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Next Gen ATP: Noah Rubin, ovvero dell’etica del lavoro

Profilo del meno appariscente della Next Gen USA, il ragazzo di Long Island su cui McEnroe ha puntato le sue fiches

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Il 2017 si apre con gli stessi incoraggianti segnali dell’anno precedente. A Melbourne, dalle qualificazioni, Rubin accede al secondo turno dopo una battaglia con Fratangelo. Al secondo turno trova Federer ed esce a testa alta: 7-5 6-3 7-6 il punteggio finale. Incassa parole generosissime dallo svizzero, che si è detto addirittura “impressionato da Rubin” e crede che il ragazzo possa avere una carriera coerente con le aspettative oggi riposte su di lui. Altro che Paire. Rubin compensa una struttura fisica non proprio ideale nel tennis contemporaneo (1 metro e 78 per 70 kg) con una serie di caratteristiche che potrebbero consentirgli di scavalcare, nel breve periodo, il muro della top 100.

Il suo gioco non è appariscente e non si basa su un colpo dominante. Tuttavia, si fanno notare il footwork e la rapidità di gambe, a tratti febbrile, che gli consentono di coprire egregiamente il campo. Notevoli anche il controllo direzionale dei colpi, il tempo sulla palla e il ritmo che riesce a produrre in diverse fasi del gioco. Forse anche a causa di tali caratteristiche Rubin, così pare, considera Ferrer e Hewitt i suoi modelli di tennis. È un colpitore da fondo, questo sì, ma poco incline alla difesa e con una tendenza marcata all’anticipo. Di sicuro c’è che il giovane newyorchese rappresenta un’eccezione al modello dominante dell’ultima generazione di tennisti statunitensi, fatto di servizi pesanti, dritti come colpo cardine, rovesci il più delle volte traballanti, poche variazioni. Al contrario, il dritto di Rubin, giocato in semi western piena, non è dotato di grande potenza e ogni tanto lo tradisce, mentre con il rovescio appare più sicuro e trova angoli inaspettati. Se ci si dovesse sforzare di individuare un suo colpo distintivo, si dovrebbe citare, specie dopo Melbourne, la risposta di rovescio, che gioca con grande anticipo e, a dispetto della sua altezza, impatta con disinvoltura anche sulle palle che rimbalzano alte dai servizi in kick degli avversari. Il suo servizio, invece, non può essere devastante – gli ace sono rari – ma si è fatto nel tempo più solido e veloce: con Federer la prima ha toccato i 203 km/h, con una media di 182 km/h, mentre la seconda è “lavorata” a dovere. Nonostante viva di ritmo, Rubin sembra propenso a giocare il rovescio in back, che non di rado però gli resta corto o volteggia nell’aria un attimo in più del dovuto. Appare ancora incerto nei pressi della rete, dove spesso si ritrova più perché “obbligato” dall’inerzia dello scambio che in virtù di una tattica predefinita.

Dopo Melbourne, Rubin ha conquistato il challenger di Launcestone – rifilando, in finale, un 6-0, 6-1 al connazionale Mitchell Krueger. Vittoria grazia alla quale oggi si trova in terza posizione nella Race to Milan. Il prossimo appuntamento è di rilievo: le qualificazioni sul cemento di Indian Wells, dove l’anno scorso aveva raggiunto il primo turno, perdendo in due tie break da Rajeev Ram. Facile osservare che il 2017 per il newyorchese costituisca un banco di prova. McEnroe, che è in conflitto d’interessi, punta forte su di lui. Dopo averlo definito suo “orgoglio e gioia”, ha aggiunto: “Credo che l’ultimo tennista uscito da News York sia stato mio fratello, a metà degli anni ‘80. È un dato che voglio sovvertire”. C’è da scommettere, tuttavia, che più che sul suo livello di gioco Super Mac si affidi alle qualità mentali del ragazzo. Se è vero, come ha affermato Kleger, che “Rubin non è un top 100, ma la sua etica del lavoro è da top 10”.

Lo scorso 21 febbraio il ragazzo ha compiuto 21 anni e su Twitter, con encomiabile autoironia, ha lanciato un nuovo hashtag: “#PastGen”. Buon compleanno, e in bocca al lupo, Noah.

Claudio Tancredi Palma

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