US Open interviste, Djokovic: "Da un certo punto di vista è positivo avere giorni liberi"

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US Open interviste, Djokovic: “Da un certo punto di vista è positivo avere giorni liberi”

US Open terzo turno, interviste: [1] N. Djokovic b. M. Youzhny 4-2 rit. L’intervista del dopo partita a Novak Djokovic

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Possiamo dire che forse hai fatto una riabilitazione completa, però non hai giocato match. Cos’è più importante?
Beh, dipende da come lo guardi. Non mi ero mai trovato in questa particolare situazione in uno Slam, ma considerando il momento della stagione, il numero di match giocati, e quello che ho passato con il mio corpo, penso sia positivo avere dei giorni liberi e match brevi. Dall’altro canto, quando tu arrivi nella seconda settimana vorresti avere degli incontri sulle spalle e aver passato più tempo in campo prima di affrontare i top player. Tuttavia non sono concentrato esclusivamente sul mio gioco. Negli ultimi giorni ho lavorato anche sulla mia salute e sono fiducioso di essere nella direzione giusta.

È una delusione emotiva prepararsi per giocare e poi fermarsi all’improvviso?
Non è il massimo ne per i giocatori ne per i fan che pagano il biglietto per venire a vederti. Passare 20 minuti sul campo non è qualcosa alla quale avrei pensato, soprattutto dopo non aver giocato affatto il match precedente. Ma le cose vanno così. Mi sono allenato un’ora extra sul centrale, loro sono stati gentili da permettermelo.

Sei stato in grado di allenarti normalmente negli ultimi giorni?
Sì, il braccio va benissimo. Tutto va, come ho detto, nella direzione giusta. Mi sento decisamente meglio ora e non vedo l’ora di poter competere.

Lui prima di ritirarsi ha usato dei dropshot e tu li usi spesso. Cosa pensi di questo colpo in generale?
È buono avere questo tipo di colpo nel proprio arsenale. È utile per interrompere il ritmo dei movimenti dell’avversario e portarlo fuori dalla sua comfort zone, soprattutto con chi resta dietro sulla linea di fondo. Ovviamente so che spesso non ho delle alte percentuali quando lo uso, ma nel quadro generale è una mossa tattica che fa pensare il giocatore e ti permette di usare l’intero campo.

Ti è mai stato insegnato a non usarlo sui campi veloci?
A dir la verità no, sono stato incoraggiato durante la mia carriera da tutti i miei coach ad usare gli angoli, ad essere vario. Penso che la cosa possa aiutare soprattutto nei grandi match.

Lo trovi stancante dominare il tennis come fai tu?
Io non lo trovo stancante. Prima di tutto mi piace quello che faccio e ho passione per questo sport. Alla fine della giornata è una mia scelta farlo e sono grato di avere questa opportunità, avere tante persone intorno a me che mi danno tanta energia e si sacrificano per me. Io mi sento beato, non ci sono molte persone che possono dire di aver realizzato i propri sogni, di fare il lavoro che gli piace davvero fare. Ne sono consapevole ed è questo che mi fa andare avanti.

US Open è l’unico Slam ad avere come raccattapalle degli adulti e sono gli stesso anno dopo anno. Sei in grado di riconoscere le loro facce?
Bisogna dire che sono molto efficienti. Fanno il loro lavoro estremamente bene. Alcune volte i giudici di linea, i raccattapalle, prendono dei rimproveri dai giocatori. Può capitare che tu sia nel mezzo di una battaglia, ci sono degli alti e bassi, tu diventi emotivo in campo e loro sono quelli che ti ritrovi vicino. Certe volte dai il loro lavoro per scontato. Io li apprezzo molto. Penso che molti di noi giocatori, all’inizio della nostra carriera siamo stati raccattapalle nella nostra gioventù. Io non lo sono mai stato in uno Slam, ma in piccoli tornei nel mio paese sì e so cosa si prova. Ma come dici tu qui agli US Open sono dei professionisti. Non so se sono tutti adulti perché non li ho visti, ma fanno il loro lavoro alla grande e hanno esperienza.

Questo è uno torneo dopo tanto tempo dove tu non sei il grande favorito. La cosa ti interessa? Ti fa sentire meno pressione? Come reagisci?
Quello è il vostro lavoro, fare delle previsioni e parlarci su, avere la libertà di esprimere la vostra opinione su chi possa vincere e chi no. Alla fine io la rispetto, ma non ci presto troppa attenzione. Io so quali sono le mie capacità e cosa posso raggiungere. Se io gioco il tennis giusto posso battere chiunque su qualsiasi superficie. È su questa cosa che va la mia primaria attenzione.

Pensi che la Laver Cup acquisterà un’importanza internazionale? Cosa ne pensi?
Io lo spero, è un’idea fantastica. Ho parlato con il mio team su una possibile partecipazione il prossimo anno. Se dovesse capitare ne sarei felice. Se non avviene sarei comunque felice, perché il tennis ha bisogni di andare avanti, di evolversi, avere nuovi eventi e nuove idee. Innovarsi. La Laver Cup è un modello della Ryder Cup, se ho capito bene, uno degli eventi sportivi più importanti della storia. Si sono detti: perché non usare questa idea anche nel nostro sporto? Io faccio i miei complimenti a chi ha pensato questa cosa perché non è facile organizzare un evento del genere. Come vedo è stato fatto nella maniera giusta, con Roger e Rafa testimoni dell’evento insieme a Borg e McEnroe, dei grandi nomi della storia del tennis, e sono sicuro che avrà un riscontro positivo mondiale. Per quanto riguarda il calendario è un altro discorso; si può sempre dire che non c’è spazio o che non è il periodo giusto, ma alla fine il calendario di oggi uguale a quello che c’era parecchie decadi fa.

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