Paralleli: Del Potro/Rose, quando il fisico ferma il talento

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Paralleli: Del Potro/Rose, quando il fisico ferma il talento

Per la rubrica sui paralleli tra tennisti e campioni di altri sport oggi vi presentiamo due atleti accomunati da un enorme talento ma soprattutto da una fisico troppo fragile: Juan Martin Del Potro e Derrick Rose

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Cari lettori, oggi vi portiamo al cospetto di due giganti dello sport (e non solo in senso lato). Entrambi provenienti dal continente americano, uno dalla cosiddetta America latina e l’altro da quella del nord, nati nel 1988, altezza superiore all’uno e novanta, forti, potenti; i due protagonisti in questione hanno però qualcosa in comune che conta più dell’anno di nascita o dell’altezza: il talento. Stiamo parlando di Juan Martin Del Potro e Derrick Rose.

Il tennista argentino, fino a qualche anno fa, era considerato uno dei pochi eletti (se non l’unico) a poter spodestare i famigerati tre moschettieri, Federer, Nadal e Djokovic. E dire che i presupposti c’erano tutti, specialmente dopo aver vinto il suo primo ed ultimo – fino ad ora – titolo Slam a Flushing Meadows nel 2009, diventando così il primo tennista ad aggiudicarsi una prova dello Slam dopo che le precedenti 18 erano state dominate dal trio sopracitato. Nello stesso anno raggiunge la semifinale al Roland Garros, nel 2013 altra semifinale a Wimbledon, mentre l’anno precedente aveva conquistato la medaglia di bronzo alle Olimpiadi, battendo Novak Djokovic nella finale per il terzo posto e dopo aver perso nel turno precedente contro Roger Federer in un incontro all’ultimo colpo, considerato da molti giornalisti “la partita dell’anno”, essendo stato il match più lungo al meglio dei 3 set della storia (finita dopo 4 ore e 26 minuti di gioco). Fin dall’inizio la carriera di “DelPo” viene costellata da diversi infortuni, che lo costringono a ripartire dalla 81esima posizione nel ranking (2008). Tuttavia il nostro gigante buono non si arrende e riesce ad imporsi ugualmente nello scenario del tennis mondiale fino a quando la forma fisica, che era il suo punto di forza, comincia ad abbandonarlo lentamente: prima la schiena, poi altri dolori qua e là ed infine nel 2014 l’infortunio al polso, che lo terrà lontano dai campi per diverso tempo. Dopo l’operazione al polso, Del Potro prova a rientrare in campo, non gettando mai la spugna, ma questa volta neanche il servizio bomba e il devastante dritto a sventaglio possono aiutarlo. Sembra proprio che l’argentino abbia perso la determinazione e la caparbietà che, fino a poco tempo fa, lo caratterizzavano. Il polso continua a dare problemi e così DelPo è costretto a scendere di nuovo dal palco del tennis, fino al rientro di pochi giorni fa a Delray Beach.

Spostiamoci più a nord e vediamo invece che aria tira dalle parti dell’Illinois. Proprio qui, a Chicago, più precisamente nel quartiere di Englewood, una delle zone più povere della città, si fa notare un ragazzo, apparentemente uno dei tanti, che trascorre i pomeriggi a giocare a pallacanestro con i suoi coetanei del quartiere, rimanendo sempre sotto l’occhio vigile della madre e specialmente del fratello che vuole evitare che il piccolo Derrick finisca preda di cattive compagnie. “Il basket ti dà l’occasione di stare lontano dalla droga e dai guai”, commenta con fierezza il fratello del giovane talento. Quel giovanotto, proveniente dal povero quartiere di Englewood, diventerà nientemeno che il playmaker dei Chicago Bulls. Sì, avete capito bene, Derrick Rose, a soli 20 anni, indossa già la canottiera rossa e bianca con il numero 1 in spalla, nel ruolo della leggenda della storia del basket, Michael Jordan. Il giovane Rose, alto “solo” 1 metro e 91 (oltre 10 cm meno della media dei cestisti NBA), ma con un’elevazione di 89 cm (18 cm oltre la media), vince e convince da subito: nel 2008-2009 si aggiudica il premio individuale “Rookie dell’anno” (è il riconoscimento che ogni anno l’NBA conferisce alla miglior matricola), ma, soprattutto, nella stessa stagione, nella gara 1 dei play-off Rose conduce i Bulls alla vittoria contro i Boston Celtics mettendo a segno un parziale di ben 36 punti, 11 assist e 4 rimbalzi, raggiungendo il record di punti fatti da un rookie, primato stabilito anni fa da un certo Kareem Abdul-Jabbar.

È a questo punto della carriera che cominciano i primi ostacoli per Derrick, che subisce un primo infortunio alla caviglia e un secondo al polso. Ma il numero 1 di Chicago prosegue tenacemente il suo cammino nel duro mondo dell’NBA, dimostrando ancora una volta di essere l’anima dei Bulls tanto che nella stagione 2010-2011 Rose travolge gli avversari grazie alla sua velocità (in campo aperto riesce a raggiungere i 32 kmh!), alle sue spettacolari virate e partenze incrociate che lasciano gli altri giocatori a bocca aperta. Ed è proprio il 2011 a consegnare al ragazzo di Englewood il trofeo individuale più prestigioso del campionato: il titolo di MVP (Most Valuable Player). Derrick diventa così il più giovane cestista – 23 anni non ancora compiuti – della storia NBA ad aggiudicarsi questo titolo così importante, grazie alle sue qualità tecniche e ai 128 tiri da tre (più di quanti ne abbia mai segnati Jordan in qualsiasi stagione della sua carriera). La favola Rose viene interrotta bruscamente dopo essere stato convocato nel quintetto base della NBA Eastern Conference per l’edizione 2012 dell’All Star game: durante la partita contro i Philadelphia 76ers, si infortuna al legamento crociato e perciò è costretto ad abbandonare il parquet per diversi mesi. La maglia rossa targata Rose tornerà sui riflettori dello United Center nella stagione 2014-15, ma in quella successiva il numero uno dei Bulls subirà un ulteriore infortunio, che sarà causa di un ritorno in campo non particolarmente brillante.

Forse bisognerebbe dire che tutti gli “atleti in poltrona” attendono con ansia il ritorno della racchetta dal dritto micidiale e dai lob spettacolari, che gli aficionados incollati alla tv anche di notte (compresa la sottoscritta) sono avidi di poter ammirare di nuovo il ragazzotto di Chicago che da piccolo sognava di vestire i panni di Michael Jordan, sfrecciare sul parquet mentre ci delizia con delle mirabili penetrazioni a canestro, capace di infilarsi in meno di 60 cm di spazio. Tutti noi speriamo di rivedere presto Del Potro con la racchetta in pugno e Rose con la palla a spicchi fra le mani, con il buon auspicio che il prossimo articolo s’intitolerà: “Quando niente può fermare il talento”.

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