Nei dintorni di Djokovic
Nei dintorni di Djokovic: Petra Martic ci riprova
Dopo il lungo stop per un brutto infortunio alla schiena, la croata Petra Martic, ex n. 42 WTA, è ripartita dall’Accademia di Schuttler e Waske per risalire in classifica

Giugno 2012. Al Roland Garros la 21enne Petra Martic raggiunge per la prima volta gli ottavi di finale di un torneo dello Slam, e si avvicina alla top 40 WTA. Le vittorie sulla terra rossa parigina – nell’ordine contro l’olandese Krajicek, la francese Bartoli, testa di serie n. 8, e la spagnola Medina Garrigues, n. 29 del seeding, prima di uscire per mano di Angelique Kerber – le valgono infatti il best ranking al n. 42. La giovane tennista croata aveva già fatto parlare di sé tre mesi prima, quando a Kuala Lumpur, in Malesia, grazie alle vittorie sulle due top 20 Peng Shuai e Jelena Jankovic aveva raggiunto la sua prima finale WTA, dove si era dovuta ritirare sul 4-1 del terzo a favore della sua avversaria, la taiwanese Hsieh Su-wei. Insomma, sembrava proprio che Spalato avesse trovato la giocatrice in grado di ricalcare le orme dei famosi concittadini Pilic, Ivanisevic e Ancic. Purtroppo però il destino, sotto forma di vari infortuni, ha deciso diversamente. Sinora.
In quella cavalcata parigina di cinque anni, che rimane la sua migliore prestazione Slam, si manifesta un problema fisico, una fascite plantare, che non le consente di rendere poi al meglio nei tornei successivi (a Wimbledon viene eliminata al primo turno) e la costringe a saltare subito dopo le Olimpiadi di Londra, sempre sull’erba dei campi di Church Road. Non che già allora, purtroppo, gli infortuni fossero una novità per Petra, che aveva già dovuto affrontare dei problemi al ginocchio nel 2009, l’anno in cui per la prima volta – diciottenne – aveva concluso la stagione nelle top 100 (n. 84), e un infortunio ai muscoli addominali l’anno successivo. Invece nel 2011 gli acciacchi le avevano concesso un po’ di pace ed ecco che si era messa in grande evidenza: secondo turno in tre Slam (Australian Open, Wimbledon e New York), a livello Premier secondo turno a Miami e Toronto e ottavi a Cincinnati, e infine le semifinali raggiunte a Bogotà e Copenaghen. Stagione conclusa tra le top 50, al n. 49, poche settimane prima di compiere 21 anni (è nata il 19 gennaio del 1991).
Torniamo all’estate del 2012. Dopo un paio di mesi, Petra recupera dall’infortunio al piede ed è di nuovo in campo. L’inattività dovuta allo stop forzato si fa sentire, ma riesce comunque ad arrivare negli ottavi a Tokyo (superando Petkovic e Kvitova) e nei quarti a Linz, finendo la stagione al n. 59 WTA. L’anno dopo si toglie la soddisfazione di riprendere il discorso interrotto dodici mesi prima sui prati londinesi, arrivando al terzo turno a Wimbledon. Ma fatta eccezione per questo exploit, poco altro da segnalare (i quarti a Katowice eTaipei): la tennista dalmata fatica a ritrovare la forma e le sensazioni che l’avevano accompagnata fino al giugno dell’anno precedente e scivola fuori dalla top 100, finendo l’annata al n. 116. La sfortuna, però, insiste: nel 2014 ancora un infortunio, stavolta al polso della mano destra, non le permette di rendere al meglio e la fa scivolare a fine anno in 179esima posizione. Tutto da rifare. La stagione successiva gli infortuni le danno finalmente tregua. Lei però fatica a ritrovarsi. Nessun risultato significativo nel 2015, a parte una semifinale a Dalian, in Cina, a settembre. Supera comunque le qualificazioni, raggiungendo il tabellone principale, in diversi tornei, a partire dagli Australian Open ed il Roland Garros. Risultati che le consentono almeno di rientrare stabilmente tra le top 150 e di finire la stagione al n. 144.
Ma l’annus horribilis di Petra è il 2016. A febbraio, dopo una promettente semifinale a Rio de Janeiro (sconfitta da Francesca Schiavone, che poi vincerà il torneo, il settimo in carriera) vola in Messico, a Monterrey. Qui supera i tre turni delle qualificazioni prima di perdere al primo turno del main draw dalla tds n. 5 Caroline Garcia. Ma tornata in Europa lamenta dolori alla schiena, che la costringono a fermarsi per due mesi e mezzo. Prova a tornare in campo, dato che ci sono di mezzo gli Slam di Parigi e Wimbledon. Ma il dolore non le permette di giocare come vorrebbe e potrebbe. L’unica gioia è la vittoria in doppio nel torneo di “casa” a Bol, in Dalmazia, disputato subito dopo il Roland Garros. Ma i dolori alla schiena peggiorano, tanto che dopo lo Slam londinese è costretta nuovamente a fermarsi per risolvere il problema. Non disputa più nessun torneo e a fine anno crolla in 266esima posizione.
Arriviamo ad oggi. Petra dopo una lunga riabilitazione ha fortunatamente risolto i guai alla schiena e si è trasferita in Germania, ad Offenbach, alla Schuttler Waske Tennis-University. Si tratta dell’accademia fondata nel 2010 dai due ex pro tedeschi Rainer Schuttler (n. 5 ATP nel 2004) e Aleksander Waske (best ranking n. 89 in singolare e n. 16 in doppio), che funge da base per circa una trentina di giocatori professionisti, tra i quali spiccano i nomi di Tommy Haas, Andrea Petkovic e Phillip Petzschner (ma anche quella Angelique Kerber che al termine del torneo di Indian Wells tornerà in vetta alla classifica mondiale negli anni scorsi è passata di qua).
Intervistata telefonicamente, un paio di settimane fa, dal quotidiano della sua città “Slobodna Dalmacija”, la 26enne tennista croata ha raccontato come ci si sente, dopo uno stop così lungo, ad affrontare l’ennesima ripartenza della sua carriera. Perso infatti l’ultimo sostanzioso bottino di punti conquistato lo scorso anno a febbraio in America Latina, attualmente è sprofondata al n. 655 WTA.
Petra, dove ti trovi in questo momento?
Sono a Offenbach, lavoro con Sascha Nensel e con Mariano Delfino. Faccio qui la preparazione e sarà la mia base durante tutta la stagione.
Lo scorso anno però eri a Bol con Biljana Veselinovic (il sito WTA riporta ancora il nome dell’allenatrice serba – che in passato a collaborato con Nadia Petrova, Lucie Safarova e Alizé Cornet – come coach della Martic, ndr), come mai avete interrotto la collaborazione?
Quando mi sono infortunata, lei è andata per la sua strada, io per la mia. Non c’è stato nessun problema tra noi, è andata così.
Come mai a Offenbach?
Conosco Sascha (direttore dell’accademia ed ex coach di Nicolas Kiefer e Julia Georges, ndr) da una vita. Lo scorso anno, in occasione del mio ultimo torneo prima dell’infortunio, mi disse che gli sarebbe piaciuto lavorare con me e di farmi sentire.
Quando ti sei infortunata?
Dopo Monterrey, non ho giocato per due mesi e mezzo. Poi sono andata direttamente senza preparazione a Parigi, al Roland Garros. Ora so che è stata una pessima decisione. L’infortunio dopo Parigi, Bol e Wimbledon è peggiorato. Ho capito che dovevo fermarmi, che non c’era altra soluzione. Non gioco un match ufficiale da allora.
Cosa ti è accaduto di preciso?
Un’ernia del disco. C’è stata una rottura del disco ed il materiale è fuoriuscito di 15 millimetri.
Cos’hai fatto per risolvere il problema dopo lo stop?
Ho lavorato regolarmente a Zagabria con Goran Markovic (famoso chinesiologo croato, che ha lavorato con moltissimi atleti di alto livello del suo paese, ndr), Dopo siamo sempre rimasti in contatto, mi ha seguito in tutto il mio percorso di riabilitazione.
Ed ora come va?
Ora tutto è tornato a posto, ma devo continuare a lavorare con accuratezza, devo prepararmi bene. Ho terminato adesso le prime quattro settimane di preparazione, me ne restano due e poi andrò in Tunisia per due settimane, dove farò un paio di tornei ITF da 15.000 $ per testare la mia condizione. Poi farò i tornei maggiori.
Quale pensi sia il tuo livello attuale?
Devo ricominciare con calma, lo stop è stato molto lungo, non posso subito affrontare i tornei maggiori. La cosa importante è vedere come reagirà il fisico, i tornei sono un’altra cosa rispetto agli allenamenti.
Puoi sfruttare il ranking protetto?
Sì, lo farò a Rabat e in qualche grande torneo. Il mio Protected Ranking è attorno alla 155esima posizione, quindi potrò fare le qualificazioni nei tornei del Grande Slam.
Hai paura che ti capiti di nuovo qualcosa?
Dopo un infortunio come quello che ho avuto è naturale avere paura. Quando mi sveglio al mattino, per prima cosa controllo come sta la schiena, questa cosa mi rimarrà in testa ancora per un po’. Quando senti dolore per tanto tempo non è così facile toglierselo dalla testa e avere fiducia. Il team che mi supporta è molto attento e scrupoloso, curiamo tutti i dettagli. Faccio tutto il possibile affinché la schiena mi supporti ancora a lungo.
Hai visto cos’ha fatto Mirjana Lucic-Baroni? La sua semifinale agli Australian Open è una motivazione ulteriore per te?
“Mikica” (il soprannome di Lucic-Baroni in patria, ndr) è motivo di ispirazione. Se solo ti fermi un attimo a riflettere e guardi la storia della sua vita, ti motiva così tanto che non puoi non saltare giù dal letto ed iniziare subito ad allenarti! Sono veramente felice per lei, si merita tutto quello che ha ottenuto.
Come ti trovi a lavorare all’Accademia?
L’intero complesso è di proprietà della Federazione Tedesca, l’Accademia ha i campi in gestione. Oltre ai campi all’aperto, ce ne sono tre al coperto in cemento, il fisioterapista è sempre a disposizione, c’è la palestra. Tutto nel raggio di pochi metri, non potrei sperare in condizioni di lavoro migliori. Non perdo tempo per gli spostamenti: vado subito dal fisioterapista, non devo aspettare… Ottimo!
Come va dal punto di vista finanziario? Nel tennis il denaro finisce in fretta e tu non giochi da parecchio tempo.
Mi trovo proprio nella situazione in cui dovrei iniziare nuovamente a giocare, in modo da vivere grazie ai tornei. Andrà tutto bene…
Gli allenatori viaggeranno con te?
Sasha è il capo allenatore, Mariano formalmente è il “secondo“. Lui è argentino, è stato top 200 (best ranking n. 154, ma anche Nensel è arrivato al n. 179 ATP, ndr), molto bravo anche lui. Uno dei due viaggerà con me: io mi trovo bene con entrambi. Uno è tedesco, l’altro argentino: due mondi diversi, due caratteri diversi… così non rischio di annoiarmi!
Ti manca Spalato?
Non ho giocato praticamente un anno intero, sono stata a casa parecchio tempo, più che in tutti gli ultimi anni messi assieme. Desideravo riprendere la mia vita, la mia routine da professionista: viaggiare, giocare i tornei. Mi mancava tutto questo.
Dove ti vedi tra qualche anno?
Il mio obiettivo è giocare e lasciare l’infortunio dietro le spalle. Spero di averlo fatto definitivamente e che non si ripeta. Voglio giocare ancora a lungo e, soprattutto, rimanere sana. Per il resto, credo che l’infortunio mi farà vedere il tennis ed i tornei in maniera diversa. Cambi prospettiva, cambi il modo in cui guardi alla tua carriera quando ti capita qualcosa del genere. Dai più valore ad ogni singolo istante.
Flash
Nei dintorni di Djokovic: venti di Nole
Sono trascorsi vent’anni dalla prima vittoria di Novak Djokovic a livello professionistico. Partiamo da quel giugno 2003 per ripercorrere la carriera del fenomeno di Belgrado attraverso dati, curiosità ed aneddoti delle sue tante prime volte. E l’intreccio con le carriere dei suoi grandi rivali, Roger Federer e Rafa Nadal

Vent’anni. Tra qualche giorno saranno passati vent’anni esatti da quando un ragazzo di Belgrado, che ne aveva compiuto da poco sedici, vinse il suo primo match ufficiale a livello professionistico. E non contento, per far capire da subito che non era uno qualsiasi, vinse anche il torneo. Di chi stiamo parlando lo avrete già capito: Novak Djokovic, colui che una decina di giorni fa ha conquistato il suo 23esimo torneo del grande Slam, record assoluto in campo maschile.
E mentre appassionati e addetti ai lavori già si interrogano se il prossimo mese a Wimbledon il fuoriclasse serbo riuscirà addirittura a migliorare questo primato, aggiungendo un altro trofeo a questa prestigiosa collezione ed eguagliando così l’australiana Margaret Smith Court nella classifica assoluta dei plurivincitori Slam, noi abbiamo pensato di ripercorrere l’incredibile carriera di Nole partendo da quella prima vittoria. Per poi “surfare” tra tante altre sue prime volte (non tutte, sennò non finivamo più), aggiungendo qualche dato curioso qua e là, una spolveratina di aneddoti ed un pizzico dell’intreccio con le carriere dei suoi più grandi rivali: Roger Federer e Rafa Nadal. Nel suo discorso dopo la vittoria al Roland-Garros, infatti, Nole ha voluto sottolineare come non sarebbe diventato il giocatore che è oggi e non avrebbe ottenuto tutti questi successi se non si fosse dovuto confrontare per tutta la sua carriera con questi due incredibili fuoriclasse. Quindi non possiamo ripercorre la sua strada senza dare un’occhiata alla loro.
IL PRIMO TITOLO NON SI SCORDA MAI
Partiamo allora da quel giugno 2003. Il sedicenne Novak Djokovic, da qualche anno trasferitosi all’Accademia di Nikki Pilic a Monaco, aveva fatto il suo esordio a livello Future, perdendo, proprio qualche mese prima nella capitale bavarese. Ma dopo un’altra sconfitta nel primo torneo del circuito satellite che si disputava nella neocostituita Unione statale di Serbia e Montenegro (subentrata a febbraio alla Repubblica Federale di Jugoslavia, già composta dalle sole ex repubbliche jugoslave della Serbia e Montenegro, cancellando così l’ultimo legame, il nome – peraltro mai riconosciuto dalla comunità internazionale -, con la “vecchia” Jugoslavia di Tito) ecco che al Tennis Club Crvena Zvezda di Belgrado arriva la prima vittoria a livello ITF, contro il connazionale Madjarovski, classificato tra i primi 500 al mondo. Ma il giovane Nole non si ferma lì e infila altre quattro vittorie per alzare il suo primo trofeo in campo professionistico. Curiosità: Djokovic ai tempi era tesserato per il TK Partizan, il club belgradese dove era cresciuto tennisticamente prima di trasferirsi alla corte di Pilic, storico sodalizio rivale – a partire dagli sport più popolari come il calcio e il basket – proprio della Crvena Zvezda, di cui peraltro Nole è da sempre grande tifoso.

La vittoria porta al giovane Novak i primi punti ATP e di conseguenza il primo ingresso nel ranking, alla posizione n. 767. Se dividiamo per due, sono più o meno le sue attuali settimane di permanenza al n. 1… Non possiamo però chiudere il capitolo della sua prima vittoria, senza andare a vedere come già in quei giorni il suo destino stava iniziando ad intrecciarsi con quelli di Federer e Nadal. Infatti, mentre Nole vinceva i suoi primi match “pro” anche gli altri due erano alle prese con delle loro prime volte. E che prime volte, soprattutto una! Rafa faceva il suo esordio a livello Slam a Wimbledon, conquistando anche le sue prime vittorie e raggiungendo il terzo turno. Sì, proprio Wimbledon 2003, quello del primo trionfo Slam di Roger Federer. Pare incredibile a farci caso adesso: pochi giorni dopo il primo trionfo ITF di Nole, iniziava di fatto l’epopea dei Big Three, con la conquista del primo dei loro 65 Slam complessivi.
Nella seconda parte del 2003, dopo altre due semifinali raggiunte sempre nello stesso circuito di tornei ITF a Belgrado che gli permettono di salire nel ranking di un’altra sessantina di posizioni, Djokovic gioca solo (e poco) a livello juniores, ma dopo la semifinale a gennaio nel singolare junior dell’Australian Open, inizia a dedicarsi esclusivamente ai tornei “pro”. Disputerà solo ancora un torneo junior qualche mese dopo, vincendo in agosto la European Summer Cup a Verona.
A febbraio fa il suo esordio a livello Challenger, sempre nella natia Belgrado. Anche in questo caso inizia con una sconfitta e ad infliggergliela è un tennista svizzero. Ovviamente non Federer, che proprio in quei giorni, dopo la vittoria all’Australian Open, saliva per la prima volta al vertice della classifica mondiale. A batterlo, tanto per confermare quanto i loro destini si stessero già intrecciando, è l’amico di infanzia di Roger e suo compagno di allenamenti a livello juniores, Marco Chiudinelli. Ok, volete sapere cosa stava facendo Rafa? Ebbene sì, erano giorni importanti anche per lui. Già top 50 da qualche mese, dopo aver raggiunto qualche settimana prima ad Auckland la prima finale ATP, in quel primo weekend di febbraio faceva il suo esordio in Coppa Davis. E come poteva esordire, a 17 anni, il più grande fighter della storia del tennis se non vincendo il singolare decisivo contro Stepanek per il 3-2 Spagna?
LEGGI A PAGINA 2 Dal debutto in Davis ai primi successi
LEGGI A PAGINA 3 Il primo Slam e l’inizio dell’Era Nole
LEGGI A PAGINA 4 Il Nole Slam, il Buco Nero e la Leggenda
evidenza
Nei Dintorni di Djokovic: Nole, ancora tu? Ma non dovevi arrivarci più?
Novak Djokovic ha raggiunto Steffi Graf in testa alla classifica assoluta di settimane di permanenza al n. 1. Solo un anno fa, dopo quanto accaduto a Melbourne, sembrava un’impresa irrealizzabile. Ma, ancora una volta, Djokovic ha stupito tutti e riscritto una pagina della storia di questo sport

È passato un anno. Era infatti lunedì 28 febbraio 2022 quando Medvedev subentrava a Djokovic al vertice della classifica ATP, peraltro interrompendo il monopolio del trono ATP da parte dei Fab Four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray – elencati, a scanso di equivoci, in rigoroso ordine cronologico di conquista della prima posizione mondiale) che durava ininterrottamente da ben 18 anni. Da quando cioè – il 2 febbraio 2004 – Roger Federer raggiunse per la prima volta la prima posizione del ranking, dando inizio ad un’era probabilmente irrepetibile, che ha visto per quasi vent’anni il dominio di quattro fuoriclasse assoluti. Sì, consideriamo tale anche Andy Murray, che non vanterà il palmares degli altri tre – ridenominati Big Three proprio dopo che, a partire dal 2017, per i problemi all’anca lo scozzese non è più stato in grado di competere al loro livello – ma che comunque nel periodo in cui duellava con loro ha portato a casa 3 Slam (in 10 finali), 1 ATP Finals, 2 medaglie d’oro olimpiche, 14 Masters 1000 e 41 settimane da n. 1. Ma non divaghiamo, anche se c’è sempre il rischio di farlo parlando di questi quattro fenomeni.
Stavamo dicendo che in quell’ultimo giorno di febbraio di un anno fa Medevdev diventava per la prima volta il n. 1 ATP, superando Djokovic. Il serbo era appena uscito dal “pasticciaccio brutto” dell’espulsione dall’Australia e conseguente forfait all’Australian Open e già sapeva che avrebbe dovuto rinunciare anche ai Masters 1000 di Indian Wells e e Miami, dato l’obbligo di vaccinazione anti Covid previsto per chi si recava negli Stati Uniti. Insomma, Nole si trovava sicuramente in un momento psicologicamente molto difficile. Già reduce dalle delusioni di pochi mesi prima – la mancata medaglia d’oro olimpica, ma soprattutto il Grande Slam sfumato all’ultimo chilometro, con la finale dello US Open persa proprio contro Medvedev – aveva appena visto svanire anche il sogno della decima vittoria a Melbourne e stava realizzando che l’annata sarebbe stata costellata da diversi stop and go agonistici in considerazione della sua scelta di non vaccinarsi e che lo strascico di critiche e polemiche annesse a quanto accaduto Down Under – e in assoluto alla scelta in questione – lo avrebbe accompagnato per parecchio tempo. Ed erano in tanti tra gli addetti ai lavori e gli appassionati a pronosticare che con tutto quel fardello emozionale addosso, per quanto gli era accaduto e gli stava accadendo, difficilmente Nole si sarebbe ripreso del tutto e avrebbe avuto la forza di tornare quella macchina da tennis pressoché perfetta ammirata per tanti anni. E a ritenere, quindi, che il sole sul regno del re serbo fosse tramontato.
In realtà non passò nemmeno un mese che, complici le performance non eccezionali del russo ai Master 1000 di Indian Wells e Miami (anche a causa di un problema fisico che lo ha poi costretto ad operarsi e a fermarsi), il fuoriclasse di Belgrado si riprese lo scettro stando seduto sul divano di casa, vista la rinuncia obbligata al Sunshine Double. Ma i discorsi tornarono d’attualità a metà giugno, quando – usciti dal computo i punti della vittoria al Roland Garros dell’anno precedente – Nole dovette cedere nuovamente la prima posizione a Medvedev. Ci fu il “copia & incolla” di quanto detto e scritto a febbraio, rafforzato da quanto accaduto nel frattempo nel circuito e da quanto si pensava stesse per accadere. L’ascesa prepotente di Alcaraz, che sembrava destinata a proseguire anche nella seconda parte della stagione, soprattutto sul cemento americano. La doppietta Slam di Nadal e la conseguente possibilità che vedendo all’orizzonte la possibilità di realizzare il Grande Slam avrebbe trovato per l’ennesima volta modo di andare oltre gli acciacchi fisici: conoscendo l’animus pugnandi del maiorchino, per molti era quasi una certezza. L’approssimarsi della stagione del cemento americano, dove Medvedev negli ultimi anni aveva sempre reso al meglio. A queste ed alle considerazioni di febbraio che restavano attuali – dato che per i protocolli Covid in vigore non avrebbe potuto partecipare anche i tornei nord-americani dell’estate, US Open compresi – se ne aggiungevano delle altre a sfavore di Nole: l’impatto della cocente sconfitta contro Rafa a Parigi, il fatto che avesse appena superato i 35 anni, che lui stesso avesse dichiarato apertamente come tra i suoi obiettivi non ci fosse più la prima posizione del ranking ma pressoché esclusivamente i tornei del Grande Slam. La mancata assegnazione di punti ATP al torneo di Wimbledon, il Major che in questi ultimi anni lo vede maggiormente favorito e dove non perde dal 2017, sembrava infine l’ultimo colpo di piccone alla possibilità del campione di Belgrado di restare in scia e magari tentare un nuovo sorpasso a fine stagione, grazie agli amati tornei indoor. Insomma, erano di nuovo in molti quelli convinti che la sesta ascesa al trono fosse stata l’ultima e che si fosse veramente giunti al crepuscolo del suo regno.

Ed invece eccoci qua, ad annotare l’ennesimo record del fenomeno serbo. Da questa settimana, infatti, Novak ha raggiunto Steffi Graf per numero di settimane in testa alla classifica mondiale, 377. Eh già, perché da qualche settimana siamo al Djokovic VII. Il sole non era tramontato, c’erano solo tante nubi che lo oscuravano. E Novak le ha spazzate via, con la stessa forza con cui la Košava, il potente e freddo vento che arriva dai Carpazi, in questo stesso periodo le spazza via dai cieli della sua Belgrado.
Questo perché i pronostici di metà giugno sono tutti saltati. Medvedev tornò n. 1 ma da quel momento non ne ha azzeccata praticamente una, tanto che adesso è ai margini della top 10 (ci è rientrato lunedì, grazie alla vittoria a Rotterdam dela scorsa settimana). Anche Nadal non è più riuscito ad ingannare le leggi del tempo e dell’usura fisica: infortunatosi a Wimbledon, non è praticamente più tornato competitivo da allora e a Melbourne ha accusato l’ennesimo acciacco fisico che lo terrà di nuovo lontano dai campi per un po’. Alcaraz a dire il vero ha mantenuto le promesse, ha vinto lo US Open ed è diventato il più giovane n. 1 della storia. Ma ha dovuto pagare dazio per una stagione scintillante ma oltremodo impegnativa, con ben 70 partite disputate. Che sono risultate evidentemente troppe anche per un teenager dal fisico corazzato come lui, visto che sono arrivati gli infortuni – prima lo strappo agli addominali al Masters 1000 di Bercy, poi un problema alla coscia prima dell’Australian Open – che lo hanno tenuto fermo da inizio novembre sino alla scorsa settimana, quando è rientrato sulla terra rossa di Buenos Aires (riprendendo peraltro subito le buone abitudini: cioè vincendo il torneo). E se è vero che a Wimbledon non si assegnarono punti, d’altro canto quella vittoria, la settima ai Championships, confermò a Djokovic di essere di nuovo lui. Di aver cioè metabolizzato tutto quanto era accaduto nei mesi precedenti e di poter ancora essere il “RoboNole” che tutti conoscevano. Tanto che dopo la forzata rinuncia ai tornei sul cemento dell’estate nordamericana ha ripreso il discorso da dove lo aveva lasciato sull’erba londinese: il suo score nei tornei ufficiali, da Wimbledon alle ATP Finals è stato di 25 vittorie ed una sola sconfitta. E così anche quel pronostico era stato smentito: Djokovic era tornato.

“Devo essere meno umile nel 2023: il 2022 mi dice che devo puntare ai grandi tornei, vincerli”. “Voglio rimanere sano e giocare al livello più alto”. Queste le dichiarazioni di Nole a dicembre, poco dopo la sesta vittoria alle ATP Finals che gli ha consentito di raggiungere Federer in testa alla classifica dei plurivincitori del torneo, pienamente in linea con la consapevolezza appena acquisita di essere di nuovo il giocatore da battere. Detto, fatto. Ed è così che a gennaio (aggiornando nel frattempo lo score vittorie-sconfitte dal giugno scorso ad un impressionante 35-1) ha realizzato il sogno sfumato lo scorso anno: ha conquistato il suo decimo Australian Open. Ed è tornato per la settima volta in testa alla classifica. La prima fu il 4 luglio 2011, dopo il suo primo successo a Wimbledon. Raggiunta Steffi Graf, come dicevamo, ma già certo di superarla. Il prossimo lunedì, infatti, il solo Alcaraz potrebbe eguagliare il suo punteggio nel ranking, vincendo questa settimana l’ATP 500 di Rio de Janeiro, ma Nole rimarrebbe comunque il n. 1 in quanto ha conquistato complessivamente più punti tra Slam, Masters 1000 Mandatory e ATP Finals. Tra qualche settimana molto probabilmente dovrà di nuovo abdicare, anche se la prossima facesse bottino pieno a Dubai, dato che i protocolli anti Covid USA non gli consentiranno di partecipare neanche quest’anno al “Sunshine Double”. Ma attenzione: da qui al Roland Garros (compreso), Alcaraz difende oltre 3.000 punti, Nadal poco più di 2.800 punti, Ruud e Tsitsipas circa 2.300, Nole invece meno di 2.000. E poi arriverà Wimbledon, stavolta con i punti in palio. Insomma, un Djokovic VIII e quota 400 settimane non sembrano proprio traguardi impossibili.
Concludiamo l’articolo riportando alcuni dati – anche aggiornando parte di quelli riportati di recente da Ferruccio Roberti nella sua rubrica “Numeri” – che certificano, al di là dei calcoli del computer ATP, di come il fuoriclasse serbo sia stato il n. 1 del tennis maschile di questi ultimi dodici anni. Diciamo dodici perché è vero che divenne n. 1 per la prima volta a metà 2011, ma la sua supremazia si delineò sin dall’inizio di quella stagione, dato che arrivò a Londra avendo già vinto l’Australian Open e 4 Masters 1000: dopo i Championship, il suo score stagionale fu di cinquanta vittorie ed una sola sconfitta, quella nella semifinale del Roland Garros contro Federer. A partire dal 2011 Djokovic ha vinto 21 dei 45 Slam (il 46,7%) e 33 dei 79 Masters 1000 (41,7%) a cui ha partecipato. In questo lasso temporale solo Nadal è riuscito a stargli (quasi) a ruota, grazie soprattutto al predominio sulla terra battuta: Rafa ha infatti vinto 13 Slam e 18 Masters 1000, di cui rispettivamente 9 e 13 sul mattone tritato. Molto più lontani gli altri due Fab Four, a partire da Sua Maestà Roger Federer che negli ultimi dodici anni ha vinto 4 Slam e 11 Masters 1000. Giusto evidenziare come il fenomeno di Basilea abbia scontato la differenza di età con i suoi grandi rivali: in quel 2011 Roger compì trent’anni, Djokovic 24 e Nadal 25. Per il coetaneo di Nole, Murray, 3 Slam e 8 Masters 1000, ma come già detto è stato competitivo al top per i primi cinque anni, fino al 2016. E tornando a parlare della prima posizione del ranking vera e propria, da quel 4 luglio 2011 Djokovic, come dicevamo, ha occupato la prima posizione del ranking ATP per 377 settimane, ovvero per il 64,3% del tempo (sono escluse dal calcolo le 22 settimane in cui il ranking fu congelato per la sospensione dell’attività a causa della pandemia). Gli altri lo seguono ben distanti: Nadal 107, Murray 41 e Federer 25.

Certo, la vittoria a Melbourne per quanto netta ha comunque fatto capire, visto il problema muscolare accusato alla coscia e risolto quasi miracolosamente (uno dei possibili argomenti della conferenza stampa indetta per oggi all’ora di pranzo a Belgrado, dato che aveva accennato a tale possibilità verso la fine dell’Australian Open; un altro potrebbe essere un aggiornamento sullo stato di avanzamento della sua richiesta di un permesso speciale per giocare tra due settimane negli USA), che neanche il fisico bionico di Djokovic può sfidare le leggi del tempo. E che i quasi 36 anni, le oltre 1.200 partite da professionista, i diciotto anni e mezzo nel circuito maggiore (l’esordio fu ad Umago nel 2004, perse al primo turno contro l’attuale capitano azzurro di Davis, Filippo Volandri), prima o poi presenteranno il conto anche a lui.
Anche se con tutte le volte che ci ha sorpreso in questi anni quasi quasi un piccolo dubbio viene… Viene quasi quasi da chiedersi, tra il serio e il faceto (del resto siamo a Carnevale, no?), se siamo proprio sicuri che tra tutto quello che Djokovic ha studiato, scoperto, fatto e utilizzato per prendersi cura del proprio corpo, sia dal punto di vista fisico che spirituale – la camera iperbarica, la dieta, lo yoga, la meditazione -, non ci sia anche lo specchio di Dorian Gray? E che magari lui abbia trovato il modo per renderlo infrangibile. Per continuare a riflettere quel sole che, probabilmente, vorrebbe non tramontasse mai.
Australian Open
Nei dintorni di Djokovic AO Edition: a Melbourne è l’ora del D10KO?
Per gli addetti ai lavori è Djokovic il grande favorito dello Slam di apertura della stagione 2023. Vediamo cosa fa pensare che assisteremo alla sua decima cavalcata trionfale a Melbourne e cosa invece può far dubitare che l’aggancio a Nadal a quota 22 Slam sia dietro l’angolo

Sono passati meno di due mesi dalle ATP Finals e ancor meno dalle fasi finali della Coppa Davis ed il tennis professionistico torna a fare sul serio: lunedì a Melbourne inizia il primo Slam stagionale, l’edizione n. 111 dell’Australian Open. E come si immaginava quando c’è stata la conferma della revoca del divieto di ingresso in Australia per tre anni comminatogli dopo quanto accaduto lo scorso anno, il grande favorito è Novak Djokovic. Il fuoriclasse serbo è a caccia del suo decimo Slam Down Under, che significherebbe agganciare Nadal a quota 22 nella classifica totali dei Major vinti e, tanto per non farsi mancare nulla, anche la riconquista – ne entrerebbe in possesso per la settima volta – di quello scettro di n. 1 mondiale che ha tenuto per più tempo di tutti (373 settimane). Ma quali sono i motivi principali che portano a ritenere il 35enne campione di Belgrado in grado di portare a termine l’ennesima impresa da record – il secondo tennista in campo maschile a raggiungere la doppia cifra nelle vittorie di un singolo Slam dopo Nadal al Roland Garros – e quali invece i segnali che portano invece a ipotizzare che ci sia la possibilità che i pronostici vengano sovvertiti? Abbiamo cercato di riassumerli qui di seguito.
I punti a favore
Sia parlando di dati statistici che di risultati recenti, i numeri sono dalla parte di Nole. Che si presenta ai nastri di partenza con una imbattibilità sui campi di Melbourne Park che dura dal 2019 (striscia di 27 vittorie consecutive: ultima sconfitta nel 2018, contro Chung negli ottavi), con tre vittorie nelle tre ultime partecipazioni, ed un parziale negli ultimi sette mesi di 30 vittorie ed una sola sconfitta (la finale del Masters 1000 di Bercy contro Rune) in match ufficiali. Ne dovrebbe derivare un serbatoio dell’autostima bello pieno, e sappiamo quanto conti per il belgradese poter approcciare un grande evento con la miglior attitudine mentale. Considerazione, quest’ultima, rafforzata dalle prestazioni della scorsa settimana ad Adelaide, che hanno evidenziato come anche tecnicamente e fisicamente la condizione del tennista serbo sia ottimale. Aggiungiamo il fatto che il lotto dei suoi principali competitors non è che invece se la passi benissimo: se ci focalizziamo sui più recenti campioni Slam, Alcaraz è fuori dai giochi, Nadal non ha brillato alla United Cup e le recenti dichiarazioni ottimistiche non possono dissipare i dubbi sul suo stato di forma, Medvedev in queste non ha dato segnali di essere tornato quello del biennio 2020-2021 e non la copia un po’ sbiadita vista all’opera lo scorso anno.
Anche il sorteggio pare sia stato benevolo con Nole. Non si vedono infatti grossi ostacoli sino ai quarti di finale, anche se la sfida a Carreño Busta a livello di ottavi evoca spiacevoli ricordi newyorchesi. Nei quarti invece qualche problemino – e ci mancherebbe altro, potrebbe dire qualcuno, dato che è uno Slam e siamo a livello di top ten – potrebbe arrivare. A rigor di classifica a procuraglieli dovrebbe essere il n. 6 del mondo Rublev, ma forse potrebbe averne qualcuno in più se dall’altra parte della rete trovasse quel Rune che è l’unico che può dire di averlo battuto da giugno a questa parte in un torneo ufficiale. E probabilmente sarebbero anche maggiori se invece ci fosse quel Kyrgios che il primo set della finale di Wimbledon glielo aveva portato via e che di fronte ai suoi connazionali trova sempre energie e soprattutto motivazioni extra. Ma un Nole che arriva alla seconda settimana senza aver speso troppe energie sotto il sole dell’estate australiana, e i suoi potenziali primi tre turni rendono l’ipotesi parecchio plausibile, dovrebbe essere nelle condizioni psicofisiche ottimali per tenere a bada tutti i nomi fatti, compreso il suo nuovo amico di Canberra. Anche i possibili incroci in semifinale non paiono ostacoli insormontabili: per quanto entrambi siano in evidente crescita, affrontare uno tra Ruud (anche se noi speriamo che da quello spicchio di tabellone salti fuori Berrettini) e Fritz – anche qui qualche doloroso ricordo, anche se tutto è bene quel che finisce bene – per arrivare alla trentatreesima finale Slam non è la peggiore delle combinazioni possibili.
In finale dovrebbe trovare uno tra – in ordine di ranking – Nadal, Tsitsipas (qui per Sinner vale ovviamente la stessa speranza espressa prima per Berrettini) o Medvedev. Con il maiorchino, al netto delle considerazioni precedenti sul suo stato di forma, al di fuori della terra battuta non perde da quasi 10 anni (finale US Open 2013) e nell’ultima sfida a Melbourne, la finale 2019, dominò. Con il greco non perde dal 2019 ed ha vinto gli ultimi sette head to head, comprese le due sfide Slam finite al quinto a Parigi. Con il russo c’è sicuramente la ferita della sconfitta subita nella finale dello US Open 2021 che ha fatto svanire il sogno del Grande Slam proprio sul traguardo, ma all’inizio di quell’anno un Nole non a corto di energie come a New York aveva vinto in tre set la finale australiana e abbiamo già detto che Daniil non sembra ancora uscito dal tunnel 2022, stagione che lo ha visto perdere tre sfide su tre contro Nole. Insomma, a questo punto, per mettere un po’ di pepe forse vale la pena inserire anche il nome di Auger-Aliassime tra quelli dei possibili finalisti, dato che prima o dopo ci arriverà e considerato il fatto che tra tutti i giocatori citati è l’unico insieme a Rune che è in parità negli scontri diretti con il fenomeno serbo, anche se solo grazie al fatto che la vittoria nella Laver Cup su un Djokovic acciaccato è calcolata nelle statistiche. Ma con FAA o senza, la sensazione è che la sostanza non cambi: chiunque si troverà di fronte in finale, il campione serbo partirà favorito.
I punti di attenzione
Insomma, tutto sta filando liscio e non ci sono dubbi che Nole metta nella bacheca del suo Novak Tennis Center di Belgrado l’ennesima riproduzione della coppa del vincitore dell’Australian Open? Keep calm, per dirla come gli australiani (a meno che nel loro tipico slang non abbiano un modo diverso per dirlo, ma non risultava). Al netto dell’ovvia considerazione che nello sport non è mai finita finché non è finita e che di clamorose eliminazioni dei grandi favoriti sono pieni gli annali, non è che proprio tutto stia filando liscio come l’olio in casa serba. Ci sono infatti dei segnali che possono dare un po’ di coraggio ai suoi avversari e che probabilmente si possono ricondurre tutti ad un’unica considerazione: nonostante in campo cerchi di non darlo a vedere (e gli riesce benissimo), Nole veleggia verso le 36 primavere. E per quanto appunto non abbia niente dell’agonista over 35, si può notare come qualche acciacco ogni tanto inizi a saltar fuori anche per lui. È successo sia la scorsa settimana durante il torneo di Adelaide, sia in questi giorni di allenamento a Melbourne. Niente di preoccupante, a suo dire. Ma come sappiamo che quando sente girare tutti gli ingranaggi alla perfezione Djokovic è in grado di trasformarsi in RoboNole e diventare pressoché imbattibile, dall’altra parte abbiamo anche visto che quando invece percepisce che qualcosa non va nel verso giusto la cosa può impattare sul suo approccio in campo e far intravedere qualche crepa nel suo gioco, in cui gli avversari più accorti possono infilarsi (ed è logico pensare a Nadal, anche solo ricordando la rimonta da 2-5 nel quarto set dei quarti dell’ultimo Roland Garros). Il nervosismo dimostrato nella finale di Adelaide ne è l’esempio più recente.
E non si può inoltre non osservare il fatto che comunque, anche se alla fine la vittoria la porta poi a casa praticamente sempre lui, Nole nell’arco di un match non appare più così dominante come in passato. Giocoforza, infatti, dopo vent’anni dalla prima partita da professionista – era il 6 gennaio 2003, perse al primo turno di un ITF in Germania – e oltre 1200 partite a livello ATP, l’intensità in campo non può più essere sempre quella di una volta: i momenti di pausa durante i match sono un pochino più frequenti, le chance non vengono sfruttate con la chirurgica lucidità di qualche anno fa. E anche se, soprattutto al meglio dei cinque set, la classe, l’esperienza e la forza mentale gli permettono di alzare il livello e fare ancora la differenza nei momenti decisivi di un match, far rimanere in partita avversari che spesso hanno dieci e più anni di meno e soprattutto non hanno telaio e motore usurati da centinaia di partite in più, può diventare estremamente pericoloso se la partita si allunga e il fisico diventa il fattore più rilevante, specie sotto il cocente sole australiano.
Conclusioni
Diciamo che se il fisico non lo tradisce, tutto fa pensare che sia l’ora del D10KO, se ci consentite di sintetizzare così, a mo’ di hashtag, l’obiettivo del fuoriclasse belgradese: la conquista della decima vittoria a Melbourne. L’unico appiglio per gli avversari è appunto il fatto che il tempo, citando Jovanotti, “comunque vadano le cose lui passa” e quindi ad un trentacinquenne può presentare il conto quando meno se lo aspetta. A proposito, com’è la statistica dei vincitori Slam over 35? Ah, già: Federer e Rosewall a quota tre vittorie, Nadal a due e Djokovic a una. Lo ammettiamo, non l’avevamo considerata nel fare le nostre riflessioni. Ma, tutto sommato, che rilevanza volete che abbia? Nole mica è il tipo che si pone sempre nuove sfide e trae energia dai nuovi obiettivi, come diventare non solo il giocatore con più vittorie Slam in assoluto ma anche da over 35, no?