Orgoglio Djokovic, “Tornerò più forte” (Marcotti). Djokovic, via alla rincorsa per riacciuffare il trono (Cocchi). Murray, il Braveheart del tennis (Giuliano)

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Orgoglio Djokovic, “Tornerò più forte” (Marcotti). Djokovic, via alla rincorsa per riacciuffare il trono (Cocchi). Murray, il Braveheart del tennis (Giuliano)

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Orgoglio Djokovic, “Tornerò più forte” (Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport)

Visto da fuori non rivela alcun indizio della crisi che sta attraversando, almeno dal punto di vista dei risultati. Da una settimana ha perso lo scettro di numero uno del ranking mondiale, scalzato dall’irresistibile ascesa di Andy Murray. Eppure Novak Djokovic si presenta a Londra con la solita disponibilità anche alle domande più scomode, l’intatta voglia di sorridere e scherzare, l’innata fame (così almeno assicura a parole l’interessato) di vittoria. Soprattutto in un torneo che, nelle ultime quattro edizioni, ha sempre vinto lui. La 02 Arena di Londra è una seconda casa per il serbo: in questa gigantesca navicella futuristica, Nole spesso ha trovato d’incanto energie e motivazioni quando la maggior parte dei suoi avversari parevano, con la testa, già in vacanza. All’esordio, oggi nel primo pomeriggio, lo attende la matricola dell’edizione 2016, il giovane Dominic Thiem, l’ultimo ad essersi qualificato alle ATP Finals. Se per Murray l’ultimo appuntamento della stagione somiglia al primo vero banco di prova da favorito d’obbligo (così suggerisce la classifica), per il serbo è l’occasione dell’immediata rivincita. Per frenare quella deriva negativa di gioco e risultati che negli ultimi sei mesi gli ha consentito di vincere un solo torneo. Per il resto, solo delusioni e amarezze, compresa la finale di New York persa contro Stan Wawrinka. «Ci sono sempre stati momenti nella mia carriera in cui le prestazioni e i risultati non erano all’altezza di quelli auspicati. Ma io non sono preoccupato, anzi vivo questa situazione come una opportunità per diventare più forte, per conoscermi meglio. Non sono un debuttante, mi conosco e ho abbastanza fiducia in me stesso, come nelle persone che mi circondano. Tutti siamo costretti ad affrontare i problemi legati alle nostre esperienze. Certe volte bisogna fare un passo indietro per andare avanti». Un po’ fatalista, un po’ filosofico, chissà se Novak si riferisce anche ai rumors sulla sua presunta scappatella extraconiugale che avrebbe messo in crisi il matrimonio con la moglie Jelena. La vita privata è ovviamente off-limits nella conferenza stampa della vigilia. Restano i punti interrogativi di chi è convinto che l’improvviso quanto brusco calo di rendimento del serbo sia riconducibile ad una crisi psicologica e di motivazioni, ancor più seria di quanto i risultati suggeriscano. Il video che lo ritrae al fianco del “guru” José Imaz ha sollevato più di una perplessità, anche tra i suoi stessi tifosi. «Faccio questo mestiere da più di dieci anni, certo non ho cominciato ieri. Ma non per questo penso di essere vicino al ritiro. Il mio spirito è immutato, faccio sempre di tutto per essere il più in forma che posso». Perché, ripete una volta di più, le motivazioni ci sono ancora. «Mi diverto ancora, ho voglia di competere. Sento che posso giocare ancora a questi livelli e questa è una motivazione fortissima. Quando prendo in mano la racchetta ho ancora voglia di essere il migliore, lo spirito giusto per poter battere qualunque avversario in qualsiasi giornata». Ma per l’attuale n. 1 del mondo, Nole ha solo parole di elogio e stima. «Se guardo alle sue qualità e alla sua determinazione, Andy potrebbe rimanere a questi livelli per molto tempo. In passato ha avuto alti e bassi, come capita a tutti. Ma merita di chiudere la stagione al primo posto. Sembra in gran forma, bisogna dargli tutti i meriti per il traguardo che ha raggiunto. Io? Non sono stato al livello di 12-15 mesi fa, ma nello sport non si può sempre vincere. Sono comunque orgoglioso della mia stagione e qui a Londra posso chiuderla al meglio».

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Djokovic, via alla rincorsa per riacciuffare il trono (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Che cosa ci porteranno le Atp Finals 2016? Lo scopriremo da oggi, quando alla 02 Arena di Londra partirà la prima giornata del Masters, il torneo che per questioni di copyright ha cambiato nome già da qualche anno, ma il cui significato non cambia. Perché sono in gara i «maestri», i primi otto della Race, la classifica annuale che qualifica per l’evento di chiusura della stagione. Gli otto protagonisti di questa edizione sono per la metà new entry rispetto a quella passata. Non ci sono Federer e Nadal, non c’è l’eterno David Ferrer e non c’è Tomas Berdych. Rimpiazzati da Raonic, Cilic, Monfils e Thiem. Restano i primissimi del ranking, sebbene in ordine inverso. Murray esordisce da n. 1 al mondo, ma Djokovic ha la possibilità di riprendersi il trono perduto a Parigi Bercy. Wawrinka, campione dello Us Open, spera di fare il terzo incomodo, approfittando magari di un po’ di stanchezza dei due contendenti. Nole potrebbe beneficiare di un girone senza troppe insidie: dovrà vedersela con un Raonic acciaccato, un Monfils ondivago e un Thiem (rivale di oggi all’esordio) in netto calo di rendimento rispetto alla prima metà della stagione. Un discreto vantaggio per il serbo, che a Londra è imbattuto in finale dal 2012 e che ha, come unica possibilità di tornare al vertice, quella di vincere il torneo restando imbattuto anche nel round robin. Il percorso di Murray è sicuramente più insidioso, almeno sulla carta, con Wawrinka, Nishikori e Cilic in crescita soprattutto nella seconda parte della stagione. Nole a Londra si è rivisto finalmente con Boris Becker. Il guru Pepe Imaz a Parigi non è stato proprio un portafortuna ed è probabile che il serbo abbia preferito sostituire «amor y paz» con tecnica e solidità, soprattutto mentale. Solidità che manca dalla vittoria del tanto agognato Roland Garros, che ha di fatto creato una sorta di appagamento mentale al serbo, che nella seconda parte di stagione è riuscito a imporsi solo nel Masters 1000 di Toronto. «Sono qui per chiudere l’anno con il miglior risultato possibile — ha detto Djokovic —, dopo Parigi non sono stato in grado di competere ai massimi livelli, mi ci è voluto più del previsto per tornare concentrato in pista». La lotta per il trono è appena iniziata e il serbo vincitore di 12 Slam sa che se anche dovesse tornare al numero 1, il 2017 sarà comunque una stagione di duelli: «Considerando il suo gioco e la sua totale abnegazione, credo che Murray (all’esordio domani contro Cilic, ndr) continuerà a giocare ad altissimi livelli. Sarà una bella sfida. Comunque io ho ancora un sacco di benzina nel serbatoio e negli ultimi quattro anni a Londra sono andato alla grande, per questo sono abbastanza fiducioso che possa finire così anche quest’anno».

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Murray, il Braveheart del tennis (Antonio Giuliano, Avvenire)

Salire sul tetto del mondo non è tutto. Nella vita c’è qualcosa che vale di più. «Raggiungere il primo posto è uno dei più grandi successi della mia carriera, dopo essere stato per molti anni al secondo, terzo, quarto. Ho avuto bisogno di molta pazienza e ho lavorato davvero duramente per raggiungere questa posizione. Ma essere padre per la prima volta è l’avvenimento migliore che mi sia capitato quest’anno». Lo scozzese Andy Murray, nuovo numero uno del tennis mondiale, non ci ha pensato un attimo a commentare così la sua scalata ai vertici delle classifiche Atp. Eppure questo è un giocatore che, a un certo punto della sua carriera, veniva considerato un “perdente di successo”, con otto finali Slam perse in una carriera che comunque gli ha riservato tante gioie. Vincitore due volte a Wimbledon, una volta agli US Open, unico tennista nella storia delle Olimpiadi a vincere due ori nel torneo di singolare (Londra e Rio). Oltre a firmare nel 2015, in coppia con il fratello Jamie, il ritorno al successo in Coppa Davis della Gran Bretagna dopo 79 anni. Ha pagato in questi anni il confronto con veri mostri sacri di questo sport: Federer, Nadal e Djokovic gli hanno spesso negato la vittoria sul più bello. Al punto che lui stesso si paragonava a LeBron James che arrivava sempre secondo. Molti gli rimproveravano anche una certa scontrosità che viene con ogni probabilità da lontano. Andy, nato a Glasgow nel 1987 e cresciuto a Dunblane, a tre anni aveva già la racchetta in mano sotto la guida esigente della madre, insegnante di tennis. Dopo aver vinto subito tornei a livello internazionale, a tredici anni non ne poteva già più. Piantò il tennis per il calcio, ma tornò presto alla racchetta per non abbandonarla più. Della sua infanzia parla mal volentieri. A otto anni uscì illeso insieme al fratello dal massacro della scuola elementare di Dunblane: un uomo armato entrò nella struttura e apri il fuoco uccidendo sedici bambini e un’insegnante. I due fratelli Murray riuscirono a salvarsi per miracolo. Altro momento difficile fu la separazione dei genitori l’anno dopo: «Quando sei un bambino non capisci il divorzio. Vedere nostra madre e nostro padre litigare è stato duro per me e Jamie, ma loro sono stati ottimi genitori. Ci hanno dato tantissime opportunità e si sono impegnati al massimo. Anche se non è facile per un bambino trovarsi in mezzo a tutto quanto». Decisivo l’incontro con Kim Sears che ha sposato 1’11 aprile 2015: «Stiamo insieme da quando avevamo diciott’anni. Siamo stati molto fortunati ad incontrarci e siamo molto fortunati ad andare d’accordo così bene. Ho sempre voluto una famiglia, un matrimonio che funzionasse, fin da quando ero molto giovane». Un rovescio senza precedenti l’ha messo a segno nella vita di Murray la piccola Sophia nascendo nel febbraio scorso. Gli organizzatori degli Australian Open avevano tremato quando lo scozzese poi arrivato in finale (persa per la quarta volta consecutiva contro Djokovic) minacciava di tornare a casa appena la moglie avesse partorito: «Per me è più importante mio figlio, è più importante mia moglie, di una partita di tennis». E la paternità ha avuto immediati riflessi già nel 2016. A parte l’ennesima finale persa al Roland Garros a Parigi (sempre contro Djokovic), Murray ha indossato i panni di Braveheart e da impavido combattente ha iniziato ad alzare coppe in successione invece del solito piatto d’argento: Internazionali d’Italia, Wimbledon e medaglia d’oro a Rio spiccano in un bottino da incorniciare in questa stagione. Deciso e determinato come non mai, questo energico scozzese di 191 centimetri si scioglie soltanto nel ripensare alla prima volta che ha preso in braccio sua figlia in ospedale: «La tenevo in braccio ed è lì che ho iniziato ad essere emozionato. Non c’era nessuno ad aiutarmi, ero io responsabile per lei». Salvo poi ritornare duro condottiero quando qualcuno ha insinuato che dietro qualche prestazione deludente ci fossero i nuovi impegni domestici legati alla bimba «Non è vero, ma se lo fosse? Sarebbe così importante? Preferisco svegliarmi la notte ed essere lì per lei che vincere ogni incontro e ritrovarla, più grande, a pensare: “Beh, sai che c’è, era un papà di m… ma ha vinto un sacco di incontri di tennis quindi va bene così, ben fatto”». E questo l’ace, il colpo più difficile da realizzare: «Diventare un genitore ti cambia la vita La mia preoccupazione principale è quella di essere un buon padre. Certo, voglio continuare a fare bene nel mio lavoro e mi alleno duramente, ma la mia priorità è essere un buon padre». Dicono che sia salito sul trono soltanto per una serie di coincidenze sfortunate dei suoi celebri rivali. Ma lui, a 29 anni, non si scompone affatto. «Adesso voglio solo godermi la prima posizione, perché potrebbe durare una sola settimana». E riconosce: «Nadal, Federer e Djokovic sono tre dei migliori giocatori di tutti i tempi è molto difficile dover competere con loro, ma mi hanno anche aiutato un sacco. Grazie a loro ho sempre avuto gli stimoli per migliorare». Ma per Murray la partita più grande si gioca fuori e riguarda Sophia: «Non è importante quanti soldi guadagnerà o quanto successo avrà. Voglio che mia figlia abbia una vita felice. Tutto qui».

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