Thiem e un problema chiamato cemento

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Thiem e un problema chiamato cemento

Già 14 sconfitte quest’anno, nessuna semifinale raggiunta e le solite (croniche) difficoltà. Sì, il cemento è un problema per Dominic Thiem. Ed ecco perché

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Non è (ancora) un allarme quello che suona, sta però iniziando ad assumere i contorni di un’ammonizione: l’arbitro è il cemento, il giocatore a finire sul taccuino dei cattivi è Dominic Thiem. Il rendimento sulla superficie maestra del circuito ATP (2 Slam su 4, 6 M1000 su 9, 8 ATP500 su 13) di Dominator non è esattamente quello del dominatore, e che fosse questo il tallone d’Achille di un giocatore che su terra battuta vale tranquillamente la top 5, in assenza di certi energumeni persino la top 3, non è certo argomento sorprendente. Ma è tornato d’attualità con le due sconfitte all’esordio sul veloce di Chengdu e Tokyo. Tornei in cui c’erano in palio ben 750 punti per chiudere definitivamente il discorso Finals, che verrà invece rimandato agli appuntamenti di Shanghai ed eventualmente Vienna.

Numericamente parlando, il 2017 di Thiem sul cemento si avvia ad essere peggiore del 2016. Se nella scorsa stagione alla vigilia di Shanghai aveva accumulato 1500 punti (a fine stagione sarebbero diventati 1790), quest’anno è fermo a 1140 con tre tornei da disputarsi – Shanghai, Vienna e Bercy – più le eventuali (diciamo anche probabili) Finals. Lo score 2016 (sempre pre-Shanghai) era di 24 vittorie e 10 sconfitte, mentre nel 2017 le vittorie sono soltanto 18 e le sconfitte ben 14. La scelta di aggiungere tre tornei alla programmazione non ha pagato, e lo si evince anche dal confronto dei migliori risultati raggiunti: nella scorsa stagione un titolo (Acapulco), una finale, una semifinale e due quarti, quest’anno una sfilza di sei quarti di finale (di cui due in ATP 250) come miglior risultato che profuma di continuità deludente. Giocando 14 tornei anziché 11 nei primi nove mesi dell’anno l’austriaco ha raccolto meno punti, meno risultati e si ritrova con meno certezze di un anno fa.

Intendiamoci, quest’analisi che può apparire accusatoria si inquadra nelle aspettative – ovviamente alte – di un giocatore che abita la top 10 da ormai dodici mesi. Qualcuno firmerebbe per raggiungere due quarti di finale M1000 (sul veloce) all’anno, non può certo farlo Dominic Thiem che, saldamente quarto nella Race to London con 3715 punti, si appresta a disputare il Masters – con annessa chiusura di stagione tra i primi 8 – per il secondo anno di fila. Sebbene a 24 anni oggi si possa ancora sospirare con sollievo pensando che c’è ancora tempo per concludere il puzzle, Dominic non può attendere che il suo gioco si adatti come d’incanto ai fondi più rapidi di cui il circuito è affollato. E da instancabile lavorare quale l’austriaco è, siamo certi lo sappia anche benissimo.

Ogni arringa che si rispetti deve sottoporsi a un contraddittorio. Nel caso di Thiem ci imporrebbe di “pesare” i risultati negativi alla luce di una programmazione, appunto, così fitta. Ai 14 tornei su cemento vanno aggiunti i 6 su terra battuta e i 3 su erba per arrivare a un totale di 23: nessuno – ça va sans dire – ha giocato tanto tra i primi venti del mondo. Insomma, è logico cadere ogni tanto se praticamente non ci si riposa mai.

In modo piuttosto rigido però il regolamento ATP impone una selezione di soli 18 tornei da includere nel conteggio valido ai fini delle classifiche, e di questi soltanto 6 sono “liberi”, poiché 12 slot devono necessariamente essere occupati dai 4 Slam e dagli 8 M1000 obbligatori. Thiem gioca tanto, pur sapendo che alcuni dei suoi risultati non verranno conteggiati, perché non ha la certezza di mantenere la sua posizione in classifica giocando solo (o quasi) i grandi tornei.

Più del fatto che abbia battuto un solo top 10 in carriera sul veloce (Monfils alle Finals 2016) e due soli top 20 quest’anno (ancora Monfils e Zverev a Rotterdam), e più del fatto che i top 10 sia arrivato a fronteggiarli in totale soltanto 13 volte (di cui ben 5 tra 2013 e 2014, quando ancora non era tra i primi 30, e 3 alle Finals dello scorso anno), insomma più di tutto questo può dirci il confronto del suo tennis tra terra battuta e cemento.

Basandosi prettamente sull’osservazione empirica, senza servirsi dei numeri che a volte sanno tradire, appare subito lampante la sua difficoltà nel gestire un ritmo di gioco più rapido possedendo colpi con aperture molto ampie, che necessitano quindi di una lunga preparazione. Sembra inoltre evidente che a Thiem faccia difetto l’attitudine più aggressiva che serve a comandare il gioco sul cemento. Un attitudine che si compone di colpi non solo lavorati ma più volte definitivi, di posizione in campo più avanzata e in generale di una condotta di gara meno improntata allo scambio logorante e più alla conquista del punto. Siccome però i numeri, quando interrogati correttamente, non sono troppo in grado di fallire, questa sensazione trova riscontro nelle statistiche. Senza tediarvi con un lungo confronto dei punti vinti/persi a servizio e in risposta, ci concentriamo su due statistiche: la percentuale di game vinti in risposta e i punti vinti in ribattuta sulla seconda avversaria.

  • I “return game” portati a casa da Thiem sono il 27% del totale se non si discrimina tra superfici, diventano il 33% su terra e scendono al 24% (16esimo del circuito) se ci si limita ad analizzare i match (32) giocati sul cemento. L’austriaco ho operato 100 break su 411 game di risposta disputati. 
  • I punti vinti in risposta alla seconda di servizio su cemento sono appena 527 su 1108, ovvero il 48%: Thiem ha vinto il punto meno della metà delle volte quando ha dovuto, in una situazione di teorico vantaggio, rispondere alla seconda avversaria. In questa statistica è addirittura 39esimo: per capirci, gli sono davanti Lorenzi, Fritz, Troicki, Haase, Harrison, Struff, Lu e diversi altri. A fare da aggravante il fatto che su terra battuta, invece, Thiem si attesti al 53% e in nona posizione complessiva.

Manca un ultimo tassello. Thiem è sesto per punti vinti in risposta alla prima di servizio, sia su cemento che nella statistica che comprende tutte le superfici. L’austriaco, in proporzione, se la cava meglio quando deve fronteggiare le bordate che i servizi più lavorati. Perché? I numeri hanno sentenziato ma trovare una risposta omnicomprensiva è complicato. Si può però desumere che la sua attitudine passiva venga fuori proprio quando, sulla seconda avversaria, dovrebbe fare un passo in avanti anziché farne (come fa) uno indietro per essere certo di avviare lo scambio con un colpo profondo e lavorato, abitudine su cui ha cucito il suo gioco perfetto da terra battuta. Un po’ come Nadal, che però su cemento è il terzo miglior ribattitore (sia sulle prime che sulle seconde): evidentemente puoi permetterti di rispondere sotto gli spalti se poi copri il campo con la solerzia del miglior ball-boy.

Insomma, sembra proprio il caso di dirlo (in cauda venenum): il cemento è un problema per Thiem, e soprattutto non lo è meno di un anno fa. 

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