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“The kids, they’ve come!”: bilancio della Next Generation dopo gli Australian Open

Ogni mese il bilancio sull’andamento della classifica dedicata alla Next Gen, ovvero di una generazione refrattaria al conformismo stilistico e (per ora) anche alle gerarchie

Last updated: 20/02/2019 10:40
By Redazione Published 09/02/2017
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14 Min Read
Alexander Zverev - Australian Open 2017 (foto Roberto Dell'Olivo)

Dagli Australian Open è arrivato forte il messaggio della nuova generazione statunitense, chiamata a compensare il vuoto a stelle e strisce ai piani alti del ranking: Tiafoe, Rubin, Escobedo, che insieme a Fritz, Donaldson, Opelka e Mmoh oggi affollano le prime ventuno posizioni della Race to Milan.

Francis Tiafoe, il più giovane nella top 100 Atp, sta lentamente acquisendo la consapevolezza di poter competere con i più grandi. Lo ha spiegato lui stesso, in termini eloquenti, dopo la sconfitta con Alexander Zverev al secondo turno: “Nella mia testa ormai c’è la consapevolezza di aver vinto una match a livello slam, che significa molto per me, mi dà una grande carica”. In verità nel match con il tedesco il divario fra i due è parso superiore all’anno anagrafico che li separa: in termini di varietà di colpi, sicurezza e solidità. Per il definitivo salto di qualità, diversi sono gli aspetti da affinare, nei colpi e nei movimenti. Molto si è parlato del suo dritto anticonvenzionale: giocato di polso, sincopato, preparato con un’apertura troppo ampia, quasi “snodata”. Ma il ragazzo pare essere un lavoratore instancabile, ha la calma dei forti ed è anche molto comunicativo. Di recente, su Twitter, ha lanciato l’hastahg #asktiafoe, e qualcuno ne ha approfittato per chiedergli se ci sono speranze di rivederlo festeggiare una vittoria come fece all’Orange Bowl, scaraventando in un moto di gioia e stizza la racchetta per terra. “It’s coming”, ha risposto lui.

Servizio solido, prestanza fisica, un dritto come un colpo di frusta, hanno consentito a Escobedo di scalare in pochi mesi il ranking e piazzarsi a ridosso dei primi 100. A Melbourne lo statunitense ha superato al primo turno Medvedev con autorità, mentre al secondo ha strappato il primo set a David Ferrer prima di rimanere imbrigliato nello schema asfissiante dello spagnolo, che lo ha costretto a rincorrere la palla da destra a sinistra. Un avvio di stagione incoraggiante, considerato che a Brisbane aveva giocato ad armi pari con Kyle Edmund, perdendo in due tie break. Incommentabile invece (per chi ha avuto la sfortuna di guardarla) la sua eliminazione al 1° turno del challenger di Maui: 6-1, 6-1 da Soeda, palle sparate metri fuori. Saranno state le quindici ore di volo. Chiude il terzetto statunitense Noah Rubin, oggi al 7° posto della Race to Milan, forse il meno blasonato della nuova generazione statunitense. Eppure di attenzione ne merita questo ragazzo di Long Island, di cui Federer si è detto “impressionato”. Rubin aveva già superato il primo turno a Melbourne nel 2016, liberandosi di Benoit Paire con un triplo tie break. Particolare da non sottovalutare, perché descriveva già allora un tratto tipico di Rubin, non così comune fra i colleghi della Next Gen: la capacità di alzare il livello di gioco nei momenti cruciali. Come del resto ha fatto, per quanto possibile, nel match di secondo turno contro Federer.

Merita attenzione anche la truppa dei giovanissimi australiani, oltre i Kyrgios e i Thompson, annidata fra la 200° e la 300° posizione del ranking ATP, ma ben presente ai piani alti della Race to Milan grazie all’ottimo avvio di stagione. Prima di tutto Alex De Minaur, 18 anni la prossima settimana, spesso ricondotto alla “seconda fucina” di talenti della Next Gen, quella degli Auger-Alassime, Tsitsipas, Shapovalov. In questo 2017 l’australiano ha però dimostrato qualcosa in più degli altri. Dopo aver scalato lo scorso anno oltre 1000 posizioni del ranking tra vittorie nei futures e buone prestazioni nei challenger, De Minaur ora si è messo in luce, con continuità, anche nel circuito maggiore: a Brisbane, superando alle qualificazioni Tiafoe e il top 100 Kukushkin, prima di arrendersi a Mischa Zverev; a Sydney dove, entrato con una wild card, ha superato al tie break del terzo set Benoit Paire; quindi agli Australian Open, dove ha ben ripagato la wild card superando in cinque set Melzer, con una prova di grande solidità mentale (match point annullato al quarto set, chiusura con un 6-1 al quinto). Al secondo turno ha ceduto alla potenza di Querrey, confermando però le sue qualità: un dritto tanto pulito quanto incisivo e una notevole rapidità di movimenti che gli consente di ritrovare con facilità il centro del campo durante lo scambio. Riflettori puntati anche su Omar Jasika, mancino classe ’97, uscito al secondo turno da David Ferrer con un impietoso 6-3, 6-0, 6-2. La sua avventura a Melbourne è stata preceduta da una finale persa al challenger di Happy Valley e seguita dalla conquista del primo titolo challenger a Burnie. Risultati che hanno procurato a Jasika il quarto posto della Race to Milan.

La Next Gen è dunque presente con una ricca pluralità di volti, appare al momento refrattaria sia alle gerarchie (Zverev a parte), sia soprattutto – ed è l’elemento che più dovrebbe interessare gli amanti di questo sport – al conformismo stilistico. Se a questo aggiungiamo che nella cosiddetta “generazione di mezzo” non s’intravedono giganti, per il tennis si schiudono prospettive di forte vitalità, una volta che l’egemonia dei Fab Four sarà definitivamente tramontata.

Claudio Tancredi Palma

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