Il video di Ubaldo: il gran giorno di Sloane Stephens
Il video di Ubaldo (in inglese) con Steve Flink
(dal nostro inviato a New York)
Un po’ come era successo a Roger Federer, super-favorito a Wimbledon (torneo in cui peraltro lo svizzero aveva superato avversari ben più quotati, Dimitrov n°11, Raonic n°7, Berdych n°15 e alla fine l’acciaccato Cilic n°6), è da venerdì sera che l’intero mondo del tennis ha già attribuito a Rafa Nadal il titolo dello US Open 2017. Il percorso dello spagnolo verso la finale è stato a dir poco agevole, non certo per colpa sua, il migliore affrontato in termini di classifica sarà proprio il giocatore che lo attende all’atto conclusivo, Kevin Anderson, 21 ATP. Per il resto, solo tennisti abbondantemente oltre la cinquantesima posizione ATP, a parte lo sfinito del Potro (28) trovato in semifinale. E quando tutti, ma proprio tutti, dagli opinionisti agli addetti ai lavori, ti dicono che hai già vinto, certamente la cosa fastidio non dà, ma potenzialmente la situazione psicologica può farsi molto insidiosa.
Rafa, a parte lo strapotere esibito su terra rossa, quest’anno ha perso spesso e volentieri su cemento ed erba, non appena ha trovato dall’altra parte della rete gente capace di sfruttare le sue oggettive (e relative, sempre del grande Nadal stiamo parlando) carenze tecnico-tattiche, su tutte l’inspiegabile, e a tratti ottusa, propensione a rispondere a qualsiasi servizio un minimo incisivo stando in braccio ai giudici di linea. Lo ha fatto anche ieri sera con del Potro. Basti vedere gli scherzetti che gli hanno combinato Gilles Muller a Wimbledon e Denis Shapovalov a Montreal, per esempio, giocatori ottimi ma non fenomeni (“El Shapo” non ancora, almeno), che hanno potuto regolarmente aggredirlo con il secondo colpo dietro alla battuta senza problemi.
Ora, se c’è una cosa che il nostro amico sudafricano Kevin sa fare molto, molto bene, è proprio l’aggressione con l’uno-due a seguito dei suoi potentissimi e carichi servizi, a mio avviso superiori a quelli che è in grado di sferrare del Potro, per dire. Qualche numero al riguardo: la tabella dei “Tournament Stats Leaders“, alla vigilia della finale, vede Anderson in testa o quasi con tutti i parametri, dal numero degli ace (114), a quello della percentuale di prime in campo (66%), ai punti realizzati quando la suddetta prima è entrata (83%), fino a quelli fatti con la seconda (57%). Il dato che più impressiona, però, è un clamoroso 48% di “unreturned serves” totali, ovvero, praticamente una volta su due, che fosse prima o seconda, la palla non è proprio ritornata nel campo di Kevin. Tanta roba, davvero.
Sono andato da Anderson al “practice court 1”, oggi pomeriggio: finalista a sorpresa o meno, era interessante valutarlo da vicino. Vediamo un po’ questo grande servizio.
Qui sopra, il caricamento, bella l’azione delle gambe a partire da quella posteriore, lancio perfetto, in linea con la spalla destra, tutto molto composto e anche da impressione visiva, controllato. Sono cose fondamentali per ottenere percentuale.
Qui sopra, l’impatto, da notare la perfezione dello “sweet spot” preso da Kevin, il punto di contatto della palla sulle corde, giustamente al centro esatto e leggermente verso la testa della racchetta. Più pieno di così non si può. Decisa e rapidissima, poi, la pronazione del polso sull’avambraccio, si vede bene osservando il percorso della testa della racchetta la violenta martellata piatta appena sferrata, qui ha tirato un ace alla “T” centrale da destra.
Qui sopra, uno dei tremendi “kick” da sinistra che molla Kevin soprattutto con i secondi servizi, possiamo vedere bene come ha sviluppato la rotazione verso l’alto-esterno osservando come la pronazione finale porta la racchetta a spazzolare la palla verso destra prima di chiudresi in basso, è evidentissimo se confrontiamo le immagini con quelle della botta piatta più su.
In definitiva, uno dei servizi migliori in assoluto del circuito, per rendimento e continuità. Ma come detto, il tennis di Kevin non si limita di certo a delle grandi battute, come ci raccontava l’allenatore di Paolo Lorenzi (sconfitto da Anderson negli ottavi di finale), Claudio Galoppini: “il problema è che anche se gli rispondi, e inizi lo scambio, questo tira fortissimo di dritto e rovescio, e sbaglia poco“. Se si aggiunge un’ottima qualità di palleggio e spinta da fondo a tali efficacissimi servizi, per gli avversari si fa dura, e i motivi tecnici del grande risultato fin qui ottenuto iniziano a essere comprensibili. Diamo un’occhiata nel dettaglio ai fondamentali di Kevin.
Qui sopra, dritto e rovescio bassi, pochi fronzoli e movimenti di caricamento perfetti, essenziali, scolastici. Eseguiti però con potenza e velocità di braccio notevolissime, dal punto di vista tecnico sono dei gesti esemplari.
Qui sopra, il colpo offensivo migliore di kevin, lo sventaglio di dritto, eseguito in questo caso partendo da una neutral stance (postura affiancata rispetto alla palla), con caricamento sul piede sinistro. Molto bella la proiezione dinamica verso il colpo che vediamo ben evidenziata dal frame di destra, con la gamba posteriore che sale a compensare la sbracciata in avanti, mantenendo così il controllo dell’equilibrio. Sempre perfetto.
Qui sopra, infine, ancora sventaglione di dritto a chiudere, stavolta partendo dalla open stance (postura frontale), ormai la disinvoltura nel caricare il “drive” a partire da differenti posizioni dei piedi in relazione alla palla è un’abilità che a questi livelli hanno sviluppato quasi tutti. Palla comoda, si va frontali, per la maggiore spinta e soprattutto top-spin che è possibile generare con l’ausilio dell’ingresso dell’anca. Palla da aggredire in avanzamento, si affonda in dinamica il piede sinistro, di fianco, in modo più “classico”. Questa duttilità, inoltre, è utilissima per “mischiare le carte” a chi si difende, rendendo meno leggibili le traiettorie. Notevole la potenza dello swing, ben evidenziata dal frame sotto, si vede molto bene l’ingresso dell’anca e la torsione del busto spalle, con l’atleta che va in sospensione decollando dietro la spinta del piede destro.
Concludendo, l’amico Kevin, oltre a essere il più alto giocatore in finale di uno Slam, con i suoi 202 centimetri, oltre all’ovvio devastante servizio facilitato dall’altezza, e per di più eseguito con tecnica eccellente come abbiamo visto, è pure un tipo che se c’è da fare a pallate da fondocampo non si tira certo indietro, si muove bene, e può essere pericolosissimo. Rafa Nadal è favorito, ma favorito, ma così tanto favorito, che se dovesse incepparsi qualcosa nella sceneggiatura già scritta, chissà, magari un paio di tie-break che vanno storti, o uno schema di gioco che non funziona come dovrebbe (per esempio, Kevin ha un ottimo rovescio bimane, e a giocatori di quell’altezza il top spin di Rafa in diagonale fa il solletico, come ha dimostrato anche del Potro venerdì, nonostante le sue insicurezze dal lato sinistro), beh, il contraccolpo psicologico potrebbe essere importante.
D’altro canto, se c’è uno che può essere definito un “fighter” che non molla mai, neanche in situazioni disperate, e spesso le ribalta, quello è Nadal. Per noi che ce la vedremo, qui a Flushing Meadows o in televisione, la speranza è che le gran qualità mostrate da Kevin, appena analizzate insieme, ci permettano quantomeno di avere una bella partita.