Il marasma attorno alla straordinaria impresa di Federer non si fermerà. Da qualsiasi lato la si veda la vittoria di uno Slam a 35 anni, dopo 54 mesi dall’ultima affermazione, al rientro da uno stop di 6 mesi, con la testa di serie n.17 e quindi la necessità di battere tre top 10, rimane una faccenda difficile da aggettivare. Eppure il vero luccichìo della cavalcata di Roger si annida in come (e contro chi) si è svolta l’ultima battaglia. Senza sconfiggere l’avversario più temuto, la nemesi di tante battaglie più spesso perse che vinte, questo Australian Open non sarebbe entrato nella bacheca dello svizzero con la stessa scia di emozioni. Nadal, seppure un Nadal che non è più il terrificante conquistatore degli anni d’oro, è servito alla buona riuscita del film di Melbourne non meno di quanto sia stato necessario il suo attore protagonista.
Forse non è ridondante ricordarne le ragioni. Rafael Nadal aveva chiuso in anticipo il 2016 saltando a piè pari Basilea, Bercy e le Finals con l’obiettivo di ricaricare le batterie in vista del 2017. Tutto mentre Roger era già ai box da più di novanta giorni. Esattamente un mese prima dell’inizio dell’Australian Open il maiorchino dichiarava di non sentirsi ancora pronto per giocare in singolare, arrabattandosi in doppio con Marc Lopez per attendere tempi migliori. Il 29 gennaio Rafa raggiunge la 21esima finale Slam della sua carriera a due anni e mezzo di distanza dalla vittoria del Roland Garros 2014 e a tre anni dall’ultima finale sui campi australiani, persa da Wawrinka. Lo fa su un cemento veloce, il più veloce della recente storia a Melbourne Park, dimostrandosi per l’ennesima volta un campione incredibile di adattamento. Pur senza il dritto devastante a fare da traino. Accettando di prendere l’iniziativa più spesso, specie in risposta. Spremendo al massimo quel colpo sottovalutatissimo che è (sempre stato) il suo rovescio, con il quale a volte tagliare il campo e prendersi il punto proprio quando l’avversario è convinto di averlo inchiodato. Ma soprattutto, cosa che più conta, accettando le sue nuove debolezze di tennista “umano” che non può più chiedere al fisico l’inumana resistenza di 7 o 10 anni fa. L’incredibile “testa da tennis” che Rafa Nadal non ha mai smesso di essere ha confezionato un (quasi) capolavoro che ad ogni Slam pareva sempre meno possibile.
E alla fine, passata la classica sbornia da Fedal, è bene ricordare che nell’ultimo set del torneo Rafa è stato avanti 3-1, e prima di subire il break che ha riaperto l’incontro ha avuto sulla racchetta la palla del 4-2. Per quanto entusiasmante sia stata la rimonta di Roger, impreziosita da una serie di attacchi all’arma bianca, sono esistiti tutti i presupposti perché fosse Nadal a portarsi a casa il trofeo. La storia la scrivono i vincitori e sul campo vince (quasi) sempre chi merita, tutto più o meno noioso e più o meno vero. L’errore di svalutare gli sconfitti non appena il campo li ha decretati tali è però frequente, e se c’è qualcuno che non lo merita è proprio questo Rafael Nadal.
Il motivo principale per cui è necessario parlare di Nadal riguarda… i tifosi di Federer. Beninteso, non si parla soltanto dell’accanita “falange” di cui spesso si è discusso, ma anche di tutti coloro che tra gli addetti ai lavori si sono accovacciati silenziosamente sulla spalla del maiorchino affinché, finalmente, fosse lo svizzero a cogliere questa vittoria. Nella fantastica atmosfera che ha circondato la finale era tanto chiaro quanto taciuto che fossero più i sostenitori del “diciottesimo” rispetto a quelli del “quindicesimo”. Il grido unanime “sarà in ogni caso la festa del tennis” nascondeva più spesso la predilezione per Federer. E non c’è nulla di male nell’essere in qualche modo schierati, anzi, è persino fantastico quando un telecronista se ne frega dello stile ingessato che il ruolo gli impone e si lascia andare a un’uscita di pura emotitività. Resta il fatto che i complimenti e i “pat pat” sulla spalla di Rafa, tanti che uno potrebbe credere che alla fine ha vinto lui, sono tanti invece proprio perché ha perso. Adesso che lo spagnolo ha fatto quello che in molti si auspicavano, accompagnare – da illustre sconfitto – Roger nella storia, sembra persino più simpatico a chi lo riteneva quasi un bruto con in mano una racchetta, un usurpatore di chi il vero tennis invece lo dispensa con ogni colpo. Avesse vinto lui, chissà…
Il secondo motivo scaturisce da una riflessione che in alcun modo deve scalfire i meriti di una vittoria sacrosanta. Roger ha beneficiato di un giorno di riposo in più e prima di rimontare Rafa nel quinto set si è avvalso di un MTO, pratica a cui lo svizzero in carriera non aveva praticamente mai fatto ricorso. Cosa sarebbe successo se… insomma avete capito.
Nadal comunque la sconfitta l’ha incassata con una tale eleganza da scrollarsi di dosso tutti gli attestati di stima che, tra quelli ricevuti, non erano poi così sinceri. In questo è stato certamente aiutato dalla compostezza di Federer, che dopo la comprensibile esplosione di gioia ha riservato al suo avversario parole, lunghi istanti, per non lasciarlo solo all’ombra della sconfitta. Rafa ha ringraziato e accettato di dividere le luci della ribalta, poi è ritornato nella solitudine della sua sconfitta dichiarando “Sulla terra farò ancora meglio“. Si sa perdere solo quando si sa vincere. E viceversa.