Quando un punto vale una vittoria o solo un applauso scrosciante: fenomenologia dell'hot shot

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Quando un punto vale una vittoria o solo un applauso scrosciante: fenomenologia dell’hot shot

All’ingresso in campo due tennisti sanno che dovranno tirare un passante vincente in equilibrio ancora più precario rispetto a quello avversario per finire protagonisti del video di giornata. Ma il premio di consolazione a volte può diventare l’incipit di una rimonta da raccontare

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6-1 6-2 3-6 4-3 30-15: gran botta esterna, risposta di rovescio in allungo, demi-volèe piumata, pallonetto sopraffino che sembra vincente ma al recupero segue uno smash, colpo d’opposizione centrale e volèe di diritto non definitiva, quindi passante in corsa di rovescio che atterra sulla riga.
Sembra incredibile, ma è la cronaca di una resa. Viene da pensare che non sia casuale il nastro che pochi istanti dopo sposta beffardamente la palla sopra la racchetta elvetica, a impedirgli un colpo di volo forse vincente: quindi l’inevitabile sequenza di passanti e servizi che sfilano in una metà campo ormai orfana del suo difensore, congedatosi con un gioiello che meritava di essere messo a referto per ultimo nella metà basilese della scheda statistica.

La sconfitta è uno status emotivo che ti cuci addosso anche prima di aver perso se allungando la mano nel buio del tuo svantaggio non riesci a sfiorare nulla che possa vagamente somigliare a una risalita, a un progetto di rimonta. Allora ti rimane un solo 15 in cui condensare tutto il tuo disappunto nei confronti del divario che ti separa dal tuo avversario; che nel frattempo non può fare altro che portare a casa l’incontro ormai avviato nell’unica direzione possibile.
Da quel lato del campo la vittoria si veste di inesorabile, si percepisce in ogni colpo, persino negli errori – benché rari – che per metà appaiono rigurgiti di magnanimità e per l’altra addirittura sembrano parte integrante di un disegno, poco più che inciampi per rendere credibile un dominio che a tratti imbarazza. Sul nome dei due contendenti massimo riserbo.

6-1 2-2 30-40: smorzata di rovescio, tocco corto sotto rete, palla tagliata in lungolinea, gran pallonetto di puro polso e contro-pallonetto in rincorsa disperata, smash incerto punito dal passante vincente di diritto. Chi porta a casa il punto sta ancora rincorrendo nel punteggio, neanche in questo caso si avvicinerà a lottare per la vittoria dell’incontro ma sarà costretto a mettere a referto altri, inutili,quindici di velata agonia. Fino all’epilogo finale, l’abbraccio doveroso, il trofeo, qualche sorriso di circostanza e poi il volo transoceanico che ti ricongiunge con una moglie partoriente.

Il bello non paga, dice uno. Mettere a segno l’hot shot della partita riduce la possibilità di vincerla, sottolinea un assiduo sostenitore delle statistiche inutili. Lungi da noi opporci alla potenza dei numeri privi di fondamento, ma proviamo a vederla da un’altra prospettiva.

Insomma, non è la prima volta che accade. Forse è una sorta d’istinto che s’impossessa di chi sente di essere lontano dal successo e allora lascia andare il braccio, rincorre anche quella palla quasi imprendibile con la speranza che possa far girare la partita o semplicemente cerca di accattivarsi le simpatie del pubblico, cercando d’incrinare le certezze di chi in campo comanda. Magari contribuisce la rabbia agonistica che deriva dal vedere l’avversario sempre più conservativo nelle giocate poichè sempre meno interessato a rischiare, laddove il suo vantaggio lo protegge dalla necessità di andare a caccia delle righe. La tua condizione invece t’impone di giocare sul cornicione perché il tempo che scorre e le condizioni di gioco non ti sono amiche. E molto probabilmente non lo diventeranno, a meno che…

Nel 2009 del Potro è sotto 2 set a 1 contro Federer, New York, una finale di una certa rilevanza. Il quarto set non può che scrivere l’epilogo che tutti si attendono, lo svizzero ha comandato nel terzo e ora dovrebbe solo chiudere l’incontro. 1-1, 40-0 rossocrociato, del Potro tira un tracciante incrociato di pura frustrazione su un accelerazione a sua volta ben indirizzata e realizza un quindici apparentemente irrilevante, il famoso punto che dovrebbe rendere più elegante una resa che sembra annunciata (minuto 26, come gli anni luce per secondo a cui viaggiava il diritto di Delpo https://www.youtube.com/watch?v=acENlntsnUQ). Negli occhi dell’argentino però si legge una rabbia diversa, non c’è solo la frustrazione, c’è la lucida follia di chi sente di poter davvero contendere uno Slam a un tale che in carriera ne ha già incamerati più di una dozzina. E dritto dopo dritto quel traguardo s’avvicina fino a farsi tangibile, storico tanto allora quanto oggi, dopo sei anni di Fedjokal vari ed eventuali. E se il tennis smettesse d’essere per l’argentino una crudeltà di polsi malandati magari potrebbe esserci un seguito.

Dieci anni prima, Philippe Chatrier, Agassi è in clamorosa difficoltà in una finale che alla vigilia sembrava davvero non poter perdere. Due set sotto, 4-4 e palla break che manderebbe Medvedev a servire per il titolo. Annulla e fa 5-4, più che altro d’inerzia coadiuvata dal braccino avversario. Il russo va a servire e gli tocca subito una seconda, André entra due metri in campo e impatta una risposta anticipata che il suo omonimo riesce solo a toccare. Da quel momento inizia un’altra partita, che ci regala il primo Career Golden Slam della storia del tennis e la quinta rimonta da due set di svantaggio in una finale parigina (https://www.youtube.com/watch?v=N_ph7bMiiBY, qui meglio andare direttamente a 1:12:58)

Saltiamo la staccionata e passiamo alle donne. 2003, di nuovo a Flushing Meadows, la Federer – da Liegi – in gonnella è inciampata prima (nel primo set perso) e si è incrampata poi (alla coscia sinistra, nel terzo e decisivo set). Di fronte Jennifer Capriati alterna momenti in cui appare invincibile e altri in cui sembra semplicemente in una grandissima giornata. Justine Henin riempie gli highlights di circoletti rossi, ma un autentico miracolo di tenacia lo compie sullo svantaggio di 6-5 nel terzo e decisivo set quando portandosi dietro la coscia malandata recupera prima col rovescio, poi correndo in avanti, poi sulla destra prima di chiudere con lo sventaglio di diritto (minuto 8:21, se resistete alla tentazione di guardarlo per intero https://www.youtube.com/watch?v=krUzMVKMl6M). Ovviamente sì, anche la sua rimonta è andata a buon fine.

Per chiudere con un protagonista contemporaneo c’è il caso di un mai (più?) così combattivo Richard Gasquet, impegnato nel quarto di finale di Wimbledon 2007. Roddick comanda 2 set a 0, il parziale del terzo dice 5-5 e serve un pericolante Gasquet: in una delle non rare schermaglie a rete Roddick chiude in allungo di rovescio, il punto sembra fatto ma il francese si lancia sul verde londinese e la mette dall’altra parte (provare per credere, minuto 1:06 https://www.youtube.com/watch?v=pkv5Fbu-5_A), lasciando attonito l’americano. È uno dei colpi della riscossa, culminata nel rocambolesco 8-6 del quinto set.

Ora è difficile dire se esiste una morale in questa strampalata raccolta di punti spettacolari, decisivi a volte sì e a volte no, bisognerebbe chiederlo a chi si è insudiciato i calzoncini per realizzarli. Certo conviene sempre provarci: mal che vada si diventa l’hot shot della giornata, ben che vada si rimonta una partita che sembra persa. E in entrambi i casi si finisce in un articolo un po’ delirante.

 

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