Kyrgios, perché diventerà n.1 e perché invece non può (ancora) diventarlo

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Kyrgios, perché diventerà n.1 e perché invece non può (ancora) diventarlo

Nick Kyrgios a Miami ha consolidato la sua candidatura a erede di Djokovic. C’è ancora tempo prima che il serbo abdichi ma le basi dei successi futuri si gettano oggi: cosa va e cosa non va nel folle talento del ventenne australiano prima del suo ritorno sulla terra rossa

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Il 2016 si sta trasformando in un buon esercizio di divinazione. Che uno tra Thiem, Zverev e Kyrgios raccoglierà l’eredità di Djokovic inizia a sembrare evidente, se non domani un po’ più tardi di domani. Il serbo è ancora troppo forte per passare il testimone ma non potrà rimandare all’infinito, e se escludiamo la possibilità di un interregno scozzese difficilmente non sarà uno di questi tre moschettieri ad assestare a Nole la stoccata decisiva. La terra rossa di Febbraio ha fatto il nome dell’austriaco, così come i due set contro il professor Nole sotto il sole della Florida, a Indian Wells è stato Zverev ad avanzare la sua candidatura mentre a Miami ha fatto irruzione l’indolenza (e l’insolenza) tutta aussie di Nick Kyrgios. L’australiano non ha ancora cominciato il suo personale tour sulla terra rossa (era assente a Montecarlo e non ha giocato questa settimana) ma lo rivedremo, prima di Madrid, dove l’anno scorso estromise a primo turno Roger Federer, all’Estoril.

Nell’ultimo torneo giocato l’australiano ha battuto Raonic con un’autorità che ha sorpreso più del tennis (pre)potente e imprevedibile di cui si era già ampiamente dimostrato capace, ha raggiunto la sua prima semifinale in un Masters 1000 e si è accomodato in top 20 spodestando per curioso caso del destino l’amico-non più troppo amico-Tomic. Se decidiamo che il canadese – dall’alto della sua terza posizione nella race – è invece già molto vicino al suo potenziale massimo possiamo essere sicuri si tratti di un banco di prova importante per chi come Kyrgios si sta costruendo ad alti livelli. Va sottolineato anche che Raonic quest’anno aveva maturato le sue due sconfitte stagionali solo al cospetto dei primi due della classe (Murray a Melbourne, Nole a Indian Wells).

In semifinale però è arrivata la sconfitta per mano di Nishikori al termine in un incontro meno combattuto di quanto ci si attendesse. Più paziente il nipponico, meglio disposto in campo, più equilibrato nella gestione delle energie, semplicemente un tennista più maturo. Non possono non pesare i 6 anni di differenza, per quanto contro Raonic le 5 primavere di distanza fossero sembrate invece ininfluenti. Sono ovviamente scherzi di un’età che rende complicato mantenere alta la tensione per due match così impegnativi e nel caso di Nick di un carattere già (o ancora?) troppo turbolento.

 

Certo Djokovic aveva poco meno di vent’anni (come l’australiano oggi) quando colse il primo successo a Key Biscayne e Nadal addirittura meno di 19 quando mise in fila i trofei di Montecarlo, Roma e Parigi. Siamo però al cospetto di campionissimi cresciuti in un periodo in cui i talenti emergevano prima di oggi. Berdych ad esempio (classe ’85) trionfò a Bercy a soli 20 anni, mentre Nishikori, Raonic e Dimitrov (rispettivamente ’89, ’90 e ’91) per raggiungere la semifinale di un 1000 hanno dovuto attendere fino a 23 anni e per vincerne uno risultano ancora in lista d’attesa.

Cos’altro si può dire del livello attuale di Nick Kyrgios? Si aggiungano le sconfitte stagionali inflitte a Berdych, uno che rimane nel limbo tra comuni mortali e fenomeni ma batterlo due volte di fila sul cemento è più di un semplice dato. Si mescoli il tutto con la facilità – che sfiora l’irriverenza – con la quale gioca ogni accelerazione di dritto e si condisca con un carattere che sembra impedirgli di temere l’avversario. Nel calderone di Nick Kyrgios coesistono senz’altro le qualità del futuro campione ma anche le controindicazioni già viste in tennisti che non sono mai riusciti a “domarsi”. In passato (e più in grande) Marat Safin, nei giorni nostri (e più in piccolo) Ernest Gulbis.

Una volta raccolti tutti gli elementi necessari si possono snocciolare le motivazioni per cui Kyrgios non potrà che diventare un n.1 del mondo.

  1. L’unico a muovere il suo metro e novanta meglio dell’australiano è un certo Murray, l’altro a stupire per le stesse qualità a dispetto della stazza è il suo futuro rivale Zverev. Gli ultimi tre n.1 del mondo hanno fatto del loro footworking un marchio di fabbrica. Che altro dire se non che la rapidità negli spostamenti caratterizza i vincenti?
  2. Il servizio è colpo estremamente completo. Potente quando serve, piazzato per spiazzare alla bisogna, solido anche nella seconda palla: la base da cui partire e dalla quale non si può prescindere.
  3. Non ha paura. Non si fa problemi se deve tirare 68 vincenti a Nadal né se deve rispondere piccato a chi lo accusa. A volte sfocia nell’incoscienza ma siamo sicuri non ce ne voglia per puntare così in alto?
  4. In campo, grossomodo, sa fare tutto.

Esistono però e non vanno dimenticati i motivi che potrebbero portarlo fuori strada e quindi lontano dalla vetta della classifica.

  1.  Non basta essere rapidi con le gambe ma è necessario trovarsi al posto giusto al momento giusto. Imparare, cioè, la saggezza tattica indispensabile per risparmiare energie. Kyrgios non può sperare di diventare grande giocando dieci scambi a tutta e poi mollando i cinque successivi per rifiatare, serve equilibrio nella gestione dell’incontro e su quest’aspetto c’è ancora molto da lavorare.
  2. Con il servizio si possono comandare metà degli scambi, ma con la risposta oggi si vincono le partite. E non con i colpi tirati a occhi chiusa sulla riga, piuttosto con un numero convincente di palle ribattute con buona profondità. Cinque risposte in campo valgono più di due vincenti diretti e tre missili in corridoio.
  3. La paura a volte può farti vincere una partita. Temere un avversario e pensare (in anticipo) alle giuste contromisure per batterlo, ad esempio. L’eccesso di sicurezza può pagare nel breve ma difficilmente rende a lungo termine: Safin ha guidato la classifica per nove settimane, Hewitt per settantacinque. Sarà un caso?
  4. Un repertorio così completo può diventare un’arma a doppio taglio. La presunzione di poter vincere ogni partita alle proprie condizioni ha condizionato la carriera di molti tennisti in passato, ha persino tolto qualche successo a Federer nella lunga rivalità con Nadal. Una veronica vincente e un diritto in campo aperto valgono entrambi quindici, mentre un punto perso per colpa di un tweener superfluo a volte può costare una sconfitta.
  5. Kyrgios ha lasciato intendere di non considerare il tennis in cima alle proprie priorità. Sebbene il proposito sia nobile una domanda a questo punto sorge spontanea: l’australiano ha davvero voglia di diventare il più forte di tutti?

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Nicola Pietrangeli riceve il “Premio Enzo Bearzot” alla carriera

Consegnato nel corso della cerimonia di venerdì al Maschio Angioino di Napoli, per la prima volta il prestigioso riconoscimento va a un atleta di un altro sport: “Un altro dei miei record” ha commentato Pietrangeli

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Nicola Pietrangeli

Una lunga ed emozionante standing ovation ha accolto Nicola Pietrangeli sul palco della Sala dei Baroni presso il Maschio Angioino di Napoli. Nel corso della cerimonia di consegna del “Premio Enzo Bearzot”, che in questo 2023 è andato al tecnico del Napoli Luciano Spalletti, alla leggenda del tennis italiano è stato assegnato il Premio Speciale alla Carriera. Per la prima volta nella sua storia il ‘Premio Bearzot’ valica i confini del suo sport e viene assegnato ad un atleta non legato direttamente al mondo del calcio. Un premio calcistico per la prima volta ad un atleta di un altro sport: un altro dei miei record!”, ha dichiarato Pietrangeli visibilmente commosso.

Gli innumerevoli trionfi, su tutti due edizioni del Roland Garros e degli Internazionali d’Italia, il fondamentale ruolo avuto nella trionfale edizione 1976 della Coppa Davis, il suo passato da calciatore e la capacità di conquistare il cuore degli appassionali; questi i motivi che hanno spinto la giuria a scegliere Nicola Pietrangeli per il prestigioso riconoscimento.

Il più grande tennista italiano di sempre arriva alla soglia dei 90 anni anche con la soddisfazione di aver vinto da allenatore – o come si diceva un tempo ‘capitano non giocatore’ – il suo mondiale, portando in Italia nonostante le polemiche e i venti contrari la famosa Coppa Davis del 1976 – si legge nella motivazione. Uomo dai tanti talenti, Pietrangeli ha sempre intrecciato la sua vita con il mondo del calcio, allenandosi per anni e con buoni risultati con la Lazio e con la Roma. Soprattutto, nell’alternare le palle da tennis al pallone ha piazzato nei primi anni Cinquanta un colpo vincente, inventando con un gruppo di amici il calcetto e regalando così meritoriamente un’opportunità di fare squadra e sport a generazioni di appassionati dopolavoristi italiani”.

 

Istituito nel 2011 per onorare la memoria del commissario tecnico della Nazionale Italiana Campione del Mondo nel 1982 in Spagna, il ‘Premio Nazionale Enzo Bearzot’ -promosso da ACLI e FIGC, quest’anno anche con il patrocinio della FITP- viene conferito ogni anno al miglior tecnico italiano.

L’albo d’oro:

2011 – Cesare Prandelli
2012 – Walter Mazzarri
2013 – Vincenzo Montella
2014 – Carlo Ancelotti
2015 – Massimiliano Allegri
2016 – Claudio Ranieri
2017 – Maurizio Sarri
2018 – Eusebio Di Francesco
2019 – Roberto Mancini
2020 – Paolo Rossi (alla memoria)
2022 – Roberto De Zerbi
2023 – Luciano Spalletti

(comunicato stampa FITP)

Qua potete ascoltare una chiacchierata tra Pietrangeli e il direttore Scanagatta:

Ancora Nicola e Ubaldo in nell’intervista in occasione del torneo di Firenze:

L’arguzia di Nicola:

Congratulazioni a Nicola per il meritatissimo premio da parte del direttore Ubaldo Scanagatta e da tutta la redazione di Ubitennis.

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Per Leylah Fernandez l’equilibrio è tutto nel gioco mentale del tennis

La giocatrice canadese avrà un ruolo di primo piano nel progetto sull’inclusività Come Play nato dalla partnership tra WTA e Morgan Stanley

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Leylah Fernandez, finalista allo US Open 2021 (Darren Carroll/USTA)

di Andy Frye, pubblicato da Forbes il 6 marzo 2023

La stella nascente del tennis Leylah Fernandez ama ricordare agli appassionati e agli osservatori del tennis un particolare che è lampante per chiunque si guadagni da vivere in campo. Che il tennis è mentale quanto fisico.

“Io credo che, quando la mente decide, il corpo la segua”, ha detto la giocatrice canadese durante un’intervista la scorsa settimana. “L’aspetto mentale di questo sport è estremamente importante e sono estremamente fortunata. Cerco di godermi l’opportunità il più possibile.

 

Fernandez si è affacciata per la prima volta alla ribalta mondiale durante la finale persa agli US Open del 2021 e aveva fatto il suo debutto negli Slam all’Australian Open del 2020, che si è svolto tra la fine di gennaio e il primo weekend di febbraio 2020. Una settimana dopo quel primo grande debutto sul palcoscenico mondiale, Fernandez ha conquistato la più grande vittoria della sua carriera alla Billie Jean King Cup, battendo l’allora numero 5 del mondo Belinda Bencic nel turno di qualificazione.

Tuttavia, essendo una delle giocatrici più giovani del circuito, Fernandez afferma che nessun numero di ore in campo sia mai troppo, sia che si tratti di perfezionare il suo swing oppure di lavorare sulla forma generale. “Ho sempre voluto giocare a tennis (professionalmente) e non credo che questo sport abbia un impatto fisico negativo su di me”. Attualmente, la ventenne professionista WTA è classificata tra le prime 50, precisamente al numero 49 della classifica WTA. Ha anche in bacheca due titoli di singolare.

Alla fine della scorsa estate, la giocatrice canadese ha raggiunto il suo best ranking, al numero 13, dopo una serie di buone prestazioni, tra cui i quarti di finale raggiunti al Roland Garros del 2022. Sempre lo scorso anno anno fa ha vinto l’Abierto GNP Seguros 2022 a Monterrey, in Messico.

Fernandez, insieme a Coco Gauff e Qinwen Zheng, è una delle poche professioniste del circuito di età inferiore ai 21 anni. È forse per questo motivo che è stata scelta come portavoce principale nella nuova partnership della WTA con Morgan Stanley.

La scorsa settimana, la WTA e il gigante finanziario globale hanno annunciato una nuova partnership pluriennale per celebrare il 50° anniversario della WTA. L’associazione ha affermato in una dichiarazione che l’obiettivo della partnership consiste nell’evidenziare la crescente inclusività del tennis, nonché l’impegno nel far crescere la partecipazione delle donne al gioco.

“Con una visione condivisa per promuovere l’inclusività e ampliare l’accesso al gioco del tennis, entrambe le organizzazioni sono orgogliose di accelerare il loro impegno per promuovere il progresso delle donne nello sport”, ha affermato la WTA. Morgan Stanley diventa anche il partner di presentazione esclusivo dell’iniziativa Come Play della WTA, che propone programmi di tennis per incoraggiare le ragazze di tutte le età e abilità a condurre una vita sana e produttiva dentro e fuori dal campo.

Il programma Come Play fa leva sulla scelta da parte di Morgan Stanley di fare di Leyla Fernandez il suo Brand Ambassador in qualità di volto della pubblicità “See It To Be It” dell’azienda.

L’iniziativa ha lo scopo di ispirare i giovani a visualizzare il successo offrendo loro un modello con cui identificarsi.

“Sostenere la prossima generazione e dare a tutti una possibilità di successo sono impegni che condividiamo sia con Leylah che con la WTA”, ha affermato Alice Milligan, chief marketing officer di Morgan Stanley. “Questa nuova partnership rappresenta i nostri continui sforzi per aiutare le ragazze nello sport deltennis con gli strumenti vitali di cui hanno bisogno oggi per essere le nostre stelle di domani”. “Siamo veramente lieti di annunciare questa partnership con Morgan Stanley”, ha dichiarato il presidente della WTA, Micky Lawler. “Mentre ci sforziamo di creare un ambiente più diversificato e inclusivo per donne e ragazze, le nostre due organizzazioni non vedono l’ora di fare la differenza attraverso gli eventi della community Come Play durante l’HologicWTA Tour e nella creazione di contenuti che amplifichino questo importante messaggio”.

“Il tennis non è per sempre”, ha detto Fernandez parlando apertamente della sua carriera di atleta. Fernandez, che ha guadagnato poco più di 3,4 milioni di dollari in premi alla carriera dal 2019 ad oggi, ha affermato che, nonostante la sua giovane età, costruire la stabilità finanziaria è fondamentale. “Questa partnership darà ai giocatori fiducia, nell’educarci sulla stabilità finanziaria, e darà ai giocatori la fiducia di trovarsi in un ambiente stabile.

Inoltre, dopo lo sport e le nostre carriere, per aiutare i giocatori nel loro futuro.

In particolare, il programma Come Play invita le attuali giocatrici WTA, stelle in pensione e allenatori a partecipare a corsi di tennis e attività per ragazze al fine di “aiutare a costruire la prossima generazione di leader”, ha affermato la WTA.

L’iniziativa include anche l’alfabetizzazione finanziaria e le risorse di pianificazione per i giocatori, oltre a una serie di contenuti in eventi WTA selezionati e altro ancora.

Fernandez ha aggiunto di essere onorata di essere coinvolta nei continui sforzi della WTA per coinvolgere più ragazze nel gioco e di essere scelta come modello per i giovani interessati a questo sport.

Equilibrio: la chiave per un grande tennis?

La mancina, diventata professionista nel 2019, ha un bilancio impressionante di vittorie e sconfitte a partire da marzo 2023 con 130-82. Fernandez è anche un’appassionata tifosa di calcio e durante la nostra intervista dell’anno scorso ha dichiarato di essere cresciuta giocando a quello che il defunto Pelé una volta chiamava “o jogo bonito”.

Fernandez sottolinea anche che ha una vita al di fuori del tennis che, secondo lei, contribuisce al suo successo in campo. “Cerco di bilanciare un po’ la mia vita.Sì, gioco a tennis, ma sono anche una studentessa universitaria, e questo mi aiutato a separarmi dall’idea di essere solo una giocatrice di tennis”, ha aggiunto “Mi ha aiutato a rimettere a fuoco le priorità e a godermi le piccole parti della vita che non sono il tennis”.

Ma Fernandez riesce ancora a mantenere i rapporti con il suo primo altro amore sportivo, il calcio? “Sì, mi è permesso giocare”, ha detto, con un accenno di risata. “Sono fortunata ad avere allenatori che mi incoraggiano a praticare diversi sport.Diversificare aiuta nel tennis.Ogni volta che torno su un campo, tirare calci a un pallone con mia sorella aggiunge benefici al mio tennis”.

Traduzione di Alessandro Valentini

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evidenza

Hantuchova: “Alcaraz di un altro pianeta, attacca come Federer e difende come Nadal”. Cervara: “È il Tyson del tennis”

Tra l’urgenza di paragoni sempre più arditi e statistiche strambe, la sintesi di Roger e Rafa, al secolo Carlos Alcaraz, non ha la risposta di Djokovic, di più: “Lui è la risposta”. Ma a quale domanda?

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Carlos Alcaraz - Indian Wells 2023 (foto Ubitennis)

Il problema fondamentale è rappresentato da quei tre – Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic – e da quell’entità divoratrice di tutto a cui hanno dato vita nota come Big 3. Avercene di problemi del genere, si potrebbe obiettare, solo limitandosi a pensare a quanto hanno fatto per il tennis, aumentandone straordinariamente la popolarità.

Anche non considerando le generazioni di tennisti che prima tecnicamente, poi anche mentalmente, si sono ritrovate quasi senza possibilità di iscrivere il proprio nome sui trofei più importanti (quelli Slam, il cui peso è ancor più aumentato soprattutto nella considerazione dei tifosi proprio per “colpa” loro), pare che ormai nessuno possa tentare di emergere senza che “sì, ma alla sua età Roger serviva meglio, Nole aveva già vinto uno Slam mangiando pizze e Rafa non ne parliamo”.

Insomma, il problema è che quei tre non solo ti senti obbligato a citarli in ogni articolo (arrendendoti agli anacoluti), ma li devi battere sul campo, nei record di precocità, superare in classifica e spesso neanche questo basta perché l’avventato e inopportuno sfidante avrà senza dubbio avuto dalla sua una quantità industriale di circostanze favorevoli. E, come se non bastasse la pressione derivante dall’essere definito il nuovo Nadal/Djokovic/Federer a causa della disperata ricerca di un nuovo campione, allo stesso tempo lo sventurato in questione si sentirà dire con altrettanta veemenza che non vale metà della peggior versione di uno di quei tre. L’importante è che si facciano paragoni, poi tutto è permesso.

 

Tuttavia, c’è anche chi impara dai propri errori: in Spagna dicevano Munar el nuevo Rafa, dopo di che hanno imparato e quindi, quando Carlos Alcaraz (che entri, finalmente) aveva iniziato a farsi notare, c’era chi lo descriveva come il nuovo Roger. Così va molto meglio, bravi. Arriva però Daniela Hantuchova al alzare l’asticella. Al quotidiano francese l’Équipe, Daniela ha detto che “Carlos viene da un altro pianeta. Ha tutto. Mi sembra che abbia l’aggressività di Roger e la difesa di Rafa. Con la sua velocità e il modo di muoversi, riesce a giocare colpi che non credevamo possibili”.

L’ormai ex Carlitos (nel senso che è cresciuto, che adesso è Carlos o Charlie), avendo ancora un mese e mezzo da passare come teenager, non può evitare che, oltre ai paragoni, gli si cuciano addosso statistiche di precocità anche bizzarre, per esempio quella che lo nomina come più giovane realizzatore della tripletta IW, Miami, Flushing Meadows, impresa peraltro compiuta prima di lui dai soli Sampras, Federer, Djokovic e Agassi. Fantastico. Non è chiarissimo l’accostamento del Double allo US Open, però bello.

Di poco bizzarro c’è la sua vittoria a Indian Wells, dove colui che lo ha messo più in difficoltà è stato Jannik Sinner. Anche Griekspoor, restando aggrappato al proprio servizio, lo aveva trascinato al tie-break nel primo set, ma l’azzurro è riuscito a recuperare il break piazzando un parziale di 11 punti consecutivi e sembrava in grado di effettuare il sorpasso definitivo, anche perché il classe 2003 aveva perso confidenza con i colpi. Con la grafica in sovrimpressione che ratificava l’evidente differenza tra i dritti dei due contendenti (valutazione di 9,1 contro 6,4 a favore di Sinner), Alcaraz ha affrontato il set point contro dopo aver sbagliato proprio due dritti e pure comodi, annullandolo grazie alla smorzata di… dritto. Anche altri avrebbero forse provato il drop shot, probabilmente più alla ricerca di un timoroso asilo conseguente a quegli errori, ma non è il caso di Carlos che padroneggia quella soluzione, fa parte del suo vasto repertorio. Pur rifuggendo (invero senza difficoltà) la tentazione di suggerire chi alla sua età già possedeva un ampio baglio tecnico, resta il fatto che lo spagnolo è riuscito a vincere anche quel primo parziale e, alla fine, il suo percorso nel deserto è rimasto immacolato. Chi era stato l’ultimo a trionafre senza cedere set? Federer nel 2017, anche approfittando di un walkover. Per trovare chi aveva centrato quel risultato disputando almeno sei match, bisogna tornare indietro fino a Nadal nel 2007.

C’è per fortuna chi rimane fuori dal coro. È Gilles Cervara, l’allenatore di Daniil Medvedev, che lascia da parte i mostri sacri, ma solo quelli del nostro sport. “Alcaraz è il Tyson del tennis” ha… tracimato all’Équipe. “In alcuni momenti è capace di tirare dei ‘diretti’ con la racchetta. Ci sono stati colpi che hanno lasciato Daniil a dieci metri dalla palla, sferrati con potenza e velocità folli”

Difficile dire quanto ci abbia messo Medvedev del suo, ma nelle statistiche relative alla finale appare un numero enorme a dispetto di ciò che rappresenta: 0, come in “zero ace”. Pare che l’insieme “servizi neanche sfiorati dall’avversario” di Daniil non rimanesse privo di elementi dalla sfida contro Gilles Simon a Marsiglia nel febbraio 2020. Dopo una decina di giorni, (non solo) il Tour si sarebbe fermato – così, per dire. Di sicuro c’è che, in ventitré confronti, mai il Big 3 è riuscito in tale impresa contro Daniil, che ha chiuso così il contatore con un turno di anticipo, sfoderando contro Tiafoe l’ace numero 3.299 della carriera.

A proposito di contatori, durante la trasferta californiana Alcaraz ha messo a segno e superato la vittoria ATP numero 100, con un saldo positivo su tutte le superfici: 47-12 sulla terra battuta, 53-18 sul duro e – mettiamoci anche quella nonostante l’abbia appena respirata – 4-2 sull’erba. Con meno di due stagioni complete alle spalle sul Tour, vanta un bilancio indoor di 16-6 (mai aveva giocato al coperto a livello Challenger e ITF), mentre all’aperto si bea di un eloquente 88-26: se tutti sanno giocare bene a tennis in condizioni “asettiche”, Carlos dimostra con i numeri (oltre che con la finale del BNP Paribas Open) di saper gestire meglio di diversi colleghi il vento e le altre condizioni che si presentano nella maggior parte degli eventi del circuito. Ci affidiamo alla versione spagnola del sito atptour.com per aggiungere che, fra i tennisti in attività con almeno 20 incontri giocati, oltre al nostro protagonista solo in tre hanno un bilancio positivo contro avversari top 10. Ricorrendo a una finta preterizione, diciamo che non c’è bisogno di fare nomi: Djokovic, Nadal, Murray.

Carlos non ha (tecnicamente ancora) vinto il Sunshine Double, ma il trofeo di Indian Wells e quello di Miami sono già nel suo palmares. E – notizia inaspettata? – è il primo a vincerli entrambi da teenager. Per quanto riguarda specificatamente il titolo appena conquistato, è il secondo più giovane dell’albo d’oro, preceduto da Boris Becker. E, proprio quando si faceva ingenua strada l’illusione di poter completare un paragrafo senza essere costretti a evocare il mostro tricefalo, Alcaraz è il secondo teenager a vincere più di due Masters 1000. Il primo è stato…

… Rafa Nadal.

Non possiamo però non tornare a Daniela Hantuchova, che può continuare a lanciarsi nelle più spericolate iperboli, tanto ci aveva già convinti al “ciao”. L’ex numero 5 del mondo ha pochi dubbi su Carlos: “Porta il tennis a un altro livello, il che è pazzesco da vedere. Poco tempo fa, tutti di domandavano cosa sarebbe successo in futuro dopo Federer, Nadal e Djokovic. Credo che lui sia la risposta. Non c’è nulla di cui preoccuparsi”.

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