Continua il sogno della Konta, la donna con tre passaporti (Crivelli). Dalla Konta a Raonic fino alla Giorgi: il tennis è diventato una babele (Lombardo). Dinastia Murray, Gran Bretagna in festa (Giorni). Adesso Raonic ha i numeri per non fermarsi alla semifinale (Giua)

Rassegna stampa

Continua il sogno della Konta, la donna con tre passaporti (Crivelli). Dalla Konta a Raonic fino alla Giorgi: il tennis è diventato una babele (Lombardo). Dinastia Murray, Gran Bretagna in festa (Giorni). Adesso Raonic ha i numeri per non fermarsi alla semifinale (Giua)

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Continua il sogno della Konta, la donna con tre passaporti (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Una spia in semifinale. Che favola, quella di Johanna Konta, il cui ingresso nelle top 50 (ora è 47) l’ha portata di diritto nel tabellone principale, il primo in carriera agli Australian Open, dopo che nei tre anni precedenti era sempre stata respinta nelle qualificazioni. E adesso si trova addirittura a due vittorie dal possibile trionfo in uno Slam, dopo essere diventata la prima britannica ad arrivare così lontano in un Major da Jo Durie agli Us Open del 1983.

Nata in Australia da genitori ungheresi e trasferitasi in Inghilterra da teenager, Johanna Konta, 24 anni, è nata a Sydney da genitori ungheresi PA la Konta però rivela di avere un solo cuore: «E’ vero, con i miei tre passaporti potrei essere una spia, la versione femminile di Jason Bourne, ma io appartengo solo alla Gran Bretagna». Con il successo, ha interrotto un’altra storia fantastica, quella della 27enne cinese Zhang, 112 al mondo, partita dalle qualificazioni, con 14 sconfitte e zero successi negli Slam, tanto da aver invitato i genitori a Melbourne perché pensava di ritirarsi per sempre. In semifinale, a sorpresa, la Konta troverà la Kerber (…)

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Dalla Konta a Raonic fino alla Giorgi: il tennis è diventato una babele (Marco Lombardo, Il Giornale)

In piena ricerca di nuova identità, il tennis mondiale rischia di perdere quella del passaporto. Basta vedere il programma delle semifinali per capire che nazionalità è diventata un’opinione. O forse un’opportunità. Per esempio: Johanna Konta è stata la prima britannica a tornare tra le prime 4 di uno Slam 32 anni dopo Joe Durie, ma la differenza è che quest’ultima era londinese purosangue, mentre la Jo del nuovo millennio gira con tre passaporti: australiano (è nata a Sydney), ungherese (ha i genitori di lì) e, appunto, britannico, visto che tredicenne è stata portata dai genitori a Londra perché in patria non la consideravano granché. Se poi aggiungiamo che si allena in Spagna «posso dire di avere più identità di Jason Bourne». Ovvero il sicario dalle mille facce dei libri di Robert Ludlum. In pratica Jo Konta non è un caso isolato: domani mattina in campo per giocarsi un posto nella finale maschile contro Andy Murray ci sarà Milos Raonic (che ha sconfitto ieri Monfils, francese della Martinica): il ragazzone è nato a Podgorica (Montenegro) e si è spostato nel Paese della foglia d’acero quando aveva tre anni e «Toronto mi ha dato una casa: sono passato da un monolocale a una villetta».

Gli stessi Aussie tra l’altro dovrebbero forse delle scuse ai russi per aver rapito Daria Gavrilova, moscovita fino all’età di 14 anni, e le sorelle Rodionov, che di nome fanno Arina e Ansatasija. Per non parlare della new wave dei vari Kyrgios, Tomic e Kokkinakis, che spaziano dalla Malesia fino ai Balcani passando per la Grecia ma battono tutti la bandiera di Canberra. Potere di uno sport internazionale ma anche di un mondo che cambia. Così la stessa Konta stanotte se l’è giocata contro Angelique Kerber (che in realtà sarebbe dovuta essere polacca ma alla fine ha scelto la Germania) e tra un po’ Coppa Davis e Fed Cup diventeranno un patchwork. Per esempio: il futuro dell’Italia femminile è nelle mani di Camila Giorgi, nata e cresciuta in Argentina. E magari della miglior ragazza vista qui tra gli junior: Ludmilla Samsonova, diventata dei nostri (ufficialmente un paio d’anni fa) perché suo papà venne ingaggiato da una squadra di tennis tavolo a Torino (…)

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Dinastia Murray, Gran Bretagna in festa (Alberto Giorni, Giorno-Carlino-Nazione)

Dopo anni di vacche magre, i britannici inventori del tennis hanno rialzato la testa grazie ad Andy Murray, che non tradisce mai. Però stavolta c’è una novità: oltre allo scozzese, in semifinale agli Australian Open c’è anche la sorprendente Johanna Konta, che ha interrotto un infinito digiuno: l’ultima british a questo livello Slam fu Jo Durie agli US Open 1983. E la festa è completata da Jamie Murray, fratello maggiore di Andy, in semifinale di doppio insieme al brasiliano Soares.

Murray junior sta per diventare padre e si è detto pronto ad abbandonare il torneo in occasione del lieto evento; ieri si è imposto 6-3, 6-7(5), 6-2, 6-3 sullo spagnolo David Ferrer. Mentre era in vantaggio di un break nel terzo, è stato chiuso il tetto perché minacciava pioggia, per il disappunto di Ferrer. «Per me è stato un vantaggio perché preferisco le condizioni indoor – ha ammesso Murray –. Senza vento o umidità, il livello del tennis si alza». Lo scozzese affronterà Milos Raonic, che ha superato 6-3, 3-6, 6-3, 6-4 il francese Monfils. «Sono orgoglioso di Jamie – ha aggiunto Andy – e Johanna ha compiuto un’impresa straordinaria».

L’estroversa Konta, 24 anni, è al settimo cielo dopo il netto successo 6-4, 6-1 sull’altra outsider, la cinese Zhang. Ora giocherà a cuor leggero con la n.7 Kerber; la tedesca ha sorpreso 6-3, 7-5 la Azarenka che sembrava favorita per un posto in finale. La Konta, un bel personaggio, è una cittadina del mondo con tre passaporti: australiano (è nata a Sydney), britannico (dove si è trasferita) e ungherese per via dei genitori, in più si allena in Spagna. Davanti ai microfoni si trova a suo agio e ci tiene a smentire un’inesattezza: «Io ex nuotatrice? E’ falso: non nuotavo prima dei 14 anni a causa di infezioni alle orecchie. Il mio sogno è sempre stato vincere gli Slam». Stamattina c’è la prima semifinale tra Djokovic e Federer (diretta alle 9.30 su Eurosport): uno spettacolo da non perdere (…)

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Adesso Raonic ha i numeri per non fermarsi alla semifinale (Claudio Giua, repubblica.it)

Sarà un grande spettacolo quello delle semifinali maschili di Melbourne, ma non perché ci racconterà tennisticamente qualcosa di nuovo. Il quarantacinquesimo match (22 vittorie a testa) tra Roger Federer e Novak Djokovic ha il fascino della sfida infinita; il settimo (3 vittorie a testa) tra Andy Murray e il migliore dei ragazzi degli anni ’90, Milos Raonic, è già quasi un classico.

Altra storia le donne, che hanno sempre la capacità – e parlo della vita, non solo dei campi da gioco – di stupirci: Serena tenterà di battere per la nona volta consecutiva Agnieszka Radwanska (16 a 1 il parziale dei set), dunque figuriamoci il clamore se la polacca riuscisse nell’impresa di andare in finale; nemmeno il più autolesionista degli scommettitori avrebbe puntato qualcosa dieci giorni fa su una semifinale tra la Angelique Kerber e la britannica Johanna Konta, della quale ho distesamente raccontato qui lunedì e che oggi ha fatto un sol boccone (6-4 6-1) della cinese Shuai Zhang, alla quale va la palma d’aver infilato la più fortunata serie di match consecutivi in uno Slam.

La coriacea tedesca, 6 WTA, ha già fatto un personale miracolo oggi battendo per la prima volta in carriera Viktoria Azarenka, attualmente 16 WTA, dopo sei tentativi andati a vuoto. La bielorussa, che aveva agevolmente avuto ragione di Angelique in finale a Brisbane due settimane fa, è riuscita a perdere il match cedendo il primo set a causa di qualche ritardo di carburazione (3-6) e andando in crisi nel secondo (5-7) dopo aver condotto per 5-2 e 40-0. Vika sarebbe ancora a lottare per la leadership mondiale come quattro e tre anni fa se avesse la tenuta nervosa di Angelique Kerber (“Angelico Cerbero” in italiano: nei nomi spesso si celano carattere e destino), che invece non può non invidiare la qualità del gioco all’avversaria.

I match maschili si sono entrambi risolti al quarto set. Andy Murray ha dovuto patire parecchio (6-3 6-7 6-2 6-3) prima far crollare il muro difensivo di David Ferrer. Milos Raonic ha invece disposto con una certa tranquillità di Gael Monfils (6-3 3-6 6-3 6-4). Il diverso coefficiente di difficoltà affrontato dai due vincitori si misura nella durata dei match: tre ore e venti Murray, un’ora in meno Raonic. Il canadese arriva in semifinale senza affatto essere sconfitto in partenza, tanto evidenti sono i miglioramenti nel suo gioco procurati dalla coppia Piatti-Ljubicic e, nelle ultime settimane, dal nuovo sodalizio Piatti-Moya. Il ragazzo classe 1990 non è più solo un bombardiere alla Isner: risponde al servizio con notevole efficacia, si muove bene sia lateralmente che in avanti, ha sviluppato un tocco sotto rete che gli consentono finezze non casuali. Mi è piaciuto oggi anche l’atteggiamento in campo, mai negativo. Milos va considerato una risorsa primaria del tennis del prossimo lustro.

Tra un game, un set, un match e tante chiacchiere è doveroso dedicare qualche riga alla conferenza stampa di oggi del boss ATP Chris Kermode, del presidente ITF David Haggerty e del responsabile della Tennis Integrity Board Philip Brook, che rispondono operativamente alle domande poste dieci giorni fa dai reportage della BBC e di BuzzFeed sulle presunte partite truccate e vendute per facilitare le “stangate” degli scommettitori. Il trio, con tutta evidenza dopo laboriose consultazioni con gli avvocati, ha confermato che un’inchiesta indipendente valuterà l’efficienza del programma anticorruzione della Tennis Intergrity Board. Dell’analisi si occuperà Adam Lewis, tra i più accreditati esperti di diritto sportivo del mondo, co-autore della Bibbia del settore, “Sport: Law and Practice”.

Al di là del gergo un po’ da legulei, la reazione dei vertici del tennis globale significa che c’è una condivisa esigenza di rendere trasparenti le procedure d’indagine sui casi presunti di corruzione a livello professionistico, dalle note vicende di alcuni anni fa, peraltro mai chiarite, fino ad episodi più recenti emersi anche in ambito italiano. Casi, a mio giudizio, rispetto ai quali la Federazione Italiana Tennis ha agito senza nascondere la polvere sotto il tappeto (…)

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