Ritratti: il tennis sinistro

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Ritratti: il tennis sinistro

Perché a destra è tutto bello e giusto, ma il mancino ha un potere magnetico. Da McEnroe a Nadal, per arrivare (forse) a Shapovalov

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Il 10 marzo 1973 negli Stati Uniti e il 23 dello stesso mese e anno nel Regno Unito, viene pubblicato The Dark Side of The Moon dei Pink Floyd, disco che sarebbe risultato uno dei più venduti e longevi della storia del rock e dintorni, mai uscito dalle classifica in molti Paesi. Registrato in due sessioni negli Abbey Road Studios di Londra, il disco ha un tema unico ed è il lato oscuro della personalità umana ovvero la sua lunaticità. La luna, se la si guarda frontalmente, ha anche un lato destro e uno sinistro. Al lato sinistro delle cose normalmente si assegna un significato sempre riconducibile al “negativo”. La mano sbagliata è la sinistra, right in inglese significa “giusto” ed è il contrario di left. Una corrente filosofica, ribelle al pensiero che l’aveva generata e rivoluzionaria in campo politico venne chiamata “sinistra” in contrapposizione alla destra che ne sanciva i valori. Come molti padri del pensiero, anche Hegel, aveva dato i natali ad un figlio e al suo carnefice. L’Ufficio Sinistri è dove lavorava il Ragionier Fantozzi, per sinistro si intende un incidente stradale, le cose buone sono sempre in fondo a destra. Destreggiarsi è far le cose per bene.

Il mancinismo, ovvero la tendenza a fare tutto col lato sinistro del corpo. Contrastato per anni, simbolo di presenza demoniaca. Se il diavolo facesse sport, lo farebbe da mancino. Nello sport il mancino entra nella guardia avversaria, schiaccia dal lato opposto, dribbla dal lato contrario e quello che è di diritto va a rovescio. Un mancino girerebbe anche in pista in senso antiorario se lo si lasciasse fare, ma probabilmente la gara terminerebbe dopo quasi un giro per estinzione da sinistro del resto delle auto che girano in senso orario e quindi non glielo si fa fare. Nello sport il mancino è sintomo di segnali sinistri per chi lo affronta. Non è semplice fare il contrario di quello per cui ci si allena. Il cervello non controlla immediatamente l’inversione dell’automatismo, pur registrandola. La storia dello sport è piena di grandi mancini.

Dove è palese come in poche altre discipline sportive, la differenza tra destrorso e mancino è però nel tennis. Prendi un bambino mancino, fallo colpire di diritto e vedrai che dopo un po’ inizierà a tirare dei cross stretti con traiettoria arcuata a banana. Prendi un bambino mancino, insegnagli il servizio e vedrai che servirà naturalmente da sinistra con rotazione ad uscire stretta alta sul rovescio dell’avversario con immancabile traiettoria arcuata a banana. Entrambe palle che finiranno sul rovescio di un destro aggiungendo al danno della mancata abitudine a questo tipo di traiettoria e rotazione, la beffa poiché si fronteggia il winner dell’avversario dal lato difensivo solitamente più debole. Un destro, traiettorie simili speculari non le fa nemmeno con ore ed ore di allenamento. Pero’ se prova ad impugnare con la mano sinistra e colpire, resterà strabiliato da quello che verrà fuori. Toni Nadal era talmente sicuro di questo, che convinse il nipotino Rafa, destro naturale, ad impugnare la racchetta con la sinistra.

Che il cuore più spostato verso sinistra disegni traiettorie di un amore perverso? Non sono forse l’istinto, il sogno, l’arte, la musica, il senso del mistico e del sacro, l’interpretazione di spazi e volumi, di competenza dell’emisfero destro del cervello che è quello che comanda il lato sinistro? Che davvero la possessione diabolica sia concentrata nell’emisfero cerebrale destro e di conseguenza nel lato sinistro del corpo? La passione demoniaca di un generatore di diverse forme mistico-artistiche applicata al tennis è stato John Patrick McEnroe. Viso paffuto, riccioli, espressione imbronciata, capricciosa, a soli 17 anni dalle qualificazioni arriva fino alle semifinali a Wimbledon. Un genio mai visto prima in un campo da tennis con delle movenze e meccaniche uniche e personali, a partire da un movimento del servizio col busto parallelo alla rete e relativa (con)torsione per colpire la palla, corsa a rete a stilettare una prima lunga volée doppiata da una seconda di tocco. Il manuale del perfetto artista del serve & volley. Fondamentali da fondo campo ancor più diabolici. 

La racchetta a fare un tutt’uno col braccio per finire a diventar simile ad una mano che impugna un mestolo, aperture pari allo zero, traiettorie contrarie alle leggi della fisica, angoli pensati da un architetto ubriaco, palla colpita perennemente di mezzo volo, una delicatezza di tocco ed una sensibilità alla quale nulla è impossibile. Testa della racchetta sempre bassa e che inizino i magheggi. “The Genius” lo chiamarono, sinistro non solo nella mano ma anche nella testa. Le sue sfuriate non furono meno geniali delle sue giocate. “You Cannot Be Serious” urlato una volta in faccia ad un arbitro, sta al tennis come “mi illumino di immenso” alla poesia italiana. McEnroe fu per 4 anni il re pressoché assoluto del circuito, finché l’affermarsi dei mid size in graphite e relativa evoluzione, portò dietro di sé un aumento della fisicità nel tennis dove solo genio e colpi satanici non bastavano più. McEnroe non poteva avere cloni o far scuola, per il suo modo personalissimo di giocare, colpire ed inventare tennis. Eppure c’è stato il McEnrore delle Puglie, Gianluca Pozzi, che ne imitò movenze, tecnica e modello di racchetta, oltre ad una serie di amatori di tutto il mondo che ancora hanno polso infiammato, schiena e articolazioni bloccate e record di steccate, per provare a riprodurne colpi e movimenti del servizio.

In principio però fu Laver. Il suo polso sinistro era stato davvero rubato in paradiso da Lucifero al momento della caduta agli inferi e lì rafforzato col ferro e fuoco. Gioco dalle rotazione ed angolazioni impensate per gli attrezzi in uso in quegli anni, impeccabile nel gioco a rete e rovescio letale a finire il punto e l’avversario. Rod The Rocket, lo spara razzi, uno dei tre candidati ad essere considerato il tennista più forte di tutti i tempi, il primo a rendere noto al mondo l’essere diabolico che si annida in un tennista mancino.

Il genio di McEnroe in campo femminile lo ebbe Hana Mandlikova, però destra. L’ineguagliabile Navratilova no, era mancina e bene come lei a tennis, non ci ha mai giocato nessuna. La più grande giocatrice di singolo, doppio e doppio misto mai esistita, ebbe a dire di lei Billy Jean King. Martina Navratilova resta il personaggio del tennis femminile più famoso di sempre per le sue vicende personali e per quanto fatto vedere in campo, oltre ad essere l’unico essere umano ad aver vinto 59 prove di Slam tra singolare, doppio e doppio misto, di cui l’ultimo a quasi 50 anni. La sua volée di rovescio troverebbe degna collocazione nei musei del mondo. Un gesto sportivo sa anche essere un’opera d’arte.

Henry Leconte, uno dei talenti più assoluti della storia del tennis. Mancino folle inventore di colpi dello stesso lignaggio di McEnroe,  pari gli fu quasi in tutto, superandolo solo nella velocità di braccio da numero 1 “all time” e nell’incostanza. Leconte, amante della giocata bella ed impossibile da disdegnarne quelle facili, capace di alternare mirabilie da trattato sull’LSD di Timothy Leary ad altre da torneo di ferragosto del villaggio turistico, per poi all’improvviso inventare il colpo del secolo e non metterne mezza per i successivi 15 minuti. Riton, come lo chiamavano in patria, ha fatto impazzire gli appassionati, ma soprattutto i francesi, conservando per loro la sua migliore recita nella finale di Davis vinta nel 1991, dove ha sommerso Sampras di pallate e magie di ogni tipo sparse tra poche nefandezze.

La Francia ha avuto altri due grandi mancini nella sua storia recente. Guy Forget, compagno di merende e di doppio di Leconte e Noah, tennista dall’immensa eleganza, colpi tipici del mancino, gran servizio e gioco di volo e Michael Llodra, fantasista dal tennis classico, gioiello raro in un momento in cui tutto stava per appiattirsi sul modello “corri carica e tira solo di diritto che del rovescio non vi è pesantezza”, della scuola spagnola. La Spagna, causa di tanto abbrutimento, conta però due eccezioni come a volersi far perdonare, entrambe mancine. La prima ha la bellezza classica del volto, fisico e gesti di Feliciano Lopez, specialista del serve & volley e tra i tennisti più amati di sempre dalle donne; l’altra Rafa Nadal, di nascita destro e costruito mancino per gli evidenti vantaggi che l’uso di quel braccio gli avrebbe potuto garantire per lo sfondamento sui rovesci destrorsi avversari.

Australian Open 1998. Finale tra Petr Korda e Marcelo Rios. Finale tutta mancina. Finale sinistra. Il primo sarebbe stato squalificato qualche mese dopo per doping terminando così, di fatto, la sua carriera, il secondo sarebbe stato numero 1 senza aver mai vinto uno Slam, ma vantando discrete performances da codice penale fuori dal campo. Giocatore tanto splendido da vedere Korda, lineare ed elegante nel suo immenso talento mancino, quanto Rios improvvisatore allo stato puro di chi colpisce dando angoli, rotazioni, variazioni senza un preciso motivo, senza saperne il perché.

Non di solo altissimi livelli si nutre il mancinismo nel tennis. Diego Nargiso, napoletano e mancino che detta così sembra la presentazione di Amelia la Fattucchiera che sul Vesuvio la Disney italiana ne ha posto dimora, vince Wimbledon Juniores nel 1987. In singolare non vincerà più nulla. Qualcosa di sinistro nella sua testa lo ha per anni convinto che anche Boris Becker gli fosse minore, spendendo così una carriera tra servizi mancini, sprazzi di gran tennis  e ostinata ricerca di colpi funambolici, a rincorrere un giorno che non sarebbe venuto, finendo per diventare un ottimo doppista di Coppa Davis ed incomparabile capo ultrà durante gli incontri dei compagni di squadra. Una tentata carriera politica in partiti di destra, lui mancino, ce lo avrebbe poi restituito al tennis in età oramai adulta quale ottimo tecnico, ottimo commentatore televisivo e persone di garbo, gentile ed equilibrata.

Hicham Arazi, è stato uno dei talenti mancini più classici e puri che si ricordino. Più difficile ricordarne le vittorie, visto che ammontano ad un solo titolo in singolare. Velocità di braccio, bello da veder giocare, angolazioni e soluzioni improvvise, sensibilità mostruosa. La sua racchetta rossa girava che era un piacere, così come girava la racchetta rossa di Goran Ivanisevic, anche se durante i suoi quindici giorni di gloria del vittorioso Wimbledon 2001, gli si era trasformata in un grigio scimitarra, forse per meglio fare a fette gli avversari al di là della rete e quelli nella sua testa. Jimmy Connors era un mancino atipico di braccio e tipico nella testa, fatta della stessa materia di quella con cui avrebbero fatto la testa di McEnroe. Lontano dal genio di questi, ne condivideva gli atteggiamenti spocchiosi, tamarri e capricciosi, mentre di ben più alta categoria erano quelli intimidatori verso arbitro, avversari e pubblico. Non aveva paura di nulla Jimbo quando era al centro dell’arena. L’educato Barazzutti un giorno se lo vide arrivare dal lato opposto del campo a cancellargli il segno della palla sotto al suo naso e a quello dell’arbitro che lo stava cercando. Anche McEnroe se lo vide arrivare addosso e venirne spintonato. Fece finta di nulla. Capì che non era il caso di aggiungere follia alla follia. Connors fu anche numero 1 del mondo, gran fighter dalla tecnica personale, un diritto simile ad un chop ed un rovescio bimane piatto di incontro che ci sarebbe voluto Agassi anni dopo per vederne uno migliore. Un destino sinistro gli riservò nei suoi anni migliori prima Borg e poi McEnroe. A loro sopravvisse, ma l’anagrafe sportiva non gli diede rivincita.

Guillermo Vilas e Thomas Muster, furono mancini a tutti gli effetti, soprattutto quelli dati alla palla. Entrambi giocatori da terra, delle rotazioni mancine del servizio da sinistra, del diritto in cross a cacciar fuori dal campo gli avversari e della solidità fisica e mentale fecero le loro armi migliori. La terra serve anche a riportar sulla terra i luoghi comuni sui mancini. Non sempre un mancino deve esser geniale, ne bastano le meccaniche a renderli diabolici.

Alexander Zverev, ha due figli che da lui ereditano l’esser tennisti. Mischa il grande, mancino. Gioca un tennis che non si insegna. Serve & volley e tutto quel che deve essere accelerato finisce rallentato. Un esperimento di teletrasporto di un giocatore da rete degli anni 80/90, tra i seriali automi con racchetta del tennis contemporaneo. A furia di “mancinare” diavolerie, gente al manicomio ne ha mandata Mischa, ma non al punto da far desistere il padre dal programmare, per aprirsi le porte del paradiso, un secondogenito canonicamente destrorso, XXL di benda nei capelli, di altezza e potenza.

La storia dei mancini al momento segna due nomi più’ di altri: la bombardiera Petra Kvitova e il colpitore dal rovescio monomano dei Grandi, Denis ShapovalovLa strada ancora è da segnare e non si sa in che girone infernale li si vedrà cadere.

Al circolo sotto casa, vi è un giocatore. Tracagnotto. Mancino. Gran tocco. Braccio velocissimo da cui vien fuori qualsiasi cosa. Ogni colpo una sorpresa, fortunato chi indovina. Solo braccio e polso. Le gambe non servono. Lo diceva anche Leconte. Nessuno vuol giocare con lui. Tutti credono di batterlo e tutti ne escono sconfitti. Lui sorride, ghigna, occhi neri, sguardo penetrante, si liscia la coda. Toglie il cappello, due bozzi piccoli ed aguzzi. Rumore di zoccoli. Odore di zolfo. Una canzone ne accompagna il cammino.

“Pleased to meet you
Hope you guess my name
But what’s puzzling you
Is the nature of my game”

(Sympathy for The Devil – Rolling Stones)

Fede Torre

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