) Roma (Rune) e Parigi (con Davidovich Fokina e Khachanov) non mi è sembrato davvero il miglior Djokovic.
Ma il serbo, come capitava anche a Nadal, più partite gioca e meglio gioca. Per lui sarebbe stato meglio approdare alla finale con Alcaraz piuttosto che affrontarlo già in semifinale (sempre che alla finale ci fossero semmai arrivati entrambi eh).
Il Djokovic del primo set e mezzo con Khachanov è stato quasi imbarazzante, senza nulla togliere ai progressi del russo n.11 del mondo (che Sonego poteva battere).
Ma certo Alcaraz contro Tsitsipas fino a quando non si è distratto un po’, sul 6-2,6-1,5-2 e primi match point, è sembrato di un altro pianeta. Rispetto a chiunque. Aveva lasciato 7 game a Shapovalov, 7 a Musetti (vabbè 7 anche a Cobolli, e 5 a Taro Daniel nei 3 set vinti su 4), stava per lasciarne solo 5 a Tsitsipas. Carlitos faceva paura. Mazzate di dritto, incrociate come a sventaglio, rovesci debordanti lungolinea a sorprendere l’ateniese ogni qualvolta lasciava scoperto il proprio angolo destro per coprire con il dritto 7 metri e mezzo degli 8 e 23 centimetri della riga di fondo. E come aveva sospinto Tsitsi verso i teloni di fondocampo, zac, l’implacabile, irridente smorzata. Sempre vincente o quasi.
Sembrava quasi che Tsitsipas non fosse il quinto tennista del mondo. E ripensavo a Musetti che almeno qualche colpo bello e vincente era riuscito a giocarlo. Tsitsi quasi neppur quello. La critica è stata severa con Musetti, neo n.17 ATP a partire dal prossimo lunedì, ma allora come avrebbe dovuto trattare Tsitsipas?
E allora mi dicevo: ma Djokovic come farà ad arginare questa furia spagnola?
Però, però poi mi sono anche detto: visto quel che è successo a Khachanov? Djokovic che sembrava in giornata no, ha finito da dominatore.
Già, perché Nole, indiscutibilmente il miglior ribattitore del mondo, nel primo set aveva fatto la miseria di 6 punti in 5 turni di battuta di Khachanov. 4 turni persi a 15, uno a 30.
Fino al quarto game del secondo set Djoko non era riuscito ad arrivare a 40. Ok, Khachanov serviva bene, ma quel Djokovic non era Novak. Forse era Marko, il fratello. Fino al tiebreak e al primo game del terzo set…Marko Djokovic non era stato capace di conquistarsi una pallabreak, limitandosi ad arrivare a 40 pari quattro volte in 11 game di risposta.
Al tiebreak era giunto avendo collezionato 13 errori gratuiti di dritto, alcuni davvero clamorosi, come quello che aveva consentito a Khachanov di raggiungere il 3 pari. E i dritti vincenti erano meno della metà di quelli sbagliati. Aveva però cominciato a servire meglio e a tenere molto più agevolmente i suoi game di servizio. A zero quello del 5-4, a zero quello del 6-5, game per solito delicati.
E poi la svolta cruciale, nel tiebreak: 7 punti a zero!
Lì Djokovic è tornato vicino a quello che ha vinto 22 Slam e cerca il 23mo per lasciarsi alle spalle per sempre Nadal, mentre Khachanov si è lasciato andare al punto da beccare un 6-2 senza alcuna reazione perché sul servizio di Novak gli ha strappato un solo punto e perso altri tre game a zero.
La grande occasione di battere un Djokovic dimesso – e sarebbe stata soltanto la seconda volta in 10 duelli – era svanita. Lui Karen… pollo, mi permetto di dire. Perché bastava poco di più. Nole era nervoso e in sua balìa.
Poi, invece non c’è più stata storia. Però date ad Alcaraz il Djokovic dei primi due set e Carlitos ne farà un sol boccone.
Quante volte però i fenomenali Fab-Four (o 3 via) cominciavano uno Slam in modo incerto e poi nell’arco delle due settimane salivano esponenzialmente di rendimento? Non so se questi 2 set finali con Khachanov sono bastati a Djokovic a sentirsi forte come ai bei tempi, a dargli quella fiducia che forse si era un tantino incrinata.
Credo che gli avrebbe fatto bene giocare e vincere un’altra partita, per arrivare supercompetitivo nel faccia a faccia con Alcaraz.
Il quale Alcaraz potrebbe aver imparato la piccola lezione che gli ha dato il finale del match con Tsitsipas: invece di stare attento e far di tutto per chiudere sul 5-2 del terzo set si è un po’ ingolosito, ha esagerato nel giocare troppe palle corte, nel giocare lob liftati più narcisisti che efficaci, e si è ritrovato 5 pari e poi al tiebreak con un Tsitsipas di nuovo carico che faceva il pugnetto.
Per il greco, che ha quel rovescio così così, non c’è stato nulla da fare per coltivare il sogno della rimonta. Alcaraz ha avuto bisogno del sesto matchpoint per chiudere (3 prima del tiebreak), ma né lui né Juan Carlos Ferrero hanno tremato neanche per un attimo.
“Sul 5-2 mi sono un po’ deconcentrato” ha confessato il ragazzo di Murcia che, come dimenticarlo?, ha smesso i panni del teenager soltanto il 5 maggio scorso.
Beh, di certo Ferrero gli dirà prima di venerdì, che se si permettesse una simile leggerezza contro Djokovic probabilmente la pagherebbe cara. Novak gli monterebbe in testa.
Capsco, a questo punto, che avendo vissuto una intensa giornata caratterizzata dalle due partite di quarti di finale della metà alta del tabellone, ho trascurato le chance di vittoria finale di chi sta nella metà bassa, cioè del vincitore del primo “quarto” fra il risorto Zverev e l’argentino Etcheverry e forse ancor più dei protagonisti del derby scandinavo Ruud-Rune. (N.B. sull’appartenenza alla Scandinavia della Danimarca, peraltro, si può discutere). Io so solo che i loro derby, fin da quello nei quarti qui a Parigi un anno fa e poi la semifinale di Roma che ha rovesciato l’esito favorevole per 4 volte a Ruud, per me è sempre stato fastidioso. Sì, per il mio bloc-notes. Di solito riporto infatti sulla colonna sinistra l’iniziale del cognome di chi batte. E quando proprio due tennisti hanno la stessa iniziale rimedio con la seconda lettera del cognome. Ma qui c’è un RU contro un altro RU…e lo spazio in un piccolo bloc-notes è un tesoro prezioso da proteggere. Vabbè, scusate l’eccesso di personalismo.
Fra Ruud e Rune, fra Rune e Ruud, ce n’è uno che è la quintessenza dell’educazione e del fairplay. E l’altro che ne è la negazione. C’è bisogno che spieghi a chi mi riferisco?
Però fra i due secondo me Rune è più cavallo da Gran Premio. Se vincesse il suo primo Slam non sarebbe poi una sorpresa pazzesca, salvo il fatto che Alcaraz in questo momento sembra una spanna superiore a tutti. Mentre Ruud, nonostante due finali in altrettanti Slam, qui e a New York, non mi convince mai del tutto perché lo si possa definire un grande talento, un grande campione. Forse perché è troppo ragazzo perbene, troppo modesto, senza lampi…nemmeno quelli di maleducazione!
Chiudo qui perché dell’altro fatto del giorno, con la foto più cliccata di tutto il torneo – Iryna Sabalenka che aspetta alla rete Elina Svitolina come se non sapesse che la Svitoliana la mano non gliela avrebbe mai stretta – ne abbiamo scritto a lungo e avrete certo letto anche le dichiarazioni delle due ragazze.
Sabalenka, costretta a presentarsi in conferenza stampa, è finita sotto il fuoco incrociato di tutti i giornalisti perché non aveva indovinato la mossa di sottrarsi alle loro domande al termine delle ultime due partite.
La colpa, oltre che sua che aveva richiesto l’esenzione per troppo stress mentale, era stata anche del torneo che aveva bleffato, inventandosi la balla di aver dato vita a una conferenza stampa ridotta, quando invece si era trattato della registrazione di un monologo bielorusso. Un autogol evitabilissimo. Perché era chiaro che sarebbe venuto fuori…il segreto di Pulcinella.
Elina Svitolina è stata coerente con la decisione sua e delle altre ragazze ucraine, giusta o sbagliata che possa essere la loro scelta. Non meritava quindi i buuh che l’hanno seguita all’uscita. E forse Sabalenka poteva evitare quella che è parsa un po’ una sceneggiata. Situazioni difficili da vivere e, all’esterno, da interpretare. Di certo con la tragedia quotidiana che stanno vivendo le famiglie ucraine – e quasi tutte le tenniste ucraine la stanno vivendo sulla loro pelle e quella dei loro cari – chi vorrebbe che sport e politica non si sfiorassero non si trova nella loro situazione e penso che non possa capirla appieno. Il rischio che un qualsiasi giudizio diventi superficiale c’è tutto.
Editoriali del Direttore
Roland Garros – Il dubbio è: Djokovic è sempre lui o no? Se lo è la probabile semifinale Djokovic-Alcaraz sembrerà una finale anticipata
Djokovic ha perso una sola volta con Khachanov, Alcaraz mai con Tsitsipas. Ancora rimpianti per la sconfitta di Sonego. E Rune si conferma un gran maleducato

Un brutto e triste risveglio, come ho detto anche nel video, ritrovarsi al Roland Garros senza un tennista italiano da seguire nei tabelloni principali.
Ci siamo fermati agli ottavi, e a domenica, con i due Lorenzo, Musetti e Sonego. E i rimpianti soprattutto per la partita di Sonego ci sono e tanti. Poteva vincere sia secondo sia terzo set, con un pizzico di fortuna in più e oggi sarei qui a presentare il match Sonego-Djokovic invece che ad aspettare di constatare se Djokovic è ancora lui.
Se Nole fosse ancora il vero Nole probabilmente anche il miglioratissimo Khachanov, non avrebbe via di uscita. Il russo è stato battuto dal serbo 8 volte su 9 è l’unica volta che vinse fu a Bercy, il torneo dove non sai mai se chi lo gioca va lì perché ci deve andare, ma se è ormai qualificato per le finali ATP che cominciano di lì a pochi giorni si impegna il giusto.
Se Nole non fosse il vero Nole beh, allora anche Sonego avrebbe potuto giocare le sue carte.
Ma dei se e dei ma sono piene le fosse e ci tocca soltanto sperare che le cose vadano meglio sull’erba di quanto sono andate sulla terra battuta, una volta nostro terreno di maggior raccolta.
Da qualche anno a questa parte però, Berrettini bi-campione al Queen’s e finalista a Wimbledon, Sinner nei quarti in Church Road, forse otteniamo migliori risultati oltre Manica.
Intanto contro lo scorrettissimo Rune Francisco Cerundolo ha dimostrato che Sinner non aveva perso a Roma da un pisquano qualsiasi.
Magra consolazione, direte, ma pur sempre consolazione. Mi è sembrato davvero poco competitivo, anche se è stato un break avanti nel secondo set, Grigor Dimitrov con Zverev. Il bulgaro che aveva lasciato soltanto 8 game a Altmaier, sarebbe stato più competitivo e determinato contro Sinner? Non lo sapremo mai.
Piuttosto quanti avevano dato per molto probabile l’approdo di Jannik ai quarti di finale, non avevano fatto i conti con il recupero di Sasha Zverev, il quale ora non giocherà più da n.3 del mondo, ma nemmeno da n.27 come è adesso.
Insomma questo Zverev sarebbe stato un osso duro anche per un buon Sinner. Era la zona ancora più bassa, quella dove si è infilato Etcheverry,quella che avrebbe potuto essere un buon terreno da conquistare, grazie anche al k.o. di primo turno di Daniil Medvedev.
Ma Sinner era piazzato più, fra Dimitrov e Zverev, quindi è inutile piangere sul latte versato altrove. L’argentino ha dominato Nishioka quindi non sarà un avversario comodissimo neppure per il risorto Zverev.
Ma non c’è dubbio che il quarto più interessante della metà bassa lo giocheranno nella giornata di mercoledì Ruud e Rune, con il danesino che vorrebbe ripetere il risultato della semifinale di Roma, dopo che dal norvegese aveva perso 4 volte su 4. Intanto non si è fatto né in qua né in là quando si è trattato di “rubare” un punto importante ai danni di Cerundolo. Aveva fatto rimbalzare la palla due volte e lo sapeva benissimo. Si è preso il punto con la complicità dell’arbitro dalla voce baritonale ma distratto.
Io penso però che il vincitore del torneo uscirà dalla metà alta del tabellone. Oggi si affrontano Djokovic e Khachanov e in serale Alcaraz e Tsitsipas, con i primi che hanno dominato i confronti diretti: 8-1 come già detto il serbo sul russo, 4-0 lo spagnolo sul greco,.
Se Djokovic batte Khachanov vuol dire che sta bene e che allora la probabile semifinale Alcaraz-Djokovic potrebbe essere presentata con un po’ di spregiudicatezza come una finale anticipata. A Roma Djokovic perse da Rune, ma non era il vero Djokovic.
Per quanto riguarda il torneo femminile dall’alto in basso abbiamo questi accoppiamenti nei quarti: Swiatek-Gauff (che fu la finale lo scorso anno), Haddad Maia-Jabeur – e qui c’è almeno un po’ di fantasia geopolitica, una polacca contro un’americana, una brasiliana contro una tunisina –mentre nella metà bassa e in campo oggi ci sono tutte tenniste dell’Europa dell’Est, Muchova e Pavlyuchenkova – con la prima che ha fatto stragi di azzurre (Trevisan e Giorgi) e la seconda che 2 anni fa fece finale qua ma oggi è n.333 WTA perché è stata a lungo infortunata – Svitolina e Sabalenka per un altro duello che si concluderà senza una stretta di mano.
La Svitolina, un po’ perché sposata con Gael Monfils e mamma di un erede nato ad ottobre, un po’ perché ucraina, è stata adottata dal pubblico francese come se fosse nata e cresciuta sugli Champs Elysées. Se dovesse vincere la porterebbero sotto l’Arco di Trionfo. Intanto ieri ha riservato alla Kasatkina lo stesso trattamento rivolto alla Blinkova. Nessuna stretta di mano. La Kasatkina non si faceva illusioni ma c’è rimasta male, sia per il comportamento orribile del pubblico francese, sia per il mancato gesto della Svitolina perché lei in fondo è stata una delle poche russe che ha provato a esporsi un po’. Cosa che non ha fatto, ad esempio, la bielorussa Aryna Sabalenka che anzi –sulla scia di Naomi Osaka – è riuscita convincere i deboli organizzatori a riunire un gruppo qualificato di giornalisti scelti dalla stessa organizzazione. Non avrebbe dovuto essere tollerato. Ma i giornalisti oramai sono tutti talmente appiattiti che nessuno osa più opporsi a niente. Del resto basta leggere le domande le trascrizioni delle domande fatte ai tennisti per rendersi conto di quanto l’autonomia, la indipendenza dei giornalisti, la loro personalità sia scaduta.
E’ responsabilità dei vari organismi che gestiscono il tennis questa assenza di un minimo di verve nelle conferenze stampa. I giocatori vengono istruiti per non dire nulla di interessante e ci riescono benissimo. Negli altri sport non è così. Poi ci si lamenta se nel tennis, in parallelo con il progressivo e inevitabile prepensionamento dei FabFour, mancano le personalità. Quelle che ci sarebbero vengono soffocate. E va a finire che le sole interviste che vengono lette ovunque sono quelle “inarrestabili” di Kyrgios che gioca pochi mesi l’anno, cioè quando gli va..
E’ un errore, anche culturale, di chi si occupa della comunicazione del nostro amato sport. Si sentono dire solo le cose più scontate, ammantate di dichiarazioni politically correct. Sandra Mondaini, pace all’anima sua, direbbe al suo Raimondo Vianello: “Che noia che barba, uffa che noia che barba!”.
Vabbè, oggi ero di cattivo umore e vi ho spiegato perché. Agli azzurri impegnati nelle fasi finali dei grandi tornei, ormai mi ci ero abituato. Non vorrei tornare a …digiunare come mi è toccato fare per 40 anni.
Editoriali del Direttore
Roland Garros: Sonego ha più fisico di Berrettini, Sinner e Musetti, ma deve lavorare sul…fisico! Musetti non deve più giocare da junior. Il “gap” con Alcaraz
Cosa manca ai nostri migliori tennisti. Non lamentiamoci per due azzurri in ottavi. Sonego vale più del suo ranking attuale. Musetti ha problemi di crescita. Le ultime due partite da soppesare nel contesto di tutto un torneo

Ci restano solo sparuti juniores. Gli altri, più che sparuti sono spariti. Nei tabelloni del grande tennis l’Italia, con le sconfitte degli ultimi due Lorenzo superstiti, non c’è più.
All’inizio del torneo pensavo – come quasi tutti, nessun pensiero particolarmente originale – che Jannik Sinner avesse più chances di chiunque dei nostri azzurri per arrivare alla seconda settimana, ma purtroppo Jannik, come già a Roma con Cerundolo (però avete visto Cerundolo?), ha sofferto con Altmaier l’eccesso di pressione che un po’ tutti, lui compreso, gli mettono addosso.
E’ ancora giovane, ha un tennis ancora incompleto, c’è ancora tanto lavoro da fare, tanti limiti da limare. Nel fisico, nella tecnica, nella tattica, nel mentale quando l’appuntamento è importante. Aspetterei ad emettere sentenze negative e definitive. E’ un top-ten e alla sua età non lo avevamo mai avuto. Un top-ten destinato a durare. Top 5, top 3? Vedremo. Bando a sentenze affrettate.
Ci vuole più equilibrio di quello che di solito manifestano molti tifosi. Non intendo commettere lo stesso errore.
Il discorso vale anche per Musetti e Sonego. Anche nel loro caso ho riscontrato giudizi affrettati, in passato e oggi. Poco equilibrati.
Se dovessi basarmi soltanto sui match di ottavi di finale, i verdetti sarebbero chiari: Sonego, neo n.40 ATP, ha giocato alla pari con Khachanov (n.10 virtuale) finchè ha avuto le energie per farlo, mentre Musetti, neo best ranking a n.17 (virtuale…), non l’ha fatto con Carlitos Alcaraz, apparso superiore sotto tutti gli aspetti, tranne che per gli errori gratuiti che sono stati pari (23)…ma con la non trascurabile differenza che il murciano ha cercato molto di più il punto, in tutti i modi – dalle smorzate quasi sempre imprendibili, ai serve&volley perfetti sia come scelta di tempo che come esecuzione – e il diverso resonto statistico sui vincenti lo sottolinea chiaramente (42 contro 17).
Le due singole partite, di Sonego come di Musetti, andrebbero soppesate nel contesto di tutto il torneo. E anche della storia dei tennisti italiani al Roland Garros.
Vero che l’appetito vien mangiando, ma fino a qualche tempo avere due italiani in contemporanea piazzati agli ottavi di finale nel “campionato del mondo sulla terra battuta” sarebbe stato considerato un successo.
E le partite di ieri non devono far dimenticare quelle dei giorni precedenti.
Sonego aveva palesato una schiacciante superiorità tecnica nei confronti di due discreti giocatori, Shelton e Humbert (giocando in trasferta), e ha ribadito contro Khachanov l’ottima dimostrazione di tennis e di carattere mostrata con Rublev (peraltro già battuto a Roma tempo addietro; ergo non un caso).
Sulle qualità tennistiche di Sonego, più che su quelle guerriere (che furono anche esse messe in dubbio quando Lorenzo perse a Torino da Goyo in Davis, salvo riscattarsi abbondantemente a Malaga 2022 l’anno dopo) parecchi in questi anni hanno continuato a dubitare.
Non Gipo Arbino, il suo coach che lo conosce meglio di chiunque e, al di là dell’affetto paterno, conosce bene anche il tennis per potersi esprimere con cognizione di causa.
E’ certamente vero che Lorenzo ha ancora una fragilità: una sorta di vera necessità “psicologica” di trovarsi in mezzo a match da… corrida, un torneo e un campo importante, tanta gente, tanto tifo, per esaltarsi e dare il meglio di sé quando è carico al punto giusto. Ecco che in questi casi, più eccezionali che ordinari, lui allora riesce a mostrare un repertorio di colpi e soluzioni tecniche tutt’altro che banali. Spesso da campione. Da top-10 e dintorni, più che da top-40. La fiducia di Gipo è quindi ben riposta.
Ha giocato una grandissima partita con Rublev e per tre set si è ripetuto con Khachanov, due top-ten che hanno giocato bene, molto bene. Entrambi. Lorenzo, che certamente aveva parlato con il suo allenatore, è stato molto lucido anche nella disamina post-sconfitta con il secondo russo, grande amico del primo.
Sonego ha fatto capire di aver accusato la stanchezza, la fatica della intensa maratona corsa due giorni prima con Rublev. Senza voler fare il …sapientone del “io sì che me ne sono accorto subito” mi era parso chiaro già a partire da metà terzo set contro Khachanov che Lorenzo era molto meno agile, meno scattante e di riflesso anche molto meno lucido.
I servizi slice esterni di Khachanov erano tremendi. Lo buttavano fuori dal campo (se e quando riusciva a rispondere) e venivano seguiti da terribili mazzate di dritto. Ma anche di rovescio Khachanov ha fatto grandi progressi. Del resto il russo è reduce da due semifinali consecutive negli ultimi due Slam. Quando “Polpo” Sonego doveva compiere i soliti recupero sul suo lato destro, quello del diritto che è abituato a lasciare un tantino più scoperto per poter girare attorno alla palla e colpire più dritti che rovesci dall’altro angolo, faticava più del solito, arrivava con maggior affanno del consueto, la spinta sul dritto era meno …spinta!
Non aveva recuperato lo sforzo. Ha quindi ragione Lorenzo quando dice che deve lavorare sul fisico, per potersi permettere in futuro anche due maratone in 48 ore. Djokovic e Nadal hanno vinto tutto quel che hanno vinto perché al di là del talento sono – erano? – due mostri anche atleticamente. Capaci di tenere la massima intensita come nella finale australiana del 2012 anche oltre le sei ore in un giorno solo. E Nadal nel 2009 – cito a memoria – vinse un Australian Open alla domenica recuperando lo sforzo di una maratona pazzesca in rimonta di poche ore prima con Verdasco. Quando qualunque altro tennista sarebbe stato moribondo.
Lo stesso Sonego riposato di venerdì contro Rublev avrebbe probabilmente vinto anche contro Khachanov, anche se questi sono discorsi teorici perché poi ogni partita fa storia a sé. Khachanov ha altre armi rispetto a Rublev – il servizio e la potenza devastante dei fondamentali soprattutto – anche se è meno agile. Resta tuttavia molto agile anche lui considerata la stazza.
Chiudo con Sonego per dire che la stanchezza si manifesta non solo nella minor rapidità e reattività, ma anche nella diversa lucidità. Avanti 4-0 nel tiebreak del terzo set ha sbagliato un dritto per lui comodo proprio per mancanza di freschezza mentale. Fosse salito sul 5-0 non avrebbe quasi certamente perso quel tiebreak. Ma forse non avrebbe poi vinto ugualmente. A meno che Khachanov, più fresco, non si fosse innervosito. Aveva perso malamente il servizio sul 5-4.
Lorenzo era stanco, se non stravolto, perché le rincorse cui lo aveva costretto Khachanov con quel bombardamento da fondocampo avevano fiaccato perfino la sua non comune resistenza. Si portava dietro la lotta con Rublev. Poca lucidità ha mostrato anche in almeno 3 o 4 occasioni in cui poteva giocare il passante da situazione di gioco favorevoli e invece, dimentico del vento, ha cercato il lob passante ad effetto. Tutti sbagliati. Tutti abbastanza inutili.
Poi, per carità, Sonego può rimpiangere di non aver inferto il colpo del probabile k.o. già nel secondo set quando ha avuto 4 pallebreak per salire 3-1 – e nessuno può sapere come avrebbe reagito Khachanov trovandosi sotto 6-1,3-1 – mentre non può rimproverarsi nulla per il setpoint mancato nel tiebreak. Khachanov gli ha servito un missile a 199 km l’ora. Semmai quella steccata di rovescio quando era ancora avanti di un minibreak, sul 5-3. Ma, insomma, di punti su cui si può recriminare in un match di 3 ore e 3 quarti ce ne sono sempre a bizzeffe.
Lorenzo sistemi il fisico – e sì che lo ha già buono…, certo migliore di Berrettini, Sinner e Musetti tanto per esser chiari! Tuttavia non basta mai se si vuol fare strada negli Slam, quando almeno una o due partite durissime ci sono sempre – e si caverà belle soddisfazioni.
Passo all’altro Lorenzo.
E non dimentico, non sarebbe giusto farlo, quanto bene ha giocato tutte le sue altre partite, Ymer, Schevchenko, Norrie. Non solo tennis bellissimo a vedersi. Ma anche tennis efficacissimo. Puntuale. Ineccepibile sotto tutti i punti di vista.
Contro Alcaraz, invece, match da junior. Da dimenticare…senza dimenticare tuttavia anche che Alcaraz è Alcaraz. Una potenza impressionante e una flessibilità altrettanto impressionante nella capacità di alternare colpi terribilmente potenti a smorzate delicatissime. Come se invece di avere un solo braccio ne avesse due. Uno per tirare forte, un altro per accarezzare drop-shot irraggiungibili. Come pigiando un bottone. Sempre o quasi sorprendendo l’avversario. Qualsiasi avversario per quanto si è visto nelle giornate di vena. Ha battuto quattro volte su quattro Tsitsipas, mi aspetto che lo faccia per la quinta. Perché sul lato sinistro Tsitsi è troppo debole e quando colpisce i suoi topponi monomani di rovescio finisce col corpo all’indietro: una manna per chi sa giocare le smorzate con l’abilità di Carlitos.
Diversa storia potrebbe essere semmai fra Carlitos e Djokovic. Se Djokovic riuscisse a ripresentarsi in quei panni che per adesso non gli ho ancora visto reindossare.
Ma torno su Musetti. L’ho “bollato” poco sopra dicendo che ha giocato come uno junior. Sì, senza il giusto approccio mentale, senza la voglia di lottare come è invece indispensabile. Del resto lo ha ammesso lui stesso a fine match. Leggete le sue dichiarazioni.
Fin dall’inizio, quando ha cominciato con l’illusorio break, è sembrato troppo Narciso. Più intenzionato a cercare il colpo strappa-applausi, che la sostanza. Ogni volta che è stato scavalcato da un lob ha cercato impossibili tweener. Ogni volta! Senza mai l’umiltà di una difesa meno arrogante e pretenziosa.
Idem sulle rare smorzate sulle quali, partendo da così lontano, era riuscito ad arrivare. Ha sempre cercato di tirar fuori il coniglio dal cappello del mago prestigiatore.
Ingenuo. Presuntuoso. O più semplicemente – nell’occasione eh, non sto esprimendo giudizi assoluti sul personaggio Musetti, mi sto riferendo soltanto a questa singola partita e si sa che ogni partita fa storia a sé – giovane, giovanissimo.
Credo che imparerà la lezione. Il talento non si discute. Ma lui non ha bisogno di sottolinearlo a tutti i costi. Anche perché il costo alla fine si chiama sconfitta. E con Alcaraz si è trattato di sconfitta pesante. Non è mai stato in partita, non ha mai dato l’impressione di poterci entrare, di poterla rovesciare. Sembrava che ci fossero due categorie di differenza.
Ci sono? Può essere, oggi come oggi. Ma non è detto che ci saranno sempre. Perfino Alcaraz ha i suoi bassi, non solo alti. Lo abbiamo visto a Roma. Quando anziché a comandare tutto, gioco e punteggio, si trova . inopinatamente per lui e per gli altri – sotto, indietro, si innervosisce, si smarrisce, può commettere errori giovanili lui pure. In fondo i 23 errori gratuiti di domenica non sono pochissimi.
Carlitos è fortissimo, in tutti i sensi, anche tatticamente. Quando decide di venire avanti, seguendo il servizio oppure in controtempo, non sbaglia quasi mai il momento, il tempo, la scelta. Indubbiamente un fenomeno. Fa paura pensare che certamente migliorerà ancora. Ma migliorerà anche Musetti che, a suo modo, ha qualcosa di straordinario anche lui. E non solo la bellezza di certe sue invenzioni. Si assottiglierà o si approfondirà il gap fra i due? Nessuno può saperlo.
Ma se la vittoria di Amburgo non era da prendere per oro colato, perché Carlitos non era ancora quel che è oggi, anche questa batosta del Roland Garros non va presa per oro colato. Il gap c’è, indubbiamente, ma non credo sia così profondo come è sembrato nell’occasione. Ad Maiora.