Le supersfide di Ubitennis, "I maestri del net": Feliciano Lopez vs Gilles Muller

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Le supersfide di Ubitennis, “I maestri del net”: Feliciano Lopez vs Gilles Muller

Spazio al gioco di volo nella supersfida di oggi. Di fronte due ballerini del net, due giocatori dotati della famosa “mano educata”, due tennisti capaci di ricami degni di un quadro di Caravaggio: Feliciano Lopez e Gilles Muller

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Nel loro caso, il commento più utilizzato è probabilmente “se fosse nato vent’anni prima avrebbe vinto molto di più”. Praticano un tennis che si potrebbe ormai definire vintage, un gioco da tubo catodico in un’epoca di schermi curvi Ultra HD. Rovescio in back, chip & charge, attacchi in controtempo, questo e altro nel loro vasto repertorio, che garantisce sempre divertimento agli spettatori. Di fronte Feliciano Lopez e Gilles Muller.

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Lopez-Muller

Feliciano Lopez (di Enrico Serrapede)

Descrivere un tennista come Feliciano Lopez potrebbe addirittura risultare fin troppo facile adesso che è (quasi) rimasto l’ultimo della sua specie. Una specie, quelle dei tennisti serve & volley, destinata a scomparire nel giro di qualche altro anno. Di fatto gli attaccanti puri sono rimasti davvero pochi e solo quest’anno ne abbiamo salutati due, Mardy Fish e Michael Llodra, e mettiamoci anche Stepanek del quale si sono perse le tracce. A grandi livelli insomma rimane solo Feliciano che però è riuscito nella grande impresa di raggiungere i suoi risultati migliori proprio adesso che sta diventando sempre più difficile esprimere il gioco a lui tanto caro.

Probabilmente la sua maturazione e i suoi risultati migliori sono stati frutto anche della nuova stabilità nella vita privata raggiunta con il matrimonio. Diciamocela tutta Feli non è di certo un brutto ragazzo, qualche tentazione (distrazione) gli sarà pure capitata. Lui e Nando Verdasco sono sempre stati un po’ i Vieri e gli Inzaghi del tennis, sempre pronti a… “distrarsi”.

Adesso per sua stessa ammissione c’è un altro Lopez capace nel 2015 di raggiungere il best ranking personale (12esimo a Maggio 2015, mentre a Maggio 2014 era addirittura 27esimo). Negli slam il risultato migliore del 2015 è senza dubbio il quarto di finale perso da Nole a Parigi, poi ottavi a Melbourne e due deludenti prestazioni a Wimbledon e Roland Garros (rispettivamente secondo e primo turno). Nei 1000 invece quarti a Bercy e Cincinnati. È mancato l’acuto, il titolo che aveva raggiunto per due anni consecutivi nel 2014 e 2013 (sempre sull’erbra di Eastbourne). Ci è andato vicino a Quito, sconfitto da Estrella Burgos (inammissibile, con tutto il rispetto per Estrella), e Kuala Lumpur dove invece a batterlo è stato David Ferrer.

Dopo tutto Lopez non è mai stato un gran vincente, lo testimoniano i soli quattro titoli in ben 18 anni di attività (le finali perse sono ben nove ad avvalorare la statistica). Se lo paragoniamo agli altri tennisti di puro attacco dell’ultima generazione vediamo che Llodra ha portato a casa cinque titoli, Stepanek anche, Fish sei e Muller (suo sfidante della nostra sfida) zero. Nessuno però tra tutti questi, escluso Fish, ha avuto un ranking migliore di Feli. Tutto sommato numeri certamente simili tra tutti nei quali si nota però un piccolo step in meno da parte dell’iberico.

Che dire di più, abbiamo scritto tante volte sui giocatori d’attacco che non esistono più. Io stesso l’ho fatto svariate volte, cercando sempre un epiteto diverso per non risultare monotono e banale. “Mosche bianche in un circuito di colpitori”, “Aristocratici della racchetta”, “Panda del Serve & Volley”, chi più ne ha più ne metta. Che le cose comunque non cambieranno lo dimostra questa nostra sfida nella quale due sono gli aspetti fondamentali da analizzare. Il primo è che non è stato facile trovare un tennista da paragonare a Lopez, non tanto per caratteristiche ma per risultati, e il secondo che stiamo parlando di due tennisti over 30. Che significa? Semplice, significa che innanzitutto giocatori così non ce ne sono più altrimenti non avremmo certo scelto due “vecchietti” ma qualche nuova leva in grado di deliziare con il gioco a rete e poi che non sono neanche più vincenti se abbiamo dovuto confrontare l’attuale numero 17 del ranking con l’attuale numero 38. Non proprio vicini di stanza e soprattutto tennisti con carriere assolutamente diverse tra loro.

Insomma prima c’era il tocco ora c’è la potenza. Si stava meglio prima o adesso? La diatriba può essere eterna. C’è chi si annoia a vedere cinquanta discese a rete e chi lo fa vedendo scambi di cinquanta colpi. Non siamo tutti uguali ma forse, sotto sotto, il tennis moderno ce lo sta facendo diventare.

Gilles Muller (di Alessandro Stella)

Prendi un diritto mancino qualche volta chop, un paese piccolissimo, un look un po’ retrò e una manciata di promesse disattese: hai fatto Gilles Muller. Poi magari qualcuno ti chiede di cambiarlo perché col tennis di oggi c’azzecca poco, ma tu sei un demiurgo un po’ nostalgico e lo lasci stare così. Anzi, giusto giusto gli piazzi un rovescio bimane così che possa – quasi – confondersi nel mucchio e nessuno si accorga della tua birbata. In fondo Gilles è un guerriero che combatte la modernità a modo suo. Non si piega alla logica del top spin, confinato com’è in quel diritto secco e poco ovalizzato che assieme alla prima di servizio esterna rappresenta il mezzo di trasporto preferito per raggiungere la rete, suo habitat naturale.

Lussemburghese di Lussemburgo dal 1983 Muller è juniores di tutto rispetto, diciamo anche destinato a un buon avvenire poiché mette in palmares un US Open per imberbi e raggiunge la prima posizione in classifica. Si succedono anni di adattamento fino agli squilli del 2005, quando con discrezione alza la manina e fa segno di esserci: finale a Los Angeles e scalpo illustre conquistato sempre a Flushing Meadows dove ferma al primo turno la corsa di Roddick. Invece di trovare l’abitudine nelle vittorie, però, Gilles è amante delle pause: si assenta dalle cronache sino ai quarti di finali raggiunti, neanche a dirlo, a New York nel 2008 (sconfitto solo dal Federer poi vincitore). Ricorrono a coppie gli anni di magra: nel biennio 2009-2010 perde più di quanto non vinca anche a causa di una serie di infortuni che minano l’integrità del suo metro e novantatré. La parziale resurrezione del 2011 – due semifinali a Metz e Atlanta e gli ottavi Slam sapete già dove – passa per la tenacia di ricostruirsi una classifica con i challenger. Stesso iter seguito nel 2014 in preparazione a un 2015 giocato invece, finalmente, in palcoscenici più consoni alla sua manina delicata. Non consono alle sue qualità è invece il numero dei tornei vinti in carriera, zero al di fuori del circuito challenger (a meno che questo serrato contest con Feliciano non si risolva in suo favore e l’ATP decida di riconoscergli qualche punticino pesante).

Il giustiziere di Nadal a Wimbledon 2005 nel suo punto tipico spinge la prima di servizio all’esterno per piombare a rete e chiudere di volo, sfruttando i benefici della traiettoria disegnata col mancino. Difetta sicuramente in mobilità, ma d’altronde ha diversi chili e centimetri da portarsi a spasso; il rovescio è un bimane quasi di copertura, certo in manovra lo gioca così ma appena può stacca la mano per approcciare a rete, per cambiare ritmo, addirittura per lobbare. Il posizionamento a rete è impeccabile, al limite del didattico: forse non uno spot di eleganza, più che altro per la sensazione di “pesantezza” che restituisce nelle movenze. Che è appunto solo una sensazione, perché il lussemburghese in realtà nei pressi del net diventa un rapace, chirurgico nel chiudere ogni spazio e maestro dell’attacco in controtempo. È uno di quei tennisti che si lascia passare solo dalle esecuzioni imprendibili e non mostra punti deboli nel campionario del “pittino”, dalle stop volley alle veroniche.

E in tutto il resto? Da fondo campo Gilles è un affascinante – e sempre più raro – interprete del tutto o niente. Uno-due e cerca di piazzare il vincente, in risposta a una seconda di servizio così come dopo un colpo interlocutorio dell’avversario. Il vero nemico è quello scambio prolungato che mette a nudo le sue difficoltà difensive e negli spostamenti laterali. Il miglior pregio è il saper rendere diversa ogni partita, costringendo molti colleghi dal tennis decisamente più schematico a fronteggiare situazioni di gioco inusuali, laddove non del tutto imprevedibili. Non mancano quindi le qualità per riuscire a impensierire anche tennisti ben più quotati, come è accaduto quest’anno con Murray nel gradevole quarto di finale al Queen’s, prima quasi vinto, poi beffardamente perso dal nostro lussemburghese.

Cosa attenderci dal futuro? Il prossimo anno Gilles compirà 33 anni e tralasciando i connotati mistici di questo traguardo ha tutte le carte in regola per migliorare il best ranking per ora fermo a 34. E per provare a piazzare una zampata in un torneo minore, anche alla luce delle quattro semifinali (la più prestigiosa a Tokyo) raggiunte nella stagione appena conclusa. Sarebbe tutto sommato un peccato se il suo “diritto mancino qualche volta chop” andasse in archivio senza essere legittimato dalla vittoria di un trofeo. Atlanta 2016?

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