Non è (solo) la Fed Cup il problema del tennis femminile italiano

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Non è (solo) la Fed Cup il problema del tennis femminile italiano

Il match di Fed Cup di Forlì contro lo Slovacchia è diventato l’occasione per tracciare un bilancio sullo stato di salute del tennis femminile italiano

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Nel week-end di Fed Cup l’Italia ha perso, giocando in casa, contro la Slovacchia che era priva delle sue migliori giocatrici. La Slovacchia ha ottenuto due punti grazie a Rebecca Sramkova, esordiente classificata al 119 posto del ranking, e un punto grazie a Daniela Hantuchova, veterana classificata al numero 248.

Dopo essere retrocessa nel 2016 dalla “serie A” (il World Group), ora l’Italia corre il rischio della serie C, visto che dovrà affrontare uno spareggio contro chi ha vinto il turno del girone inferiore. Disastro su tutta la linea? Prima di esprimere un giudizio vorrei sgomberare il campo da un equivoco: per come viene interpretata la Fed Cup dalle tenniste più forti, né le vittorie nè le sconfitte sono un indice sicuramente attendibile del valore di una nazione.
A mio avviso l’Italia non era la squadra migliore del mondo quando vinse a Cagliari nel 2013 la sua ultima Coppa contro una Russa incompleta, e non è la sconfitta di domenica a decretare la bocciatura del movimento tennistico femminile.

Qualche dato: la Slovacchia si è presentata a Forlì senza la sua numero uno, Dominika Cibulkova, ma anche senza l’altra top 100 Kristina Kucova. E al dunque ha rinunciato a schierare anche Jana Cepelova, una giocatrice discontinua ma capace di picchi notevoli, visto che vanta successi contro una numero 1 del mondo (Serena Williams) una numero 2 (Muguruza) e una numero 3 (Halep). La squadra era dunque basata sulle seconde linee, tutte giocatrici con un ranking oltre il centesimo posto.
D’altra parte per l’Italia Knapp era assente per infortunio, e mancavano sia Vinci che Giorgi, al momento le due più in forma a disposizione, almeno in linea teorica. Dico in linea teorica perché sappiamo che Giorgi sembra persa per la Federazione tennis italiana, a maggior ragione dopo la squalifica di qualche giorno fa.

Con queste premesse direi che il confronto di Fed Cup non ha restituito la situazione completa tra le due nazioni; semmai ha misurato la profondità dei due movimenti. Chiarito questo, non si deve però concludere che le cose vadano bene: secondo me più che il risultato di Forlì sono quelli nel circuito WTA e negli Slam, i tornei con al via tutte le migliori, che devono preoccupare per il futuro.

Schiavone e Vinci molto probabilmente sono all’ultimo anno di carriera; quindi se si vuole ragionare in prospettiva non ha senso fare conto su di loro. Le giocatrici di vertice su cui interrogarsi oggi sono tre: Knapp, Errani e Giorgi.

Su Karin Knapp in questo momento purtroppo c’è poco da dire. A quasi 30 anni (li compirà il 28 giugno) dopo una carriera che definire sfortunata sul piano fisico è un eufemismo, sta lottando contro l’ennesima tegola, un problema al ginocchio che sembra non lasciarle tregua; e nel tennis contemporaneo se non si è a posto fisicamente non c’è proprio la possibilità di esprimersi. Prima di fare qualsiasi altro discorso occorre capire quando e come potrà rientrare da atleta sana. Al momento è ferma ed è, inevitabilmente, scesa al numero 144 del ranking.

Un ragionamento più articolato si può fare su Errani e Giorgi.
Sara Errani, che compirà 30 anni un mese prima di Knapp (il 29 aprile), sta vivendo un periodo di crisi. In questo momento è al 49mo posto, ma ha in uscita i 470 punti della vittoria a Dubai e i 60 di Doha. Se non fossero confermati significherebbe vedere quasi dimezzati i punti totali (che oggi sono 1145): all’incirca un calo di 40-50 posti nel ranking.
Non voglio tratteggiare scenari foschi prima del tempo, ma ricordo che Sara ha perso per ritiro agli Australian Open (contro Makarova) e non ha certo concluso al meglio il match contro Hantuchova.

Ormai da molti mesi a Errani sembra mancare la spinta per scendere in campo e valorizzare le sue doti. In occasione delle sconfitte leggo spesso commenti molto duri da parte dei lettori di Ubitennis che la criticano in modo totale, quasi distruttivo, a partire dal suo cronico problema, il servizio. Commenti che a mio parere sono eccessivi: che Sara non abbia una gran battuta non è certo una novità, eppure in passato anche “senza” il servizio è riuscita a ottenere fior di risultati. Quello che secondo me è venuto meno del suo gioco sono piuttosto altri aspetti.

Provo a individuare i principali. Nelle stagioni migliori riusciva a limitare al massimo gli errori gratuiti: poteva reggere “all’infinito” con il suo rovescio teso incrociato, così come manovrare con il dritto trovando angoli e traiettorie insidiose per moltissime giocatrici. Non solo: aveva una maggiore profondità di palla che le consentiva di non farsi mettere sotto da avversarie ben più grosse e potenti; e a questo aggiungeva la capacità di trovare i tempi di gioco migliori per spostare la palla sulla verticale: sia con smorzate, sia con discese a rete tempestive ed efficaci.

A questi aspetti tecnici aggiungeva una grande lucidità tattica e una straordinaria saldezza caratteriale: uno spirito combattivo che non lasciava respiro alle avversarie e che le consentiva di non cedere anche nelle situazioni più complicate. Senza risalire alle imprese del 2012-3, ricordo che ancora nel 2015 era arrivata ai quarti di finale a Parigi, e a Toronto era riuscita a sconfiggere un’avversaria come Azarenka (sul cemento).

Se consideriamo le carriere di Schiavone, Pennetta, Vinci, si vede come la loro parabola abbia il vertice spostato in età più avanzate rispetto alla media; dunque se seguisse un andamento simile, Errani potrebbe avere davanti ancora diverse stagioni ad alti livelli. Bisogna però capire se il suo tennis molto dispendioso sul piano fisico e nervoso non l’ha consumata troppo. Infine c’è da ricordare che nel recente passato ha vissuto due divorzi tecnici che potrebbero aver inciso negativamente: prima la separazione in doppio da Roberta Vinci, poi quella dal suo storico coach Pablo Lozano.

a pagina 2: Camila Giorgi e le nuove generazioni

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