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Non è (solo) la Fed Cup il problema del tennis femminile italiano

Il match di Fed Cup di Forlì contro lo Slovacchia è diventato l’occasione per tracciare un bilancio sullo stato di salute del tennis femminile italiano

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Anche Camila Giorgi è reduce da un anno negativo. Camila (che ha compiuto 25 anni nel dicembre scorso) dopo diverse stagioni di progresso ha fatto registrare un sensibile calo nel 2016. Era dal 2013 che non chiudeva la stagione con un peggioramento del ranking. Questo il suo andamento di classifica degli ultimi anni: 244 (nel 2010), poi 149, 79, 93, 35, 34 (fine 2015) e 83 alla fine del 2016. Quarantanove posti di arretramento non sono pochi e a questo si deve aggiungere una inversione di tendenza nel rendimento contro le migliori: 6 vinte e 6 perse contro le top ten sino al 2015, mentre zero vinte e 5 perse nel 2016. In questo momento è numero 75 del ranking.

Giorgi sembra avere perduto la capacità di dare il meglio di sé nei confronti importanti, ed è emersa sempre più frequente la difficoltà nel chiudere i match quando è in vantaggio. Il braccino ha finito per penalizzarla in diverse occasioni, e di conseguenza certe sconfitte si sono tradotte anche in punti in meno in classifica. In più dopo aver sfiorato lo status di testa di serie negli Slam, è anche andata incontro a sorteggi non proprio favorevoli nei Major che non l’hanno certo aiutata: nel 2016 solo una volta (Roland Garros) non ha “pescato” al primo turno una testa di serie. A questa stagione complicata vanno aggiunti i contrasti con la Federazione italiana, che hanno portato alla squalifica di 9 mesi con multa, decisi dal primo grado del tribunale sportivo.

A conti fatti le prospettive per il tennis italiano non sono incoraggianti; e al di fuori dei nomi citati se si scorre il ranking WTA per trovare la prima giocatrice occorre arrivare al numero 213 di Jasmine Paolini (nata il 4 gennaio 1996), poi al 230 di Martina Trevisan (nata il 3 novembre 1993) e al 280 Jessica Pieri (24 aprile 1997). Non si deve certo fare una colpa a loro se mancano ricambi più a ridosso delle prime cento, e l’età lascia sperare in progressi anche considerevoli; ma allo stato attuale è oggettivo il solco tra le giocatrici più note e le loro potenziali eredi.

In questo contesto, quindi, focalizzarsi sui risultati di Fed Cup appare limitativo. Però secondo me anche la competizione a squadre può assumere un ruolo importante, al di là delle vittorie e delle sconfitte: la Fed Cup può essere molto utile se diventa occasione nella quale le tenniste più mature vivono a contatto con le più giovani e provano a tramandare il loro patrimonio di esperienza, di conoscenze, di professionalità.
Rispetto alla vita del circuito, in cui ogni giocatrice tende ad amministrarsi e a gestirsi in solitudine, la Fed Cup può aiutare a costruire un ponte tra le generazioni. Sembra ad esempio che questo stia riuscendo alla Repubblica Ceca, con l’ingresso di Karolina Pliskova dentro a un team storico già molto forte.

D’altra parte riuscire a inserire le nuove leve, specie se questo deve avvenire in un gruppo consolidato, non è sempre facile; e penso che in questi casi sia importante anche il ruolo dell’entourage tecnico. Come si sa, al momento non ha funzionato l’inserimento di Camila nel nucleo storico di tenniste guidate da Barazzutti. Fino a che punto il fallimento sia dipeso da questioni di convivenza caratteriale o invece da altri aspetti non è chiaro; anche perchè in questi casi, comprensibilmente, prevale la riservatezza dei protagonisti. Ma oggi in sostanza ci si chiede questo: per la Fed Cup Giorgi è persa per sempre?
I provvedimenti presi dalla federazione non sembrano lasciare molte speranze. Però siamo in un momento in cui il team sta vivendo avvicendamenti dei protagonisti: la guida tecnica è cambiata, con il passaggio da Corrado Barazzutti a Tathiana Garbin.

Apro una rapida parentesi in proposito: mi ha lasciato perplesso la presenza di Barazzutti a Forlì; se si decide un cambio di leadership penso lo si debba attuare sino in fondo. Il capitano scelto è Garbin? Secondo me dovrebbe poter agire con la piena responsabilità, senza dare l’impressione che ci sia bisogno di un tutore. A maggior ragione in occasione dell’esordio.

Tornando alla questione dell’inserimento di Giorgi e delle nuove generazioni, le dichiarazioni della nuova capitana mostrano una disponibilità che appare anche un segno di autonomia rispetto a posizioni più intransigenti espresse nella federazione. Garbin infatti ha detto in conferenza stampa: “Camila è una giocatrice importante. Sicuramente io lascio una porta aperta, non chiudo. In futuro non si sa mai, e spero sempre in un riavvicinamento in questo senso”.

Al momento le prospettive del tennis femminile italiano sembrano molto lontane dai fasti della generazione in uscita che è stata capace addirittura di monopolizzare una finale Slam, e di farlo non sulla “solita” terra battuta, ma sui campi in cemento di Flushing Meadows (Pennetta – Vinci, US Open 2015). Vale a dire mostrando una cultura tennistica capace di internazionalizzarsi sino ai massimi livelli; del resto Pennetta ed Errani hanno costruito la loro carriera professionistica soprattutto all’estero.
È banale, ma non per questo meno vero: in un mondo senza confini (come quello del tennis) le conoscenze si internazionalizzano; ed è importante acquisirle, ma poi è altrettanto importante saperle tramandare. Per questo sarebbe utile riuscire a farlo anche attraverso la squadra di Fed Cup: sia con il ritorno di Camila Giorgi, sia con l’inserimento di ragazze ancora più giovani. Penso sarebbe un tentativo doveroso per cercare di non disperdere il patrimonio tennistico di una generazione forse irripetibile.

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