Le supersfide di Ubitennis, "Bad boys": Bernard Tomic vs Nick Kyrgios

Rubriche

Le supersfide di Ubitennis, “Bad boys”: Bernard Tomic vs Nick Kyrgios

Nessuno spazio per le buone maniere nella supersfida di oggi: di fronte due teste calde Down Under, va in scena un derby australiano fra Bernard Tomic e Nick Kyrgios

Pubblicato

il

 

Dimenticatevi il politically correct, le buone maniere, il comportamento irreprensibile dentro e fuori dal campo, lo stile di un Edberg o di un Federer. Oggi mettiamo di fronte due dei giocatori che più hanno fatto discutere negli ultimi anni, due giovani australiani saliti alla ribalta ancora da teenager, due sicuri protagonisti del tennis del futuro, due talenti che più di una volta hanno oltrepassato il limite, ma che indiscutibilmente sanno dare spettacolo con una racchetta in mano: Bernard Tomic e Nick Kyrgios.

[yop_poll id=”42″ tr_id=””” show_results=”-1″]

Tomic-Kyrgios

Bernard Tomic (di Francesco Foschini)

Raramente di questi tempi capita, soffermandosi sul ranking ATP, di ritrovarsi realmente sorpresi per qualcosa. Forse perché le settimane passano e Nole è sempre più numero 1; forse perché Murray e Federer, entrambi sul podio, non fanno altro che inseguire e inseguire senza riuscire mai realmente a raggiungerlo; forse perché il vero Nadal non esiste più e deve arrancare, lontano anni luce dai migliori. Ma se, vincendo l’usuale apatia, si ha la pazienza di sbirciare nei pressi della ventesima posizione qualcosa di strano dopotutto c’è: Bernard Tomic, 1675 punti e numero 18 del mondo. Possibile? Che si tratti di un errore? Spero che Tomic potrà perdonarmi questa neanche troppo celata mancanza di fiducia nei suoi confronti ma, ripercorrendo rapidamente quelle che sembrano le tappe principali della sua giovane carriera, nonché la piega inesorabile presa negli ultimi tempi, sembra difficile con tutta onestà poter credere che ora sia davvero lassù, tra i migliori venti giocatori di quest’era tennistica.

Possiamo cominciare dicendo che, dopo aver “dominato” il circuito Junior vincendo 26 match consecutivi tra il 2006 e il 2007, conquistando gli Australian Open nel 2008 (più giovane vincitore di sempre) e gli Us Open nel 2009, il giovanissimo Bernard si è presentato su quello maggiore facendo letteralmente il botto soltanto nel 2011. L’anno magico, quello per intenderci del terzo turno in Australia (dove fu sconfitto da Rafa Nadal) ma soprattutt odei quarti a Wimbledon, raggiunti senza perdere neppure un set partendo dalle qualificazioni. Soltanto un Djokovic super (che fino a quel momento della stagione aveva perso una sola partita) sarebbe infatti riuscito ad arginare l’australiano, capace comunque di strappare un set al ben più quotato avversario prima di arrendersi al quarto. Sull’onda di quei risultati, nel giro di pochi mesi, Tomic ha tagliato anche il traguardo delle prime cento posizioni mondiali, riuscendo a salire fino alla 27 del ranking, lasciando pochi dubbi sul suo futuro: quello di un fuoriclasse.

A questo punto, date le premesse è difficile digerire tutto il resto. Voglio spiegarmi meglio: possibile che un impatto così devastante sul circuito possa essere stato soltanto il canto della sirena di un giocatore frettolosamente additato come un predestinato e rivelatosi poi soltanto un interprete mediocre? La domanda sorge spontanea alla luce dei risultati ottenuti negli anni successivi, il cui bilancio è disastroso: tra infortuni, bravate e colpi di testa esce anzitempo di scena da tutti i principali tornei facendo piangere prima tifosi e supporter vari e poi la classifica, tanto che alla vigilia dell’ATP di Bogotà dello scorso anno (vinto poi in finale contro Karlovic) era uscito persino e di gran carriera dai primi cento. Per poter rispondere a questa domanda abbiamo dovuto aspettare l’inizio del 2015 che, con tutta probabilità, può essere considerato alla stregua di un secondo anno zero per il giocatore originario di Stoccarda.

Cosa è cambiato? Mi sento di dire, per prima cosa, il contesto: due anni e mezzo disastrosi non possono che abbassare le aspettative che la piazza nutre nei confronti di un qualsiasi atleta professionista (della serie “Tomic? Quel Tomic? È già tanto se vince due partite di fila” per intenderci). A tutto ciò hanno contribuito sicuramente anche Kyrgios e Kokkinakis, entrambi australiani, entrambi di belle speranze e soprattutto entrambi capaci di riscuotere, contestualmente al loro ingresso sul circuito, un grandissimo appeal mediatico che, parlando un po’ in soldoni, è riuscito a mettere in ombra lo stesso Tomic. Quale medicina migliore può esserci, in questo come in altri sport, per un ragazzo da anni al centro delle critiche se non quella di tornare a essere solamente uno dei tanti? Con la mente sgombra e le spalle leggere, la dura vita dell’agonista (fatta di sacrifici e rinunce) senza dubbio deve essere sembrata più invitante agli occhi del pur sempre ventiduenne Bernard. Al secondo posto mi sembra opportuno citare i cambiamenti che hanno investito il box di Tomic. Il suo angolo, se preferite: fuori il padre (violento e ingombrante come pochi altri), da sempre unico allenatore del figlio e dentro Tony Roche, allenatore, fra gli altri, di gente del calibro di Federer e Hewitt. Infine è arrivata anche la maturità: perché il talento c’è sempre stato, anche nei giorni peggiori, ma la testa invece no; quella è proprio mancata.

Così quest’anno abbiamo finalmente potuto ammirare un giocatore solido, concreto e concentrato; capace soprattutto di dare continuità ai propri risultati, i quali, lungi ancora dal potersi considerare straordinari, sono stati sufficienti a garantire al ventitreenne di origini croate la possibilità di attestarsi a ridosso delle zone più nobili del ranking. Il tutto condito da un tennis inusuale, di altri tempi forse, fatto di accelerazioni e decelerazioni improvvise, intraprendenza e cambi di ritmo, tocco e potenza. In una realtà come quella attuale, dove i “giovani” non sono mai abbastanza pronti e sempre troppo acerbi e dove invece i “vecchietti” sono ancora troppo forti, chissà un giorno anche uno come Bernard Tomic potrebbe avere la propria chance, perché no? La chance di guardare tutti dall’alto.

Nick Kyrgios (di Claudia Demenica)

Prestanza fisica ed esplosività, mobilità impressionante, 193 centimetri d’altezza e vent’anni di età ma non chiamatelo teenager, per favore. Quella convinzione, quella incrollabile capacità di crederci fino alla fine la possiedono solo i grandi giocatori o i predestinati.

È facile, quando sei poco più che un ragazzino, che ti possano tremare le gambe quando ti trovi sul prato del Central Court di Londra e di fronte a te hai Rafa Nadal. E invece no. Lui ha giocato quella partita con la consapevolezza che solo chi è estremamente convinto dei propri mezzi può possedere dopo aver annullato la bellezza di 9 match point al braccio d’oro Gasquet. E gli ha pure piazzato 37 aces e 70 vincenti al campione maiorchino, che in fondo era il detentore del Roland Garros e che quest’anno sarà pure incappato in un’annata nera, ma è pur sempre un osso durissimo, uno di quei giocatori che non mollano mai niente. E pensare che a quel Wimbledon la stella di Canberra aveva partecipato grazie alla wild card concessa dai (mai come quella volta) lungimiranti organizzatori grazie al successo a sorpresa ottenuto al Challenger di Nottingham. In pochissimi mesi Kyrgios sarebbe diventato una figura insostituibile della squadra di coppa Davis grazie al capitano Rafter. Avevano cominciato a paragonarlo a Philippoussis e d’altronde l’erba di Church Road è tradizionalmente il teatro della consacrazione di grandi giocatori (dalla biondissima Sharapova che vinse contro ogni pronostico Wimbledon a 17 anni a Boris Becker che sbalordì tutti nell’85 sul tappeto verde di Gran Bretagna).

Ragazzino a chi?” sembra voler dire a tutti l’impertinente Nick ogni volta che si avventa su una palla con gli occhi della tigre, sfoderando il suo dritto violentissimo, il rovescio bimane efficace che gli apre angoli incredibili o esibendo la sua prima di servizio devastante (riesce a piazzare con una naturalezza quasi irritante aces a 209 all’ora, il teenager). Dovrà migliorare, invece, sulla ricerca e la chiusura della rete oltre che nell’esecuzione delle volèe ma anche nella risposta ha ancora tanta strada da fare. “Il ragazzo si farà” direbbe Francesco De Gregori, perché il potenziale è enorme ed il gioco è già fluido, potente e profondo. Arrivano i risultati, batte Federer e Madrid ed entra nei primi 30, e arriva pure la fama, i fans (soprattutto le fans) e con essi la pressione, le aspettative da non disattendere. E viene inevitabilmente a galla pure il carattere forte, irriverente, un po’ presuntuoso, i nervi sempre molto tesi che a volte gli giocano brutti scherzi e ne fanno il bad boy del circuito. Potrebbe migliorare e diventare il crack dei prossimi anni oppure potrebbe dilapidare tutto perché la gestione del fenomeno è estremamente delicata, ma ha solo vent’anni e gli va perdonato (quasi) tutto a quel mostro di potenza e carisma, perché Nick Kyrgios “è rock” per dirla alla Celentano ed è nel fiore dei suoi danni (pardon, anni).

D’altronde viene dal Paese di Lleyton Hewitt, John Newcombe, Ken Rosewall, Rod Laver, Pat Cash e Pat Rafter e se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, ci sarà da divertirsi.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement