Il giapponese senza biglietto

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Il giapponese senza biglietto

A ventisette anni Kei Nishikori viaggia nel pieno anonimato della sua posizione in top ten. Le opportunitài non mancano ma il nipponico continua a perdere le migliori occasioni della sua carriera

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Kei Nishikori è il frutto più pregiato del “Project 45”, il progetto giapponese che mirava a portare tra i primi quarantacinque del mondo un tennista nipponico. Perché 45? Semplicemente per migliorare il best ranking di Shuzo Matsuoka dell’ormai lontanissimo 1992. Kei è riuscito in tutto, anzi è andato oltre. Finale Slam a New York, qualificazione al Master di Londra, best ranking di numero quattro e undici titoli in carriera. Un tennista “arrivato” se guardiamo i numeri.

C’è però sempre quell’infida impressione di qualcosa di incompiuto. Sono infatti in tantissimi ad aspettarsi ancora il grande acuto da lui, acuto però che puntualmente viene meno. Certo ci sono undici titoli, con altrettante finali perse. Tra i successi ci sono cinque ATP 500 (2 Barcellona, 2 Tokyo e 1 Washington) e sei 250 (tra cui 4 Memphis). Nel 2016 è arrivato solo un trofeo con due finali nei 1000 (Miami e Canada). Numeri anche ambigui sotto certi aspetti perché nell’anno con meno titoli della carriera il nipponico ha trovato due finali in un 1000, più altre due finali in un 500. Quindi valutare se il 2016 sia stato il peggior anno per certi aspetti è anche difficile. Senza dubbio, allargando l’analisi a tutta la carriera, riscontriamo dei problemi nei momenti importanti. L’emblema è la finale di New York del 2014. Un Cilic spaziale, è vero, però un Nishikori per niente in grado di giocarsi quella che molto probabilmente è stata l’unica chance per l’immortalità.

Le finali nei 1000 le ha pur sempre perse da Djokovic, due, e da Nadal, una. Quella da Rafa inoltre alquanto sfortunata. Dire che meritava la vittoria è addirittura superfluo, parole dello stesso Zio Toni. Proprio quella finale però alimenta la leggenda del tennista incapace di vincere, di fare qual passo (a volte mezzo) in più per imporsi. Nishi sembra bloccarsi ogni volta che arriva il momento di dire “Oggi vinco io”. Non riesce a farlo nemmeno nelle settimane nelle quali gioca il suo miglior tennis. Ovvio, è un top ten fisso, e in quanto tale è capace di ottenere anche convincenti vittorie contro i suoi pari. 32 vittorie contro top ten non sono poche, nonostante le 53 sconfitte. Berdych per esempio ha 49 vittorie e ben 118 sconfitte, passivo molto più importante. Ovvio inoltre che un paragone col ceco, tirato in ballo non a caso, è più che calzante. Tomas ha numeri molto simili: 13 titoli in carriera, un Master 1000 vinto da giovanissimo e poi nulla più, una finale Slam con Nadal a Wimbledon nel 2010 e come Nishikori ha perso tre finali nei 1000. Insomma due carriere che viaggiano quasi in parallelo. Gli head to head fanno pendere l’ago della bilancia in favore dell’asiatico, 4-1 il parziale, mentre i risultati Slam avvantaggiano il ceco, almeno semi in tutte le prove oltre alla finale dell’All England Club.

A discolpa di Nishikori c’è pur sempre da ribadire che lui, come tanti altri, si trova a convivere nell’era dei quattro grandi dominatori del tennis. Quelli che hanno lasciato le briciole agli altri. Qualcuno però ha saputo prendersi le sue occasioni, su tutti Wawrinka ma forse l’elvetico ha anche qualcosa in più rispetto ai vari Nishikori, Raonic e soci. Lo stesso Milos, appena citato, aspetta ancora il suo primo Master 1000 e la sua vittoria più importante rimane una semifinale su (quel) Federer a Wimbledon. Briciole a parte Nishi non ha comunque mai raggiunto una semifinale negli Slam, esclusi gli Us Open del 2014. Qualche quarto e nulla più. A Wimbledon addirittura mai oltre il quarto turno anche se ha sempre beccato avversari difficili.

Adesso c’è da esprimere il giudizio finale. Stiamo parlando di un eterno incompiuto o semplicemente di un tennista che più di questo non può dare? L’ennesimo Berdych o un Wawrinka mancato? Le occasioni, come già detto, non sono mancate e qualche sconfitta ha deluso molto le aspettative su di lui. A gennaio del 2016, in Australia, tutti vogliono da lui la grande impresa contro Nole, assoluto dominatore del torneo. L’impresa non arriva ma nemmeno la prestazione. Nishi viene liquidato in tre parziali poco combattuti (vedere per credere). Altra delusione l’ottavo con Gasquet a Parigi, sempre nella passata stagione. La sconfitta con Sock di Indian Wells è indicativa, l’americano sarà stato anche in un gran momento di forma ma tra lui e Nishi c’è una categoria di differenza. Insomma sono tante le partite nelle quali avrebbe potuto fare di più e non solo per il mero andamento di un torneo ma più in generale per una carriera che non stenta a consacrarsi.

Nishi, infine, è un classe ’89, quasi ’90. Nato il 29 Dicembre. Ventisette anni nel tennis di adesso non sono tanti ma il suo gioco rimane comunque molto dispendioso e meno efficace se non si è al 100% della forma fisica. Quindi il passare degli anni inciderà sempre di più. Forse è ancora presto per escludere un grande acuto ma se lui stesso non prende coscienza del gap mentale coi più forti i treni continueranno a passare invano.

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