Le supersfide di Ubitennis, "Obiettivo top10": Dominic Thiem vs Jack Sock

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Le supersfide di Ubitennis, “Obiettivo top10”: Dominic Thiem vs Jack Sock

Largo ai giovani nella supersfida di oggi: di fronte due giocatori che puntano a diventare dei veri protagonisti del circuito negli anni a venire, l’austriaco Dominic Thiem e l’americano Jack Sock

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Due tennisti della generazione perduta del tennis, quei nati fra il 1989 e il 1994 che finora hanno ottenuto troppo poco a livello ATP. Due prospetti che nel 2015 hanno vinto i loro primi tornei, firmando i loro primi successi importanti: da una parte l’austriaco Dominic Thiem, erede della tradizione di Thomas Muster e Jurgen Melzer, dall’altro Jack Sock, probabile futuro numero 1 dell’immenso movimento USA.

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Dominic Thiem (di Valerio Vignoli)

Requisiti per entrare nella top10: un fondamentale devastante e l’altro quantomeno solido, una prima di servizio risolutiva e una seconda che non permette all’avversario di aggredire sulla risposta, un gioco di rete decente, forza nella parte superiore del corpo ed esplosività in quella inferiore, un fisico poco incline ad infortuni, sfrenata ambizione e grande attitudine al lavoro, mentalità vincente durante gli incontri. Secondo me, dall’undicesima posizione in avanti, l’unico giocatore che corrisponde all’identikit è Dominic Thiem.

Dominic nasce il 3 settembre del 1993 a Wiener Neustadt, piccola cittadina a sud di Vienna. È il primogenito di Wolfgang e Karin, entrambi allenatori professionisti. Papà Wolfgang lavora nell’accademia di Gunter Bresnik, ex coach di Boris Becker. Un giorno fa al suo capo: “Mio figlio gioca benino, non è che gli daresti un’occhiata?”. Dominic ha 11 anni ed è uno dei migliori della sua categoria a livello nazionale. Ma secondo Gunter ci sono un paio di cose che non funzionano nel suo gioco. Una è il rovescio bimane e l’altra è la tendenza a stare sulla difensiva. Dominic si affida completamente al suo mentore, staccando la mano sinistra e diventando più aggressivo in campo. Dopo qualche difficoltà, complice anche una crescita troppo repentina e un sistema immunitario debole, i risultati arrivano. Nel 2011 vince l’Orange Bowl e per un soffio non conquista anche il Roland Garros Junior, perdendo la finale per 8 a 6 al terzo set dallo statunitense Bjorn Fratangelo.

Nel 2012 Thiem si affaccia ai tornei Futures. Il primo impatto con il professionismo non è folgorante ma comunque l’austriaco riesce a portare a casa 4 titoli. La stagione successiva parte con il piede giusto. La svolta però giunge in luglio, quando al secondo turno del torneo di Kitzbuhel, Dominic supera in due set Jurgen Melzer, uno dei suoi idoli da bambino. Il mondo del tennis comincia ad accorgersi di questo ragazzo brufoloso e dal micidiale rovescio ad una mano. Il primo a rendersi conto di quanto sia forte Thiem è un certo Andy Murray, che per batterlo al secondo turno a Rotterdam nel febbraio del 2014 deve sudare le proverbiali sette camicie. Poche settimane dopo a Madrid, uno Stan Wawrinka ancora frastornato dalla vittoria degli Australian Open, viene travolto dalle martellate dell’austriaco. Dominic, già a ridosso dei primi 50, è ormai rispettato da tutti gli altri tennisti. Nadal compreso. E me lo ricordo quel secondo turno a Parigi. Rafa si impegna sul serio per non dargli respiro. Lo teme e si vede. Ancora a Kitzbuhel, solo un Goffin in stato di grazia gli nega la gioia del primo titolo tra le mura amiche. En passant, agli US Open elimina il lettone Ernests Gulbis, con il quale condivide allenatore e una sincera amicizia, e, in seguito, Feliciano Lopez, nella migliore stagione della sua carriera.

Ma la patria chiama e Dominic è costretto nella off-season a prestare il servizio militare. Per di più decide di cambiare racchetta. Il suo avvio di 2015 risente tanto di questi due fattori. A Miami torna però a brillare la sua stella. L’austriaco si issa infatti fino ai quarti di finale in un Masters 1000 per la prima volta – battendo fra gli altri proprio l’americano Jack Sock, con un perentorio 6-4 6-3. Sulla terra di Nizza Thiem solleva il suo primo trofeo ATP, imponendosi sull’argentino Leonardo Mayer in una finale thriller. Il bis arriva ancora sulla terra ad Umago. E non c’è due senza tre perché la settimana successiva porta a casa anche il torneo di Gstaad, prendendosi la rivincita contro Goffin.

In questo 2016, il 22enne Thiem parte da n.20, senza handicap e con tante motivazioni. Come già sottolineato in precedenza, il potenziale per fare il definitivo salto di qualità c’è tutto. Se Dimitrov è un baby-Federer, Dominic è un baby-Wawrinka – che alla sua età era meno forte e meno maturo. Bresnik rappresenta l’uomo giusto per migliorare ulteriormente. Lasciato a sé stesso l’indomabile Gulbis, Gunter si potrà concentrare esclusivamente sul suo pupillo. Insomma “Dominator” è finalmente pronto per dominare il circuito e fare il suo ingresso nella Top10. Siete tutti avvertiti.

Jack Sock (di Marco Lauria)

Cestinare una bozza può essere, alle volte, una benedizione. Ho chiesto a Valerio il suo testo su Thiem e tergiversando sull’elenco delle conditio sine qua non per diventare un top ten mi sono convinto che anche Sock disponga dei suddetti requisiti essenziali. Il dritto è fuor di dubbio tra i migliori del circuito, con la prima di servizio fa segnare sovente percentuali bulgare, mentre la seconda è perfettibile, ma già solida. A rete non è un pesce fuor d’acqua e le ottime referenze da doppista ne sono una prova. Rapido, esplosivo, gran lavoratore, le qualità tassative per abitare i piani alti del tennis non mancano, e quest’anno è arrivato anche il primo successo in un torneo ATP, sull’argilla di Houston.

Sembrerebbe un quadro perfetto e la giovane età della speranza del tennis a stelle e strisce giocherà a suo favore, questo malgrado le nuove leve spingano per saturare quel vuoto generazionale con apprezzabile celerità. La top ten dev’essere quindi un obiettivo a breve termine, una distanza da colmare già nei prossimi dodici, al massimo diciotto mesi, ma la forbice di rendimento tra Sock e chi nella top ten sguazza da tempo è ancora ampia. Cristopher Clarey, columnist del NYT, a proposito delle gerarchie nel tennis nei circuiti ATP e WTA ha scritto “Nel tennis femminile, al di là dell’indiscussa leadership di Serena, la classifica è più fluida. Se nel 2015 sei tenniste hanno fatto il loro debutto in top ten, tra gli uomini solo Kevin Anderson ce l’ha fatta”.

Un orizzonte eufemisticamente non esaltante, legato ad un discorso puramente tecnico (Sock è il classico regolarista, seppur di ottima fattura, figlio della scuola americana, servizio e dritto anomalo, impugnatura capace di sprigionare rotazioni in top spin e predilezione per le superfici lente) che mi ha convinto a rivedere la vecchia bozza rovesciando la logica che imporrebbe un lungo indice di referenze per un breve elenco di accorgimenti i quali tornerebbero utili allo yankee per centrare gli obiettivi: prima l’ingresso fra i primi venti (attualmente è ventiseiesimo, con un best ranking fermo a venticinque), poi dare l’assalto alla top ten, raggiungendo il numero uno d’America a discapito di John Isner e diventare il trait d’union tra la ribattezzata silver generation dei vari Roddick, Blake e Fish e una nuova verosimile, generazione d’oro, con Tiafoe, Fritz, Rubin e Kozlov a contendersi lo scettro del numero uno.

Chi negli anni duemila è riuscito a suon di vittorie a raggiungere una dimensione che va al di là della solenne etichetta del prototipo di tennista made in USA è stato Andy Roddick, con cui Sock condivide natali (entrambi figli del Nebraska) e qualità tecniche (un dritto molto carico e un rovescio sterile). Andy negli anni ha imparato a verticalizzare, migliorando notevolmente il suo gioco di volo e mantenendo il livello del suo rovescio sopra la soglia della sufficienza. Sock è un attaccante da fondo, ama le superfici lente ed è abile a girare attorno alla palla e colpire col dritto anomalo quando il suo avversario accorcia sulla diagonale del rovescio, pertanto credere che moltiplicare il numero degli approcci a rete possa essere di aiuto a scalare il ranking è anacronistico. Ciò che dovrà migliorare sensibilmente sono le sue doti di contrattaccante, diventare più aggressivo in risposta, dove anche sulle seconde lascia sovente l’inerzia dello scambio a chi serve, adottando soluzioni bloccate e corte.

Ineccepibile fisicamente, in un tennis dominato dalla componente fisica, un aspetto sul quale potrà ancora lavorare è la crescita atletica sulla distanza. Grezzo e ancora molto muscolare nei movimenti, gioca un tennis che chiede moltissimo soprattutto agli arti inferiori, sempre alla ricerca della giusta distanza dalla palla per eludere il rovescio e colpire inside in/out. È ragionevole l’ipotesi che sia questa una delle cause che lo costringe spesso a tirare i remi in barca in risposta ed assumere un atteggiamento remissivo.

Altro nodo da sciogliere è la sua militanza in doppio. Tra i primi venti del mondo in singolare nessuno gioca regolarmente in coppia e tra i primi trenta solo Fognini e Sock sono assidui doppisti. La scelta dello yankee non è scevra di valide ragioni economiche, la collaborazione con Pospisil, nonostante i montepremi dimezzati e la migliore stagione da singolare di entrambi, ha raddoppiato le entrate. L’incredibile vittoria di Wimbledon nel 2014 (giocavano insieme per la prima volta) ha certamente aiutato Sock gonfiando le sue ambizioni, ma ora l’americano ha davanti a sé un bivio e sarà bene non perdere altro tempo per capire al più presto se un’ottima carriera da doppista possa convivere con quello che resta il vero obiettivo del 2016: la top ten.

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