La stagione estiva si preannunciava favorevole, ma i talenti della nuova generazione non si sono fatti trovare pronti. L’affermazione può apparire paradossale, considerando che Alexander Zverev ha conquistato nel giro di due settimane il suo primo titolo ATP 500 (Washington) e il secondo Masters 1000 (Montreal), a distanza di tre mesi dal successo di Roma. Tuttavia il tedesco, al di là dei passaggi a vuoto che puntualmente hanno seguito le vittorie nei Masters (vedi Roland Garros e US Open), non può più essere considerato rappresentativo di questo magma che, nostro malgrado, chiamiamo Next Gen. Non può più esserlo neppure sul piano formale: lo attendono infatti le finali di Londra, la vera Masters Cup.
Gli altri, in larga parte, non hanno sfruttato le molteplici occasioni che gli si sono presentate. Ciò vale in particolare per gli appuntamenti minori del calendario estivo: quando i più forti recuperano energie in vista dei due Masters di preparazione allo US Open, e tutti gli altri si dividono fra i tornei europei sulla terra rossa e quelli sul cemento americano. È in queste “stagioni di mezzo” che normalmente si esaltano i giocatori di seconda fascia, e ci si aspetta l’exploit dei più giovani. Così però non è stato, neppure sulla superficie sulla carta più congeniale alla Next Gen, il cemento. Ad Atlanta, Los Cabos e Winston-Salem la nuova generazione non ha brillato.
A deludere sono stati soprattutto gli statunitensi, su cui in tanti avevano puntato nei mesi scorsi. A cominciare da Opelka, involuto al punto da precipitare alla 180° posizione del ranking. Anche Escobedo, il messicano-statunitense dal dritto pesante, ultimamente sembra essersi perso. Le numerose sconfitte subite in questi mesi hanno poco a che fare con le lacune tecniche, derivando principalmente da una scarsa capacità di gestire i match dal punto di vista mentale. Tanti i punti gettati al vento, le scelte tattiche avventate, campanelli d’allarme che erano risuonati già a livello Challenger, prima del grande salto nella top 100, ma che a questo livello assumono un peso specifico diverso. Stesso discorso, nonostante i segnali incoraggianti durante la stagione sull’erba, vale per Kozlov, forse il più cristallino dei talenti statunitensi.
Anche Tiafoe è in crisi di risultati, ma la sua è una situazione diversa, più incoraggiante. Ancora in primavera, nonostante l’ottimo ranking, il talento di Boca Raton disputava tornei Challenger. Una scelta accorta che gli ha consentito di portare a casa due titoli consecutivi (Aix en Provence e Sarasota), punti preziosi per il ranking e soprattutto la consapevolezza dell’avvenuto salto di qualità. Da quel momento Tiafoe ha optato esclusivamente per il circuito maggiore, collezionando però sette eliminazioni al primo turno – compresa quella al primo turno di qualificazione a Wimbledon – su nove tornei disputati. Alcune sconfitte, come quella di Atlanta con Millman, devono avergli lasciato l’amaro in bocca, altre invece sono il frutto di crudeli sorteggi. Come la sconfitta con Federer al primo turno di Flushing Meadows, partita nella quale Tiafoe non ha però mancato di mostrare, una volta di più, quanto sia in grado di innalzare la qualità del gioco quando ha di fronte grandi avversari.
Gli unici a distinguersi nel panorama della nuova generazione statunitense sono stati Donaldson, Paul e Eubanks, il ventunenne nativo della capitale della Georgia, formato nel circuito universitario e che finora ha giocato quasi esclusivamente a livello Futures. Quest’anno, all’improvviso, si è aggregato all’ampia schiera di talenti classe ’96 e più giovani su cui il tennis statunitense oggi punta. Nonostante le buone impressioni e i quarti di finale di Atlanta, la sua consistenza nel circuito maggiore deve essere ancora testata. Donaldson è fra i meno titolati della Next Gen statunitense (un Challenger in carriera), ma è un tennista solido, nonché il più continuo nel rendimento. Il ventenne di Providence, con i quarti di finale centrati a Cincinnati ha raggiunto il suo best ranking (51) ed è attualmente l’unico statunitense a occupare una posizione utile per le finali di Milano. Infine Paul, che grazie ai quarti di finale raggiunti ad Atlanta e Washington ha ricevuto una wild card per il tabellone principale dello US Open, salvo essere subito eliminato, contro pronostico, da Taro.
A salvare l’immagine della Next Gen, in questa estate fumosa, sono stati Rublev e Shapovalov. Entrambi, peraltro, si erano messi in luce nel corso della stagione sull’erba. Rublev ad Halle, il canadese al Queen’s dove, nello scontro perso con Berdych, aveva fatto intendere di potersi lasciare definitivamente alle spalle l’universo Challenger. Nel prosieguo della stagione estiva i due tennisti, pur avendo seguito strade diverse, si sono confermati: Shapovalov vincendo un altro titolo challenger e sfruttando come meglio non si potesse la wild card offertagli alla Rogers Cup; Rublev, vero tennista “polivalente”, ha scelto invece il rosso. E la scelta ha premiato. A Umago è infatti arrivato il primo titolo ATP 250. Sulla terra rossa il resto della Next Gen non si è quasi visto. Ofner ha disputato brillantemente il torneo di casa, Kitzbühel, raggiungendo le semifinali; Khachanov ha raggiunto i quarti di finale ad Amburgo e i fratelli Ymer, come da tradizione, hanno tentato la fortuna a Bastad, ma sono stati entrambi eliminati al primo turno. Fatta eccezione per le wild card di Polmans a Umago e di Bellier a Gstaad, più nessun altro della Next Gen nei tabelloni principali dei tornei estivi sul rosso.
Sulle qualità del tennis di Shapovalov molto è stato scritto e non vale qui la pena soffermarsi. È però il caso di notare che il ragazzo, che ha seguito un percorso di crescita originale, è solo l’esponente di punta del giovane tennis canadese, ovvero di un modello di lavoro e di organizzazione che sta dando i suoi frutti, come dimostrano i risultati di Auger-Aliassime – che proprio qualche giorno fa ha vinto il suo secondo trofeo Challenger – e quelli in ambito femminile di Abanda e Andreescu. Una plastica manifestazione del momento di grazia di Shapovalov – in contrapposizione alla stagione opaca della Next Gen – si è avuta proprio allo US Open.
Alle qualificazioni di Flushing Meadows, infatti, i tennisti classe ’96 e più giovani erano presenti in 22: Auger Aliassime, Berrettini, Blumberg, Bonzi, Bublik, Garin, Halys, Janvier, Kozlov, Kwon, Lee, Mmoh, Mott, Ofner, Opelka, Polmans, Popko, Rubin, Ruud, Santillan, Shapovalov, Tsitsipas. Soltanto uno è riuscito a qualificarsi: Shapovalov, appunto.
Esprimere un giudizio sommario, facendo della Next Gen un gran calderone, sarebbe senza dubbio sbagliato. Perché alcuni sono giovanissimi, addirittura alla prima esperienza alle qualificazioni di un torneo dello Slam. Però va detto che altri avevano tutte le carte per accedere al main draw. Se è comprensibile che Auger-Aliassime, a diciassette anni, non riesca a superare un avversario più esperto e ostico su queste superfici come Stakhovsky, lo è meno che Halys non riesca a strappare un set a Smyczek, solo per citare uno dei tennisti della Next Gen chiamati da qualche tempo (e giustamente) al salto di qualità. Così come Bublik e Santillan, sconfitti dai due classe ’95 Norrie e JC Aragone, lo statunitense nativo di Buenos Aires che nei turni precedenti aveva sconfitto gli italiani Cecchinato e Bellotti.
Volgendo lo sguardo al tabellone principale, sono stati sempre Rublev e Shapovalov a rappresentare egregiamente la nuova generazione, camuffandone così i resti di una stagione inconsistente. Del canadese ha impressionato il dinamismo in campo, ma anche la caparbietà nell’affrontare avversari superiori. Il suo tabellone, per giunta, era di quelli complicati. Prima Medvedev, che in questa stagione va a corrente alternata e al momento occupa la settima posizione della Race, cioè la penultima utile per accedere alle finali di Milano (dato che Zverev è qualificato per Londra); poi Tsonga, quindi Edmund, che veniva da risultati positivi sulla superficie, per terminare la corsa con Carreno Busta, vincitore di un triplo tie-break: circostanza da qualcuno indicata a prova di una presunta fragilità mentale di Shapovalov, che non trova però alcun riscontro nella recente storia del canadese. Altrettanto entusiasmante il percorso di Rublev, capace di dare un doppio 3-0 a Dimitrov e Goffin, prima di terminare la sua corsa ai quarti di finale con il futuro vincitore del torneo.
Otto i Next Gen eliminati al primo turno dello US Open, in maggioranza statunitensi. Particolarmente pesanti, per come sono arrivate, le eliminazioni di Khachanov e Kokkinakis. La stagione del russo sul cemento non è mai iniziata. Dopo gli ottimi risultati sul rosso e (persino) sull’erba, che ne hanno consolidato l’attuale terza posizione nella Race, Khachanov ha perso al primo turno a Toronto (Carreno Busta), al terzo turno a Cincinnati (Sugita), quindi al primo turno a Flushing Meadows. Sorprendente anche l’eliminazione di Kokkinakis, in vantaggio di due set su Tipsarevic. Saranno la stagione asiatica e quella indoor a decretare la griglia di partenza per le finali di Milano, che allo stato attuale sembra piuttosto definita. Teoricamente le posizioni 6, 7 e 8, occupate rispettivamente da Donaldson, Medvedev e Chung sono contendibili, ma occorre che i pretendenti alle loro spalle (Tiafoe, Escobedo e Fritz) raggiungano un risultato di rilievo nelle prossime uscite.
Parentesi volti nuovi e tennisti in crescita. Merita seguire Yibing Wu, 17 anni, vincitore dello US Open Juniores, che in questi giorni si sta mettendo in luce al Challenger di Shanghai, dove ha raggiunto la semifinale. Fra una citazione di Brel e una di Prévert sta crescendo anche Corentin Moutet, diciottenne, talento purissimo. Staccatosi ormai dal circuito Futures, Moutet nelle ultime due settimane ha raggiunto la semifinale nei Challenger di Como e Siviglia. Attualmente è n. 250 del ranking, e il primo titolo a questo livello potrebbe non tardare. Titolo che invece è finalmente arrivato, al terzo colpo, per Tsitsipas.