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Il tennis: che tu sia l’ultimo giocatore di un circolo di periferia oppure Novak Djokovic, è impossibile non comprendere l’importanza che ha il lato psicologico di questo sport. Quanti grandi talenti hanno vinto molto meno di quello che avrebbero potuto per quella che viene definita “fragilità mentale”? Quanti, al contrario, grazie alla “forza mentale” hanno ottenuto risultati inaspettati?
La miglior sintesi dell’importanza di tale aspetto può essere affidata alle parole del vecchio Scriba, Gianni Clerici (chi se no?), quando nel suo ultimo libro, descrivendo l’impatto che ebbe il tennis sulla sua vita, scrive: “Senza quel gioco non avrei appreso tante lezioni fondamentali. Per esempio, la quotidiana ripetitività dei gesti, indispensabile a ballerini, soldati, religiosi; la necessità di prescindere da una buona condizione fisica per affrontare egualmente gli allenamenti e soprattutto le gare; […] Infine, massimo risultato cui si arriva dopo molte gare e molte esperienze, la lezione più importante: la rivelazione che la partita non si svolge contro un’antagonista, perchè tutto accade dentro di noi, e noi stessi siamo il nostro avversario più temibile, spesso addirttura un nemico mascherato”.
Il miglior esempio concreto di tutto questo? I rispettivi volti di Roger Federer e Rafa Nadal nelle loro innumerevoli sfide. Nei nostri confini, Fabio Fognini e le sue sfuriate.
Proprio per tale ragione, sempre più spesso veniamo a conoscenza, in ogni sport e anche nel tennis, della scelta da parte di campioni o squadre di affidarsi a uno psicologo per migliorare prestazioni e risultati. Lo stesso Andy Murray, fresco vincitore al Queen’s e uno dei favoriti di Wimbledon, aveva dichiarato, nel gennaio 2015, di aver intrapreso questa strada.
Ma cos’è, in sostanza, la psicologia dello sport? Che cosa la caratterizza? In che modo il professionista può lavorare sull’atleta per incidere sui suoi risultati?
Dopo aver ascoltato Alle Mora, abbiamo deciso di rivolgere un’intervista alla Dr.ssa Francesca Latella, giovane psicologa dello sport a Torino.
Dottoressa, che cosa caratterizza la psicologia sportiva? Ci sono elementi che sono propri solo di questo campo?
La psicologia dello Sport è quella branca della psicologia che studia la prestazione sportiva come un connubio di elementi non solo fisici, ma anche psichici. Per tale motivo, la psicologia dello sport si pone l’obiettivo di studiare tutte le situazioni in cui è richiesta una valutazione da parte dell’atleta o del team di riferimento dell’atleta o della squadra, sulla prestazione, per il miglioramento, il mantenimento o il raggiungimento di nuovo obiettivi.
Lo psicologo dello sport presta la propria esperienza a favore del raggiungimento di nuovi obiettivi prestazionali e a sostegno dell’equilibrio psicofisico dell’atleta come presupposto base del successo sportivo.
Il modello a cui faccio riferimento, è il modello S.F.E.R.A.© , creato dal Prof. G. Vercelli dell’Università degli Studi di Torino.
Il modello SFERA è proprio del campo della psicologia dello sport; è stato creato per aiutare tutti coloro che vogliono raggiungere un obiettivo sia in campo sportivo sia in tutti quegli ambiti in cui vi sono obiettivi da raggiungere attraverso la prestazione; come ad esempio il lavoro e lo studio.
Con l’acronimo SFERA, intendiamo il connubio di elementi che in relazione tra loro, portano l’atleta ad una dimensione ideale per il raggiungimento del proprio obiettivo
Sincronia
Forza
Energia
Ritmo
Attivazione
Quali sono le ragioni più diffuse per cui un atleta o una squadra si rivolgono a Lei?
Solitamente gli atleti e le squadre mi cercano per risolvere problematiche legate alla prestazione sportiva in gara.
I singoli atleti hanno richieste molto precise e solitamente richiedono il mio intervento dopo le prime gare con risultati scadenti; al contrario le squadre solitamente mi contattano in seguito ad un consulto con il team di preparazione , a stagione sportiva inoltrata, dopo aver fallito in svariate competizioni.
La richiesta del mio intervento arriva dopo la valutazione di diverse opzioni, che risultano essere inefficaci, come ad esempio l’intervento di un motivatore o di allenatori o preparatori atletici con anni di esperienza alle spalle che intervengono dal punto di vista emotivo per incentivare gli atleti a concentrarsi e migliorare le prestazioni.
Ci sono differenze nel seguire una squadra e un atleta che pratica uno sport individuale?
L’utilizzo del protocollo SFERA prevede step sia per per il singolo atleta che per la squadra; alla base per tutti vi è la valutazione del profilo emotivo dell’atleta.
Dopo aver effettuato la valutazione del profilo emotivo dell’atleta in uno sport individuale, verranno valutati i punti di forza e di debolezza del soggetto e in seguito verrà impostato il lavoro che prevede diverse sedute e l’utilizzo di tecniche come l’ipnosi per migliorare la prestazione atletica.
Diversamente, per quel che riguarda le squadre, avere un’analisi emotiva degli atleti che compongono il gruppo è fondamentale, ma bisognerà comprendere qual è la richiesta da parte della squadra o del team tecnico che la gestisce; ad esempio valutazione e gestione del conflitto all’interno del gruppo o il miglioramento della prestazione sul campo di gioco o ancora il miglioramento della gestione delle ralazioni tra squadra e team di riferimento.
In ogni caso è necessario raccogliere e analizzare la domanda da parte dell’atleta e/o della squadra.
Come si esplica il rapporto psicologo/atleta per uno sport individuale?
Lo psicologo dello sport si relaziona con il singolo atleta strutturando un setting che consenta loro di impostare il lavoro che verrà successivamente svolto sia presso lo studio dello psicologo, sia sul campo o nello spogliatoio dell’atleta.
Per lo psicologo e per l’atleta è fondamentale strutturare una relazione di fiducia reciproca, in modo tale da poter lavorare proficuamente sull’obiettivo comune.
Dopo aver analizzato il profilo emotivo dell’atleta, si strutturano alcuni colloqui che consentono di condividere e discutere il profilo emotivo, i relativi punti di forza e aree di miglioramento e l’esplicazione di tecniche utili per il raggiungimento dell’obiettivo.
Una volta strutturato il progetto di intervento, si decide di comune accordo di verificare se è stato raggiunto l’obiettivo.
L’ambito della terapia coinvolge solo il lato delle competizioni o riguarda la vita dello sportivo nel suo complesso? Sono due cose scindibili, oppure no?
Quando parliamo di psicologia dello sport, non ci riferiamo alla psicoterapia, di conseguenza, è fondamentale sapere che chi opera attraverso la psicologia dello sport, deve intervenire sulla vita sportiva dell’atleta; sarà premura dello psicologo valutare se la vita privata dell’atleta può comportare problematiche che non riescono ad essere gestite diversamente se non con l’intervento di uno psicoterapeuta.
Di conseguenza è necessario tenere separate le due aree di intervento, quella sportiva da quella clinica terapeutica.
Infine, sono in aumento le Sue richieste di collaborazione in ambito sportivo?
Nell’ultimo periodo anche in Italia c’è una richiesta maggiore di intervento dello psicologo sportivo; nel resto d’Europa, questa figura è ben inserita in tutti gli ambiti sportivi e collabora a stretto contatto con i team tecnici.
Recentemente ho avuto la possibilità di poter collaborare con atleti professionisti, body builder, squadre di basket e nuotatori.
Grazie a questi interventi e agli ottimi risultati ottenuti, le richieste continuano ad essere in crescita e sempre di più collaboro con i team tecnici che cercano di migliorare il proprio approccio nei confronti del singolo atleta e delle squadre.
Matteo De Laurentis