L'Australia sta iniziando, un anno se ne va...

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L’Australia sta iniziando, un anno se ne va…

A pochi giorni dagli Australian Open, diamo uno sguardo a cosa può essere cambiato per i top 5 rispetto allo scorso anno: se Federer sta via via cambiando realtà, Djokovic rimane sempre lo stesso… o quasi

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Quando si discute di un incontro, di un torneo o più in generale di un tennista, i paragoni con il passato sono sempre i primi a venire a galla. Stavolta mettiamo da parte la tecnica e il gioco in sè: si tratta invece di comprendere in che modo, i primi cinque della classe, possono aver cambiato il loro approccio alla nuova stagione, rispetto ad un anno fa.

Novak Djokovic

Partiamo dal più semplice: non è cambiato nulla. E se qualcosa è cambiato, forse è solo quell’aura di imbattibilità che lo accompagna da ormai svariate stagioni, che è sempre più nitida. Sembra non sudare neanche più, la stesa inflitta a Nadal nella finale di Doha parla chiarissimo: il suo fisico e la sua tenuta, generalmente granitici, sembrano essere gli unici ostacoli davanti ai quali una nuova stagione di dominio assoluto potrebbe arrestarsi. Parlare di “se quello sta bene e lui è in cattiva giornata” equivale a dire che servirebbero i pianeti allineati in un certo modo e che tutte le teorie del complotto possibili si avverassero. Forse però, l’anno scorso non pensava alla concreta possibilità di fare il Grande Slam…

Roger Federer

Uhm. Pensando alla scorsa annata, viene da pensare che un clic nella mente dello svizzero sia avvenuto: sarà forse che il tassametro dell’età continua a correre sereno, sarà la nuova dimensione di quadrupla paternità, sarà l’aver toccato con racchetta il tuo idolo d’infanzia, che poi ha deciso di sostituire a inizio 2016. L’impressione è che Federer voglia divertirsi il più possibile (ne è grande dimostrazione la sua sempre più continua presenza sui social network, storicamente ignorati fino a due anni fa), o almeno far apparire che vincere o perdere ormai sia passato in secondo piano, rispetto alle sensazioni che il bel gioco e un buon feeling con il suo corpo possono dargli. Poi però quando c’è da alzare la voce (sfido chiunque a dire che il towelgate di Londra sia stata una cosa tipica dell’aplomb di Federer) o da soffrire in campo, di certo non si tira indietro. Insomma, il percorso degli ultimi dodici mesi sembra quello di un rasserenamento personale, condito da una (se possibile) ancora maggiore competitività.

Rafael Nadal

L’esatto contrario di Djokovic. Nel circuito è nota una caratteristica dello spagnolo, tra le altre: durante il palleggio di riscaldamento, i suoi colpi sono già potenti e aggressivi, quasi come a marcare il territorio, a far capire chi è che terrà il pallino del gioco, oltre a quello emotivo. Ci sono stati incontri, nella carriera di Nadal, che il maiorchino ha vinto praticamente solo “perché era Nadal”: vederlo dall’altra parte della rete comportava una turba psicologica pesantissima per chi doveva affrontarlo, conscio che lo avrebbe atteso una partita sfiancante e nel 99% dei casi già segnata. Un po’ come è successo a Federer nel 2013: quel contorno di supernaturale sembra essere svanito, per cui gli avversari sanno che scendendo in campo e battendosi fino all’ultimo, potrebbero avere la loro possibilità. E a chi importa se Nadal (o Federer tre anni fa) è in declino, non è al meglio e tutto il resto: un avvocato che fosse riuscito a far scagionare Al Capone, sia pure in una controversia per una multa in divieto di sosta, lo avrebbe raccontato ai nipoti dei nipoti.

Stan Wawrinka

Ovviamente, rispetto all’anno scorso Wawrinka potrà avvalersi di una fiducia in se stesso dieci volte maggiore. I successi Slam lo hanno convinto di poter quanto meno attentare a sporadici ma comunque rilevanti scalpi dorati, e non sarà più un caso trovarlo nelle late stages dei tornei che contano. C’è da capire però se saprà reggere la dimensione definitiva di uomo da battere e icona del circuito, con tutto quello che comporta anche all’esterno del rettangolo di gioco: la separazione dalla moglie, lo scorso aprile, sembrò averlo segnato profondamente, ma in estate, dopo l’alterco con Kyrgios che sparò i riflettori sulla vita privata dello svizzero, i suoi risultati sono stati nel complesso costanti (vittoria a Tokyo, e sconfitte sempre con chi classificato meglio di lui, se si esclude Kohlschreiber a Metz), sintomo di una ritrovata solidità mentale. Non è da escludere un nuovo exploit, se i pianeti dovessero allinearsi (vedi sopra).

Andy Murray

Questo il più complesso. Due Slam li ha vinti, l’oro olimpico pure, è stato secondo del mondo e pochi mesi fa ha trascinato una squadra intera al trionfo in Davis. Sono cinque anni che perde praticamente sempre contro gli stessi, e comunque al suo pubblico non va mai bene. Ammirevole comunque il tentativo di crearsi attorno un team e una atmosfera che non siano stereotipate o dettate da intenzioni altrui: il coach donna (non ditelo a Ocleppo e Panatta che altrimenti sragionano) può essere visto come un segnale di grandissima forza d’animo, che pone se stesso oltre gli scetticismi di chiunque. Il matrimonio e l’imminente parto della moglie Kim potrebbero essere una solida prima pietra su cui costruire la maturità definitiva, se riuscirà a non farsi irrigidire dai miscredenti ormai standard. L’anno appena trascorso può sembrare come un anno di transizione, di pausa (Davis esclusa), tra i suoi maggiori successi e la possibilità, forse l’ultima, di poter davvero torneare ad essere almeno il numero due.

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