Tra Parigi e New York, sognando Wimbledon: solo un Oceano di differenze?

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Tra Parigi e New York, sognando Wimbledon: solo un Oceano di differenze?

Confronto da inviato tra Roland Garros e US Open, in attesa di Londra: pregi e difetti tra logistica, impianti, rapporto coi giocatori e cucina. Meglio i sofisticati francesi o i buontemponi americani?

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Quando vado a Wimbledon mi sembra di entrare in una chiesa, quando sono a Flushing Meadows è come essere ad una sagra paesana”. Così si espresse anni fa Rino Tommasi, per sottolineare l’abissale differenza di atmosfera che si respira tra due tornei dello Slam tra loro diversissimi: il Tempio sacro di Church Road e la chiassosa festa, tipicamente americana, dello US Open. Cogliamo questo spunto per tracciare un confronto, in termini di atmosfera e di organizzazione, tra lo Slam a stelle e strisce e il Roland Garros, forti dell’esperienza da inviati di Ubitennis a entrambi i tornei. Il punto di vista è dunque quello del giornalista, ma la speranza di questo articolo è fornire al lettore un quadro più ampio e completo delle diverse impostazioni date dagli organizzatori americani e francesi ai rispettivi Major.

Il rapporto con giocatori e giocatrici

Il rischio di cadere nei luoghi comuni è molto alto, ma l’immagine dell’americano alla buona, abiti extralarge, pacche sulle spalle e zero attenzione alla forma e quella del francese sofisticato, abito distinto e sguardo un po’ troppo sostenuto, sono utili a introdurre due modi molto differenti di gestire l’interazione tra giornalisti e giocatoriA New York chi gira con al collo il pass della stampa ha libero accesso a Players Garden e Players Lounge. Il primo è un semplice e gradevole angolo verde (situato all’ombra di una delle tante uscite dell’Arthur Ashe Stadium) con qualche panchina e un piccolo bar, dove i giocatori e i loro staff si concedono qualche momento di relax. Qui è possibile interloquire con loro e registrare le conversazioni.  Il secondo è un’area collocata al secondo piano dell’impianto Centrale, cui si accede entrando proprio dalla porta che dà sul Garden, dove i protagonisti della racchetta possono adagiarsi su comodi divani e guardare diverse TV che propongono i match in corso, piuttosto che confrontarsi con i coach o rilassarsi con parenti e amici. In questa zona i giornalisti hanno accesso senza però la possibilità di fare interviste. Dal punto di vista dell’inviato, si tratta di due aree molto proficue per ottenere dichiarazioni esclusive dei giocatori. Tennisti e tenniste, d’altro canto, oltre a sopportare il caos del pubblico a stelle e strisce (rumoroso durante i match quasi come fosse a una partita di baseball) si ritrovano a rispondere (o declinare) le domande della stampa anziché godersi qualche momento per staccare la spina.

A Parigi, al di là della disponibilità dei protagonisti incontrati tra un campo e l’altro, non sono previste modalità informali o improvvisate per le interviste. Oltre alle conferenze stampa post-partita, l’unica possibilità è richiedere al desk apposito un’intervista personale con il giocatore o la giocatrice richiesta. I tennisti meno aperti ed estroversi preferiranno sicuramente il Roland Garros, mentre non è possibile trovare un giornalista che affermi in buona fede di prediligere il rigore francese alle maggiori possibilità americane.

La Sala stampa e l’accesso alla Tribuna stampa del Centrale

Molto probabilmente, il miglior pregio del Roland Garros consiste nel fatto che dalla sala stampa, per sedersi in tribuna stampa a seguire i match sullo Chatrier sono sufficienti 20 secondi, ovvero il tempo di alzarsi dal proprio desk, fare due rapide rampe di scale e mostrare al responsabile accessi il regolare accredito stampa. A quel punto è possibile accomodarsi nel primo posto libero anche durante lo svolgimento del punto, dato che la distanza dal campo e l’entrata mascherata dalle tettoie che riparano dalla pioggia fanno sì che i giocatori non possano in alcun modo accorgersi né essere disturbati dal giornalista che si siede nei suoi posti. Tutto questo senza che le postazioni comportino problemi di visibilità: siamo piuttosto lontani dal rettangolo di gioco ma le dimensioni non enormi del Centrale e la totale assenza di ostacoli permette una visibilità ottimale. Semmai, per chi è più tecnico, la fruizione del gioco dal lato lungo del campo toglie qualcosa alla lettura tattica, che invece risulta ottimale dalla visione dal lato corto (è uno dei motivi per cui in TV le partite vengono sempre proposte dalle spalle di uno dei due giocatori, unitamente a un chiaro fattore di vicinanza al campo che permette di coprire – dal lato corto – tutto il rettangolo di gioco).

A differenza del Philippe Chatrier, lo spostamento dalla sala stampa alla tribuna stampa dell’Arthur Ashe è meno immediato. Una volta lasciata la postazione e aver attraversato l’intera sala stampa, si accede a un
ascensore (che comporta, visto il numero di persone, un’inevitabile attesa) o a una scala esterna che porta al piano da cui accedere alle tribune. Per raggiungere lo spicchio destinato alla stampa è però necessario, una volta mostrato l’accredito, fare una trentina di metri e poi attendere un break del match (ovvero una situazione di punteggio che veda un numero dispari di game disputati nel set in corso) per potersi sistemare senza interferire col gioco. Non si tratta di un difetto del Centrale degli US Open, piuttosto è il Centrale del Roland Garros che costituisce un’eccezione virtuosa, essendo probabilmente l’unico impianto di un torneo di grande livello e affluenza che permette la sistemazione a scambio in corso. Basti pensare a Wimbledon, dove l’area dedicata alla stampa (sala stampa e camere delle conferenze stampa) è allocata in una zona che permette di raggiungere senza troppa difficoltà praticamente tutti i campi, ma non è ubicata all’interno dell’impianto del Centrale, come invece avviene sia per l’Arthur Ashe sia per il Philippe Chatrier.

La transportation dalla propria sistemazione all’impianto

Da tre diversi punti di Manhattan (uno dei quali nei pressi della famosa stazione del Grand Central Terminal), l’organizzazione dello Slam americano (ovvero la USTA, la federazione tennis a stelle e strisce) mette a disposizione di tutti i giornalisti accreditati un bus ogni mezz’ora che garantisce il trasporto dal centro di New York fino a Flushing Meadows. È sufficiente mostrare l’accredito stampa per salire a bordo e arrivare comodamente. A Parigi, un servizio del genere è previsto ma con stringenti restrizioni. Così come avviene negli USA, la federazione francese stipula delle convenzioni con alcuni alberghi, ma nella capitale francese l’accesso alle navette dell’organizzazione è riservato solo a chi alloggia negli alberghi stessi. Chi opta per altre sistemazioni, come un appartamento in affitto da condividere, non ha diritto al trasporto gratuito per Porte d’Auteuil e a nulla serve esibire l’accredito stampa. Dover provvedere in autonomia a raggiungere il Roland Garros per 14 giorni, con relativo giro di ritorno quotidiano, non è cosa da poco in termini economici e logistici. Ricorrere alla metropolitana può comportare cambi, tempo e fatica e cominciare la giornata di cronache sotto il sole in uno stato già ampiamente trafelato non è l’ideale se deve ripetersi per tutta la durata del torneo. L’alternativa di due corse in taxi (o coi mezzi di Uber) al giorno per due settimane di torneo è affrontabile solo se ogni tratta è condivisa in almeno tre persone, con la necessità di sincronizzare i ritorni a fronte di impegni diversi (non sempre ci si può organizzare tra inviati di Ubitennis, fare di necessità virtù porta a fraternizzare e condividere il tetto con i colleghi della concorrenza, che possono scalpitare per andare a casa prima o più semplicemente hanno piani diversi per la cena). Da questo punto di vista il paragone non regge e va nettamente a favore degli US Open.

Le distanze da coprire e le gimkane tra gli appassionati

Il tempo passato in Sala stampa, alle Conferenze stampa dei giocatori oppure sulle tribune del campo Centrale per seguire dal vivo i match più importanti è certamente maggioritario, ma l’inviato a un torneo che dura due settimane e si svolge su quasi venti campi non può certo permettersi di rinunciare agli altri courts, dal secondo per importanza (il Louis Armstrong a New York, il Suzanne Lenglen a Parigi) a quello più periferico. Se stiamo seguendo l’esordio di Stefano Napolitano al Roland Garros  sul campo 16 o quello di Thomas Fabbiano agli US Open dal campo 15, l’obiettivo al termine del match (o qualche istante prima, per guadagnare tempo) è raggiungere la Sala stampa nel minor tempo possibile per mettere insieme la cronaca del match già appuntata sul block notes o sullo smartphone, allo scopo di pubblicarla quasi in tempo reale. Impresa non banale se tra i campi più periferici e il proprio desk ci sono lunghe strade e moltissimi tifosi. Difficile esprimere una preferenza tra Flushing Meadows e Porte d’Auteuil. A New York il Billie Jean King National Tennis Center si estende su uno spazio enorme, così dai campi più lontani è necessario avere doti da fondista per raggiungere celermente la Sala Stampa e procedere senza dover riprendere fiato al racconto del match. A Parigi il Roland Garros ha definitivamente previsto dal 2020 una significativa estensione, ma al momento è raccolto in uno spazio molto limitato per ospitare uno Slam. Il risultato è che non ci sono grandi distanze da coprire, ma il muro umano contro il quale si rischia continuamente d’infrangersi rende ugualmente difficile raggiungere il proprio pc in tempi rapidi. Qui le doti sportive più utili sarebbero quelle di un campione di Slalom Speciale come Alberto Tomba.

Il ristorante dei giornalisti

Premessa doverosa: tracciare un paragone sui pasti offerti agli US Open e al Roland Garros è piuttosto improprio per via del diversa durata della giornata. A Porte d’Auteuil si gioca dalle 11 fino al calare del sole (ossia non prima delle 21,30), mentre a Flushing Meadows è prevista la sessione serale e le partite non terminano prima dell’1 di notte. Per questo motivo, l’organizzazione francese mette a disposizione della stampa una diaria di 10 euro da spendere all’ora di pranzo (anche se il ristorante riapre alle 18), mentre gli americani offrono 20 dollari che possono essere spalmati su due pasti, tra colazione, pranzo e cena. In nessuno dei due casi la quota è sufficiente per coprire la giornata, ma l’aiuto offerto è certamente apprezzabile. Più interessante è la differenza culturale che si riflette nei piatti e nei costi.
A Parigi i francesi mettono in campo tutta la loro tracotanza, nel bene e nel male. Il bene consiste nella qualità offerta: da entrecote di buon livello ad andouillette tipiche della cucina francese (trattasi di saporitissima salsicce d’interiora di maiale cotte nel vino e servita con patate fritte: una sorta di sanguinaccio elegante…), passando per qualche piatto di pesce non certo trascendentale ma necessario per non contrarre una forma di gotta… Il male si esplica nel costo del solo piatto principale, equiparabile a un secondo e un contorno: 11 euro, che comporta la simpatica estorsione dell’euro mancante dal borsellino, cui eventualmente aggiungere un dolcetto molto parco nelle dimensioni dal prezzo non inferiore ai 3,5 euro. A New York il ristorante è aperto dalle 9 alle 22 e offre al mattino i rinomati bagel e le ciambelle americane più classiche che ci siano, ricchissime di quella glassa di diversi colori che difficilmente si sposa con una dieta attenta agli zuccheri. Dalle 11:30 in poi il pranzo e la cena ripropongono le stesse cose ed è necessario fare molta attenzione per evitare di terminare l’avventura con una ventina di hamburger all’attivo. I salutisti possono comunque tranquillizzarsi: in alternativa all’hamburger si può ricorrere al sempre freschissimo pulled pork, un gustoso intingolo di carne di maiale sfilacciata…

Insomma, un doppio viaggio in due tra i quattro tornei più importanti del mondo per arrivare all’imprevedibilissima conclusione che qualunque confronto tra un torneo americano e uno francese risulta semplicemente impossibile…

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