Roger Federer continua. Per vincere ancora o per “difendere” se stesso?

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Roger Federer continua. Per vincere ancora o per “difendere” se stesso?

Roger Federer ha dichiarato di voler giocare almeno fino al 2018. Solo passione o vuole evitare che Novak Djokovic riesca lì dove Rafa Nadal sembra aver fallito?

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Qualche giorno fa Roger Federer ha comunicato il suo calendario per la stagione 2016. Ha destato qualche preoccupata perplessità la decisione di saltare praticamente per intero la stagione sulla terra rossa, Roland Garros escluso. Ma a parte l’ovvia considerazione che lo svizzero vuole un po’ tastare le proprie condizioni fisiche prima di decidere se partecipare o meno ad un torneo – e quindi alla fine tra Montecarlo, Roma e Madrid un torneo (almeno) deciderà di giocarlo – non è improbabile che questa programmazione sia funzionale alla più volte annunciata intenzione di proseguire almeno fino al 2018. Ne ha davvero l’intenzione?

Almeno fino al 2018.
Quando ormai erano un po’ tutti convinti che stesse solo inseguendo il suo ultimo obiettivo, la medaglia d’oro olimpica in singolare, all’ultimo tentativo utile, i giochi di Rio del prossimo anno, dopo aver vinto per la settima volta il torneo nella “sua” Basilea, Roger Federer ha comunicato che intende deliziare il pubblico di tutto il mondo ancora per qualche anno con il suo tennis.

Ma cosa lo spinge a continuare?
Sicuramente c’è la passione per il gioco che tutti gli hanno sempre riconosciuto e, forse, il fatto che magari ora in campo si diverte – in un certo senso – più di prima.
C’era infatti chi sosteneva – e sostiene ancora oggi – che a suo tempo il giovane Roger avesse “venduto l’anima al diavolo”dell’immortalità tennistica e invece di deliziare il pubblico con tutto il tennis creativo di cui sarebbe stato capace, ma la cui insita rischiosità non sarebbe stata garanzia di grandi successi, avesse preferito perfezionare il suo gioco da fondo, la sua “frustata liquida” di dritto, lo schema servizio – dritto, “solo” per portarsi a casa 17 titoli dello Slam e l’etichetta di più forte tennista di tutti i tempi.
E ora che i grandi trionfi sono stati ottenuti, i record più incredibili superati e l’età non gli permette – ecco il perché di quel “in un certo senso” – più di giocare quel tipo di tennis, ecco che Roger può permettersi di essere quello che aveva deciso di non essere. Ritrova con maggior frequenza la rete, quel modo di giocare che gli permise di battere il suo idolo Sampras a Wimbledon nel 2001, sfodera appena può colpi inusuali come il tweener e addirittura ne inventa di nuovi come la SABR

Ma è solo per passione? Solo puro piacere per il gioco e della sfida ad alto livello?
O “The Swiss Maestro” ha ancora qualcosa da chiedere a se stesso?
Se partiamo dal presupposto che Federer nel 2015 è arrivato in finale in due tornei dello Slam, cosa che non gli riusciva dal 2009 (quell’anno ci arrivò in tutti e quattro, ma poi non è riuscito a fare più di una finale Major a stagione), sicuramente lo svizzero in previsione del prossimo anno non si sente certo battuto in partenza né a Wimbledon né soprattutto a Rio, dove la superficie veloce e soprattutto la distanza dei 2 set 3 gli permettono di ridurre il gap fisico con i suoi principali avversari, in primis ovviamente lui, l’attuale dominatore del tennis mondiale: Novak Djokovic. E la conquista dell’ottava corona di Wimbledon o l’oro olimpico (o magari tutti e due) rappresenterebbero veramente qualcosa di leggendario.

Ma forse c’è anche dell’altro. E neanche di poco conto.
Il Re vuole mantenere i suoi record e per farlo deve continuare a giocare, per evitare che possano venir raggiunti e superati. Nuovamente il riferimento è al fuoriclasse serbo, dato che la nemesi per eccellenza dello svizzero, Rafa Nadal da Maiorca, difficilmente potrà ancora ambire a raggiungere quota 17 Slam. Obiettivo che invece per lo spagnolo sembrava raggiungibile solo due anni fa, a fine 2013, dopo la vittoria agli US Open e prima che gli acciacchi fisici e i dubbi mentali lo costringessero a rinunciare e a cercare “solo” di arrivare ad un’ultima impresa, che farebbe entrare anche lui nella leggenda: il decimo trionfo agli Open di Francia.
Anche se con Nadal prima usare il termine “rinunciare” è meglio pensarci due volte: tre mesi fa, dopo la sconfitta contro Fognini a New York, forse neanche i suoi tifosi più accesi lo avrebbero pronosticato semifinalista alle Finals. E invece…
Nole invece è lanciato. Il dominatore assoluto della stagione appena conclusa che gli ha permesso di arrivare in doppia cifra negli Slam vinti, non sembra avere avversari all’orizzonte che possano contrastare efficacemente questo suo dominio nel breve periodo.
Sia chiaro: vincere altri otto Major per superare Roger non è una passeggiata. Servirebbero più di due stagioni allo stesso stratosferico livello di questo suo 2015 e anche Novak tra circa un anno e mezzo toccherà le 30 primavere, che rimane un’età in cui il fisico (e anche, se non soprattutto, la testa) cominciano a presentare il conto di tutti gli anni passati a lottare sui campi di tutto il mondo.
A tale proposito, si tenga in considerazione che Federer stesso, come già detto, smise di vincere più di uno Slam a stagione nel 2009: ed aveva proprio 28 anni, l’attuale età di Nole. Mentre Nadal ne ha vinti due l’ultima volta in un anno nel 2013, quando aveva 27 anni.
Prima di loro, gli ultimi a vincere due Slam nello stesso anno furono i due grandi rivali del tennis degli anni ’90: Pete Sampras e Andre Agassi. Sampras non era ancora ventiseienne quando nel 1997 fece l’ultima delle sue quattro doppiette Slam, mentre il Kid di Las Vegas ci riuscì sono una volta, nel 1999, ed aveva a 29 anni.
Tutti e quattro vinsero dopo ancora altri Slam (Sampras più di tutti, quattro), ma non in numero sufficiente da consentire di definire ragionevole per Djokovic l’obiettivo di scavalcare lo svizzero.
Però in questo momento, sono molto probabilmente di più quelli che scommetterebbero sul Grande Slam di Nole nel 2016 che contro, e quindi sul fatto che nell’arco di 12 mesi il tennista serbo riesca a dimezzare il suo distacco dal fuoriclasse di Basilea nel numero di Major vinti.
E se accadesse, beh, il sorpasso rimarrebbe comunque duro da realizzare, ma molto, molto più vicino…

Per questo, forse, Roger continua.
Non è una certamente un pensiero conscio (e anche se lo fosse non ce lo verrebbe certo a dire), forse è una di quelle sensazioni interiori che quando uno sta per prendere una decisione (“Vado avanti? O mollo?”), senza capire bene cosa sia, fanno propendere per una scelta invece dell’altra.
La psiche delle persone è misteriosa. Quella dei grandi campioni spesso anche di più. L’autostima e la sicurezza in sé stessi sono in genere caratteristiche distintive dei fuoriclasse, spesso sono alcune delle chiavi fondamentali per raggiungere i grandi risultati. Ma talvolta, in determinate condizioni, possono sconfinare nella presunzione e ritorcersi loro contro. Prova ne è proprio il coach di Djokovic, Boris Becker, un fuoriclasse che non ha mai vinto un torneo sulla terra battuta perché si ostinava a voler vincere giocando da fondo. Lui che aveva tutti i colpi necessari a trionfare anche sul mattone tritato, ma sicuramente non la mobilità da fondo campo.
Magari Federer, inconsciamente, punta a far scivolare Djokovic lì.
Lì dove l’autostima diventa presunzione, dove la sicurezza in sé stessi diventa arroganza, dove per dimostrare di essere migliore dello svizzero, il tennista serbo cercherà di fare qualcosa in più. Di chiedere a sé stesso qualcosa in più. Quel qualcosa in più che potrebbe essere il celeberrimo granello di sabbia che inceppa quel meccanismo perfetto che è oggi il gioco del tennista di Belgrado.
E per farlo Federer deve continuare ad affrontarlo, anche se ormai ci perde più di quanto ci vince (3-5 gli scontri diretti quest’anno). Ma costringendolo sempre a dare il massimo, quasi a dimostrare a  Nole che per batterlo, ancora adesso che ha 34 anni, deve riuscire a tirare tutte le risposte sulle righe come ad un certo punto ha dovuto fare a Wimbledon, o ad annullargli 19 palle break su 23 come è stato costretto a fare a New York con anche il pubblico contro. E a non concedergli mai di rilassarsi, perché appena molla un istante gli rifila due set a zero come nel round robin delle Finals.
Non sappiamo se sia per questo, ma sicuramente Djokovic a Wimbledon, a New York e infine a Londra, tra il towelgate e le risposte in conferenza stampa, ha dato evidenti ed inusuali, per lui, segni di nervosismo, anche se poi in campo ha gestito tutto in maniere perfetta portandosi a casa tutti e tre i trofei.

Non sappiamo, né molto probabilmente sapremo mai, se in questa ipotesi ci sia un fondo di verità.

E quindi non sapremo mai se, paradossalmente, i tifosi di Federer e gli amanti di quel tennis “dei gesti bianchi” di cui Sua Fluidità rappresenta forse l’ultimo fulgido rappresentante, dovranno ringraziare proprio Djokovic, la massima espressione del tennis da fondo campo del ventunesimo secolo, del fatto di poter godere ancora un po’ della magia dei Federer Moments.

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