Federer sconfitto e contento, Djokovic vince e ha dubbi

Editoriali del Direttore

Federer sconfitto e contento, Djokovic vince e ha dubbi

L’entusiasmo per il ritorno di Roger sarà confortato dai risultati? Murray doveva approfittare delle turbe di Nole. La Pliskova esploderà in uno Slam. Kerber e Nadal…

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Per una volta, la Hopman Cup e di conseguenza la categoria tutta delle esibizioni potrebbe addirittura essere stata utile. Roger Federer ha infatti (saggiamente) deciso di non iscriversi a nessuno torneo ufficiale per iniziare la stagione 2017, preferendo un approccio più soft per saggiare le condizioni del proprio fisico e del proprio tennis: e la kermesse di Perth, dove con al suo fianco Belinda Bencic si è arreso alla Francia di Gasquet e Mladenovic (poi vincitori della competizione in finale con gli USA) gli ha permesso di mostrare non solo un buon gioco e una condizione atletica tutto sommato positiva, ma anche una palese dedizione per il suo sport e un immutato rifiuto per la sconfitta. Ad intervallare le due sgambate con Evans e Gasquet, c’è stata la battaglia persa con il giovane Zverev: tre tiebreak e tre ore di gara, condita a tratti da un livello degno dei palcoscenici più importanti. La sconfitta in sé probabilmente darà a Federer molte più informazioni e sensazioni importanti rispetto agli allenamenti agonistici affrontati negli altri incontri: anche in un avvenimento di passerella come quello in West Australia, Roger non ha voluto risparmiarsi nel momento in cui è stato chiamato a girare la manopola del manubrio. Di sicuro con il passare dei quarti d’ora le sue reazioni sono diminuite, e la risposta si è fatta via via meno regolare; giusto l’entusiasmo per il suo rientro, giusti i dubbi sulle sue possibilità. Dovesse riuscire a rimanere integro e con una schiena non in vena di ridere, potrà dire la sua anche quest’anno. Forte anche il messaggio mandato dallo stesso Zverev, che ha dimostrato nuovamente il suo essere il prototipo del giocatore moderno: alto, potentissimo sia al servizio che nei colpi da fondo. Già in questa stagione potrà ambire ad andare in seconda settimana nei tornei che contano. Pazzesco comunque come il solo nome dello svizzero abbia portato un colosso come Eurosport ad accaparrarsi i diritti della Hopman Cup, di fatto mai considerato da nessuno (o quasi…). Per non parlare degli ottomila sugli spalti per il suo allenamento.

In Qatar è ripresa la guerriglia ai piani alti: ne è uscito vincitore Novak Djokovic, che non è sembrato affatto brillante nel corso di tutto il torneo. Già contro Verdasco ha pericolosamente danzato sul cornicione, annullando cinque match point sopratutto con l’aiuto del tenero braccino dello spagnolo, ormai comodo nella sua tuta di bello e dannato (comunque da tenere sotto controllo a Melbourne, dove già sette anni fa fece quello che fece in semifinale contro Nadal. Il successo su Goffin è stato l’emblema di quanto il suo tennis possa far male); Nole è parso nervoso, a tratti confuso, come se non avesse mai nemmeno stretto la mano al freddo automa delle stagioni passate. In finale ha addirittura rischiato di subire una qualche reprimenda dopo un violento sfogo ai danni della sua racchetta. Se lo avesse fatto Kyrgios Evidente comunque l’instabilità psicologica che attanaglia l’animo del serbo, guru o non guru. Dopo la vittoria dell’ultimo Roland Garros, come lui stesso ha ammesso, la pressione per la prima volta è sembrata essere insostenibile, e riprendere i binari della perfezione sembra essere cosa ardua. I suoi colpi peraltro viaggiano un metro e mezzo meno profondi, con Verdasco e nel mezzo della finale i gratuiti sono fioccati. Difficile possa essere lui il favorito in Australia, anche se ognuno nel proprio salotto si sente sempre meglio. Non benissimo piuttosto Murray, che nel terzo set è parso in ritardo d’ossigeno, forse a causa di una preparazione mirata ad esplodere nel clou della stagione: palesi comunque i suoi miglioramenti con il dritto, specialmente con la variazione lungolinea (fino a un anno fa non la vedeva nemmeno con il binocolo). Doha non è la fine del mondo, ma non approfittare delle turbe di Djokovic è un male in qualsiasi momento dell’anno; l’intero torneo è stato però condotto senza affanni, segno di una consapevolezza e un’autorità adatte al posto che occupa in classifica, e sicuramente non tipiche del Murray vecchia maniera.

Piacevole e forse malinconico vedere Dimitrov sollevare un trofeo, specialmente se il trionfo arriva dopo un cammino di indubbio spessore: il bulgaro non aveva mai battuto tre top10 consecutivamente, mentre a Brisbane ha rimandato alla prossima sessione Thiem (8), Raonic (3) e Nishikori (5). Giocando peraltro, in finale sopratutto, un tennis di gran livello, d’anticipo e d’attacco, senza soffrire nessuna delle armi degli avversari. Importantissimo sopratutto per la fiducia il successo su Raonic, che al turno precedente aveva battuto in rimonta Nadal: ha tenuto alla grande il ritmo forsennato di Nishikori, anche sulla temibile diagonale di rovescio, riuscendo a non pagare dazio dopo il vistoso calo del secondo set. Rimarrà sempre il solito punto interrogativo, sulla stagione che arriva e sull’intera carriera dell’ex Golden Boy. Forse conviene guardare e basta. Quanto a Rafa, il secondo turno con lo Zverev meno glamour (ma reduce da un finale di 2016 stellare con le semifinali di Shanghai e Basilea, e sopratutto tecnicamente dotatissimo con il suo stile d’altri tempi fatto di serve & volley e approcci aggressivi) è stata una prova di buona attenzione e gestione della pressione, considerato il gioco asfissiante del tedesco. Si è però fatto rimontare da un ottimo Raonic nei quarti, mostrando qualche crepa non ancora saldata: insufficiente il servizio, non tanto per punti diretti quanto per l’inabilità ad aprirsi il campo, che costituisce di fatto il “bread and butter” degli schemi dello spagnolo: vedere Raonic rispondere d’incontro e addirittura vincente con il rovescio lungolinea, lascia qualche dubbio. Difficile vedere Rafa tra i favoriti a Melbourne. Ma non doveva esserlo nemmeno sull’erba dieci anni fa, sul cemento dopo la sindrome di Hoffa e da nessuna parte mai, quindi…

Sul versante femminile, c’è stata un’ecatombe di top player nel Premier di Brisbane: il titolo è andato alla Pliskova, serissima candidata alla palma di “breakthrough” dell’anno (non andrebbe escluso un suo successo Slam, specialmente sul cemento): il suo gioco esplosivo e allo stesso tempo privo di sforzo sarà difficilissimo da gestire per chiunque. Simile è il tennis di Daria Kasatkina, che ha accompagnato al manicomio la Muguruza per due ore abbondanti, prima di sprecare un matchpoint e andare a stringerle la mano da sconfitta: la russa sarà un nome da tenere sotto controllo quest’anno (che ha già visto invece il successo di un’altra promessa come Katerina Siniakova, a Shenzen. Poi non dite che non ve l’avevamo detto), grazie ai suoi colpi eleganti e ficcanti. Peccato per l’evidente lacuna di lucidità, tipica di chi non è abituato ai grandi successi. Muguruza farebbe bene a riservare accanto a Sam Sumyk un posto per qualche psicologo dello sport: con il rovescio sembra sempre voler spaccare il mondo, il servizio è tornato una tombola e l’atteggiamento a volte è quasi eccessivamente aggressivo, come se dovesse continuamente far vedere qualcosa a qualcuno. Certo la vittoria al Roland Garros è un fardello non facile da trainare, ma ad arrivare in alto sono sempre di più, e a rimanerci sempre di meno, senza costanza. Male Kerber, che già con Barty aveva trovato le chiavi di casa giusto in tempo, tornando a macinare il suo gioco quando contava: la tedesca spesso fatica ancora a prendere in mano l’iniziativa, preferendo appoggiarsi ai colpi potenti delle avversarie per ribaltare l’esito degli scambi. Uno stile vario e propositivo come quello della giovane australiana (la cui storia è interessante quasi quanto il suo tennis: si era presa un anno di pausa dal tour per dedicarsi al cricket, aveva denunciato malessere per la sua omosessualità) è sembrato l’ingrediente giusto per far impazzire la sua ricetta. Agli Australian Open sarà interessante capire, già dai primi turni, se potrà riproporsi sul trono. Durissima.

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