L’intenzione di questo intervento era quello di riportare le sensazioni conclusive dopo 10 giorni passati ad Indian Wells, ma gli eventi delle ultime ore, e di quelle precedenti l’inizio degli incontri nel deserto del Mojave con la conferenza stampa di Maria Sharapova, hanno per certi versi travolto e fatto passare quasi in secondo piano l’aspetto agonistico del BNP Paribas Open.
Abbiamo già riportato con dovizia di particolari le circostanze che hanno portato, nella serata di lunedì, alle “dimissioni con effetto immediato” del CEO e Direttore del Torneo Raymond Moore. Dato il tono del comunicato stampa diramato con dichiarazioni di Larry Ellison in persona, è abbastanza chiaro che si sia trattato di dimissioni forzate, e che Ellison, nel suo ruolo di leader e proprietario del torneo, abbia risparmiato l’umiliazione di un licenziamento in tronco all’uomo che in 15 anni ha portato un evento marginale nel deserto californiano dall’orlo dell’estinzione al ruolo quasi incontrastato di torneo più importante dopo quelli del Grande Slam.
Detto che un po’ ci sentiamo responsabili di tutto quello che è capitato, visto che è stata la nostra domanda a dare il ‘la’ questo uragano di polemiche (anche se il nostro ruolo è stato semplicemente quello di dare un po’ di corda a Moore, il quale l’ha autonomamente usata per fare il cappio e metterselo al collo), è il caso di ragionare sulle tante cose che sono state dette e scritte nelle ultime 48 ore, e cercare di fare chiarezza, separando per quanto possibile le opinioni personali dai fatti oggettivi.
Se da un lato si può convenire sul fatto che la scelta del linguaggio adoperato da Moore nella circostanza sia certamente censurabile, la valutazione del concetto di fondo espresso dall’ex giocatore non è altrettanto univoca. Il tennis maschile nell’ultimo decennio ha potuto contare su una formidabile congiuntura astrale che ha visto due-tre tra i più grandi tennisti di sempre (Djokovic, Federer e Nadal) confrontarsi allo stesso tempo, ognuno dei quali con profilo ed una personalità tale da valicare i confini dello sport ed entrare nel mainstream, e questo ha indubbiamente aiutato ad aumentare il profilo del circuito maschile. I tornei femminili, al di là di certe realtà geografiche e culturali, faticano molto di più ad attrarre pubblico ed interesse, e nonostante il tennis sia lo sport professionistico femminile più popolare (e di gran lunga il più ricco), il confronto con i colleghi maschi è quanto mai impari.
Non crediamo si possa colpevolizzare troppo la WTA per aver cercato di “sfruttare la scia” del movimento maschile in questo suo momento d’oro: perché avrebbero dovuto ignorare un così formidabile volano? È stata proprio la WTA a spingere per la moltiplicazione degli eventi combined, anche a costo, a volte, di sacrificare la rilevanza dei loro tornei più significativi: qualcuno ricorda le finali di Madrid (uno dei quattro Premier Mandatory, la categoria più alta dopo gli Slam) giocare in semi-clandestinità alla Caja Magica alle 11 di domenica mattina?
Però in questo modo forse si è creata l’impressione (giusta o sbagliata) di una organizzazione che cerca di farsi trascinare troppo dall’ATP e dalla sua forza attuale in termini di immagine e di riconoscibilità. E forse (dico forse perché si tratta di supposizioni) è stato questo atteggiamento che ha portato Moore ad avere un’opinione di questo tipo, sia pur espressa in maniera rivedibile. Moore vede il mondo attraverso le lenti di un organizzatore di torneo combined, e se questa è la sua opinione, potrebbe anche essere perché nella sua esperienza personale questo è ciò che accade.
Per quanto riguarda poi la questione sollevata da Novak Djokovic sulla opportunità di uguali montepremi tra uomini e donne, il nocciolo della questione a nostro avviso è da ricercarsi nella natura nelle “sigle organizzative” del tennis, in questo caso l’ATP e la WTA. Le due organizzazioni hanno management separati, strutture ed uffici separati, regole separate, contratti TV separati e, per buona parte della stagione, eventi separati. Il comunicato stampa dell’ATP rilasciato lunedì a proposito delle dichiarazioni del n.1 del mondo spiega chiaramente che “l’ATP cerca di ottenere un giusto compenso per i propri giocatori fissando dei livelli minimi di montepremi per gli eventi ATP in relazione agli introiti generati dal tennis professionistico maschile. L’ATP inoltre rispetta il diritto dei tornei di fissare i montepremi ai livelli che credono opportuni per i tornei del circuito femminile, che è gestito da un tour indipendente”.
Mai una volta viene citata la WTA, mai una volta viene tirato in ballo il concetto di tornei combined, che si disputano contemporaneamente e nella stessa sede. Viene inoltre dichiarato che “l’ATP supporta pienamente l’uguaglianza nella società, prendendo atto allo stesso tempo che operiamo nel business dello sport e dell’intrattenimento”. Il concetto di uguaglianza è lasciato molto generico, non viene nemmeno menzionata l’uguaglianza tra i sessi, e la puntualizzazione a proposito dello “sports & entertainment business” lascia trasparire una volontà di appellarsi ai principi che regolano i business, ovvero quelli del libero mercato e della domanda e dell’offerta.
Il messaggio che traspare dal comunicato è che non è nell’interesse dell’ATP perorare la causa dell’uguaglianza dei montepremi, ma che se quest’uguaglianza dovesse essere decisa dai tornei, non deve essere a scapito dei montepremi maschili.
Si può quindi dedurre che l’argomento dei montepremi uguali tra tornei maschili e femminili è simile a quello di stipendi uguali tra calciatori e giocatori di pallamano, dal momento che i due sport sono gestiti da due organismi diversi con finalità ed intenti potenzialmente divergenti. Se tutto il tennis fosse gestito da un’unica entità che avesse come scopo quello della promozione e della crescita economica dello sport, allora si potrebbe favorire una decisione politico-strategica di una divisione equa della torta tra uomini e donne; ma finché i due tour saranno distinti, fa solo parte delle logiche di mercato che ognuno dei due sopravviva in base alle risorse che riesce a generare autonomamente, quindi se i tornei femminili generano meno interesse e meno introiti, dovranno necessariamente distribuire meno denaro.
A questo proposito si può tracciare un parallelo relativo al ruolo della disciplina del doppio all’interno dei circuiti maschili e femminili. L’ATP ha stabilito che il 20% del montepremi globale di ogni torneo debba essere dedicato al doppio. È verosimile pensare che il doppio sia responsabile per il 20% degli introiti del tennis maschile? Probabilmente no. Sarei sorpreso se si andasse sopra al 5%, ma questa è una mia impressione personale. Così come personalmente non credo che un premio in denaro per la coppia vincitrice degli US Open di doppio di 570.000 dollari (più di mezzo milione di Euro, con cui si potrebbero organizzare diversi Challenger o aumentare i montepremi di quelli esistenti, per esempio) sia proporzionale all’interesse per la disciplina, che pure ha una discreta nicchia di adepti.
In questo caso l’ATP ha effettuato una scelta volta a supportare il doppio per motivi strategici (i giocatori di seconda-terza fascia possono arrotondare con i montepremi di doppio, quindi mantenersi meglio nel tour; se i premi di doppio sono consistenti, più singolaristi di quella fascia giocheranno singolo e doppio, ed in questo modo i costi di gestione del torneo scendono, in quanto avere giocatori che fanno solo il singolare e solo il doppio porta ad avere più “gente”, quindi maggiori costi per ristorazione, campi, palle, transportation, etc…), ma è una scelta effettuabile solo all’interno della stessa organizzazione. Se i tour continuano ad essere gestiti separatamente, non si vede come si possa chiedere all’ATP, una corporazione privata a scopo di lucro, di “sovvenzionare” i montepremi della WTA, altra corporazione privata a scopo di lucro, in nome dell’uguaglianza dei sessi.
***
Ad Indian Wells, tra le altre cose, si è anche giocato a tennis. Ed è andata in scena la 41esima edizione del torneo che ormai sembra consacrato da tutti gli addetti ai lavori come il più importante dopo i tornei dello Slam. E sembra che sia partita la campagna per avere un riconoscimento ufficiale di questo status. Prima delle dichiarazioni che hanno scatenato tutte le polemiche di cui ci siamo già ampiamente occupati, l’ormai ex CEO del BNP Paribas Open Raymond Moore aveva spiegato alla stampa come tutti i contratti in essere tra l’ATP ed i tornei Masters 1000 scadano nel 2018, e che quindi dal 2019 in poi è possibile che ci siano dei cambiamenti nella struttura del Tour. Il desiderio di Indian Wells sarebbe quello di essere considerato in una categoria a parte (chiamiamola Masters 1500, piuttosto che Masters 2000, per semplicità) della quale farebbero parte, a detta di Moore, oltre ad Indian Wells anche Miami, Madrid e Shanghai. L’idea del torneo californiano sarebbe quella di avere due settimane di competizioni e tabelloni a 128 giocatori, con il calendario organizzato in modo tale da avere un sufficiente cuscinetto prima dell’inizio del primo turno per consentire ai giocatori di arrivare ad Indian Wells con dovuto anticipo, e non poche ore prima come è capitato quest’anno a causa della Coppa Davis. “Fino a martedì sera, con il torneo che iniziava mercoledì, io non sapevo se Djokovic sarebbe venuto o meno – si è lamentato Moore – la sua condizione all’occhio gli ha consentito di ricevere il permesso di volare solamente martedì”.
Ovviamente questo scenario richiederebbe probabilmente uno spostamento di data del torneo di Miami, che potrebbe anche lasciare la Florida a causa dell’impossibilità di allargare la sede, ed un maggiore impegno economico da parte degli altri tornei che entrerebbero a far parte della stessa categoria. Tre dei quattro al momento sono combined, con Shanghai che per ora non ha espresso alcun desiderio di ospitare anche una competizione femminile contemporaneamente a quella maschile.
Questo tipo di ipotesi riaccenderebbe la fiamma nella battaglia mai sopita tra Madrid e Roma per conquistare il ruolo di ‘torneo principe’ sulla terra battuta: ovviamente se uno dei due dovesse divenire un torneo di due settimane con tabelloni a 128 giocatori, l’altro dovrebbe subire un pesante ridimensionamento, che non andrebbe a genio né alla FIT di Binaghi né al “padrone” dell’evento madrileno Ion Tiriac.
Per la prima volta in parecchi anni, gli spettatori di questa edizione del BNP Paribas Open non sono aumentati: colpa delle assenze di peso (Federer e Sharapova sono nomi che attirano grandi folle), e colpa del maltempo che ha afflitto il torneo nel primo fine settimana, con una sospensione per pioggia (cosa molto rara nel deserto, dove ci sono 350 giorni l’anno di sole) e temperature piuttosto rigide. “Abbiamo avuto 5000 spettatori in meno nella giornata in cui ha piovuto: questo perché per fare i record che abbiamo battuto di edizione in edizione negli ultimi anni dobbiamo contare molto sui ‘walk-up’, ovvero gli spettatori che vengono senza aver comprato il biglietto. E ciò che influenza i ‘walk-up’ sono le condizioni atmosferiche e gli incontri in programma. Purtroppo non possiamo prevedere nessuna delle due cose, e con due superstar in meno come Federer e Sharapova, i programmi di alcune giornate hanno sofferto”. Il computo finale si è comunque assestato intorno ai 440.000 spettatori, contro i 456.000 dello scorso anno, comodamente al quinto posto tra tutti i tornei del circuito, distante da Australian Open (720.000) e US Open (691.000), ma non lontano da Wimbledon (484.000) e Roland Garros (463.000).
Come sempre, appena finita l’edizione 2016 lo staff dell’Indian Wells Tennis Garden si metterà al lavoro per migliorare ancora questo meraviglioso impianto. Per l’edizione 2017 sono previsti importanti lavori di ammodernamento dello Stadium 1, con il rifacimento delle suite, la creazione di nuovi bagni al livello di quelli presenti nello Stadium 2, l’ampiamento dei punti di ristoro, con particolare attenzione agli spettatori dell’ultimo anello. Saranno infatti aperti servizi igienici e punti vendita di cibo e bevande nelle zone più alte dell’impianto, evitando agli spettatori il dover scendere diversi piani di scale per rifocillarsi tra un game e l’altro. Le terrazze esterne saranno poi coperte, in modo da creare ombreggiate nella struttura stessa dello Stadium 1.
Infine, è allo studio un piano di sviluppo quinquennale che prevederà, tra le altre cose, la costruzione di uno stadio permanente per il terzo campo (Stadium 3), all’interno del quale verrà aperto l’Indian Wells Museum, una esibizione permanente di cimeli tennistici relativi al torneo. Lo stadio dovrebbe essere pronto per il 2018, mentre tra i progetti a più lungo termine anche quello della costruzione di un’hotel all’interno dell’impianto, per facilitare i visitatori che ogni anno accorrono numerosi alla Coachella Valley in occasione dell’Open e che sono spesso scoraggiati dalla scarsità di stanze d’albergo disponibili.