Numeri della settimana: l'impresa di Sock e i problemi di Nadal

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Numeri della settimana: l’impresa di Sock e i problemi di Nadal

Il successo imprevedibile dell’americano dopo una stagione difficile, e il consueto scarso feeling del n.1 mondiale con la Parigi indoor, tra i dati statistici più rilevanti

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44 – la posizione che la scorsa settimana a Basilea aveva nel ranking Robin Haase, l’avversario con la seconda miglior classifica battuto, da Roma in poi, da Jack Sock. Dopo gli Internazionali d’Italia, è arrivata una serie di sconfitte dolorose per il 25enne statunitense: primo turno al Roland Garros e agli US Open, così come a Cincinnati, Pechino e Shanghai, secondo turno a Wimbledon (dove ha perso dall’austriaco Ofner, allora 217 ATP) e tre partite di fila vinte appena una volta negli ultimi sei mesi, all’ATP 500 di Washington. Quello nella capitale statunitense è stato l’unico torneo prima di Bercy dove Sock è riuscito a vincere tre partite di fila, e nel quale ha ottenuto l’unica vittoria di prestigio di questo periodo nerissimo, sconfiggendo l’allora numero 10 Milos Raonic. A Parigi, dopo aver recuperato da 1-5 nel terzo contro Edmund, è iniziata una marcia trionfale che l’ha portato sino alla conquista del primo Masters 1000 della carriera, lui che sinora in questi tornei aveva come miglior piazzamento la semifinale, a Indian Wells lo scorso marzo. Sembra ancora non al meglio fisicamente: se e quando lo sarà, potrà competere al meglio contro i più forti (7 le vittorie in 26 incontri con i top ten, sinora).

294 – la posizione del ranking occupata da Filip Krajinovic a metà maggio. Il 25enne serbo a marzo giocava addirittura a Santa Margherita di Pula un Futures, dove perse dal nostro Marco Bortolotti, allora 412 ATP. Da quel momento in poi una costante risalita passata attraverso la vittoria di ben cinque Challenger. A Mosca, contro Rublev, è arrivata la seconda vittoria in carriera contro un top 50 dopo quella ottenuta contro Fognini ad Amburgo nel 2014, alle quali hanno fatto seguito quelle a Bercy contro Sugita, Querrey e Isner. Molto fortunato ad usufruire del ritiro di Nadal, ma per arrivare a quel punto ha fatto grandi cose nell’inferno del circuito minore. Aiutati che Dio ti aiuta.

4 – le volte in carriera in cui Julien Benneteau era arrivato ai quarti in un Masters 1000, tutte sul cemento all’aperto (Cincinnati 2009 e 2014, Indian Wells e Shanghai 2014) prima di riuscirci questa settimana a Bercy. Il quasi 36enne francese (compirà gli anni il 20 dicembre prossimo), sceso dopo l’operazione di giugno 2015 sino al 696esimo posto del ranking, era rientrato nei primi 100 solo a maggio di quest’anno, prima di uscirne nuovamente a fine settembre. La vittoria al Challenger di Orleans, i quarti ad Anversa e il secondo turno a Basilea passando dalle quali, avevano fatto intravedere una ripresa del suo rendimento. Nulla tuttavia che potesse far immaginare, per lui che quest’anno aveva battuto un solo top 50, Carreno Busta a Winston Salem, una cavalcata come quella parigina. Dopo aver eliminato la stella promessa, il Next Gen canadese Denis Shapovalov, sono arrivate due vittorie contro top 20 come Tsonga e Goffin, coronate dal primo successo dopo più di tre anni contro un top 10, Cilic nei quarti. Contro Sock, nella sua seconda semifinale in un Masters 1000 dopo Cincinnati 2014, non ne aveva più. Redivivo, ha già annunciato che la prossima sarà la sua ultima stagione.

6 – le partecipazioni a Bercy di Rafael Nadal, dove ha ottenuto solo una finale, nel 2007, persa contro Nalbandian. Un Masters 1000 poco amato dal maiorchino, per le condizioni di gioco (è l’unico torneo di questa categoria che si disputa indoor) e per la parte della stagione, quella finale, nella quale è collocato nel calendario. Non a caso tutti gli altri tornei di questa categoria sono stati giocati più di dieci volte dal numero 1 del mondo, ad eccezione di Shanghai, sempre posizionato nella parte conclusiva dell’anno tennistico, dove ha partecipato appena due volte in più. Trattasi di un altro Masters mai vinto da Rafa, che in Cina ha almeno raggiunto una finale in più (oltre a quella persa quest’anno con Federer, quella del 2009 contro Davydenko).

3 – le sconfitte di Alexander Zverev contro top 30, a fronte di un solo successo (contro Fognini a Pechino): questo il bilancio del giovane ventenne di Amburgo dal secondo Masters 1000 vinto in stagione, a inizio agosto a Montreal, sino ad oggi. La vittoria su Roger Federer, sebbene menomato nella seconda parte della finale, sembrava essere stato il definitivo trampolino di lancio nell’Olimpo del grande tennis per il leader della Next Gen. Da quel momento in poi sono invece arrivate appena otto vittorie e ben sette sconfitte, alcune delle quali molto amare e decisamente inaspettate – contro Tiafoe (87 ATP) a Cincinnati, Coric (61) a New York, Dzhumhur (40) a Shenzhen e Haase (41) a Bercy. Un calo fisiologico nel processo di definitiva maturazione di un campione predestinato, ma resta la sensazione di rottura prolungata che forse avrà contribuito a incidere nella decisione del tedesco di saltare le Next Gen Finals di Milano, per provare a trovare freschezza per un appuntamento importantissimo come il suo esordio nelle ATP Finals di Londra.

1 – il numero di tornei nei quali Pablo Carreno Busta è riuscito a vincere tre partite di fila dopo aver raggiunto i quarti di finale al Roland Garros: come tutti sappiamo, vi è riuscito a New York, dove, non sconfiggendo nessun top 30, arrivò sino alle semifinali. Soprattutto, è stato molto negativo il post US Open del 26enne spagnolo, che nei cinque tornei successivi ai quali ha partecipato ha vinto una sola partita, a Vienna contro Guido Pella (64 ATP). In particolare, possono definirsi molto brutte alcune nette sconfitte in due set all’esordio nei tornei, arrivate in quest’ultimo lasso temporale: non solo quella di Bercy contro Mahut (111 ATP) ma anche quelle di Mosca contro Medvedev (67) e di Pechino contro Darcis (73 ATP).

2008 – l’anno in cui, poco prima di compiere i 20 anni, Marin Cilic vinceva a New Haven il primo dei suoi diciassette tornei – tra i quali gli US Open 2014 e il Masters 1000 di Cincinnati 2016 – sinora messi in bacheca, conquistati peraltro su tutte le diverse condizioni di gioco (erba, terra rossa, cemento outdoor e indoor). Sembrava l’inizio di una carriera folgorante, ma le promesse sono state mantenute solo in parte, se così si può dire per un tennista che solo un mese fa ha comunque raggiunto il career high di numero 4 del mondo e che è stato capace di vincere un Major e un Masters 1000. Tuttavia, il croato almeno sino ad oggi, a 29 anni compiuti poco più di un mese fa, non ha mai trovato continuità ad alti livelli, non riuscendo quantomeno a mettersi stabilmente subito dietro ai Fab Four. Una sensazione dimostrata da un dato: le uniche due partecipazioni, senza tra l’altro superare il Round Robin, del 2014 e del 2016 alle ATP Finals. Troppe volte, però, il tennista nato a Medjugorje ha dato la sensazione di non saper cogliere il treno giusto per compiere l’ulteriore salto di qualità: l’ultima di queste, venerdì, quando ha perso ai quarti di Bercy da Bennetau in due set una partita che avrebbe dovuto vincere. Ottimo tennista, ma non (ancora?) campione maturo.

7 – gli anni consecutivi nei quali John Isner ha raggiunto almeno una semifinale in un Masters 1000, per un totale di dieci volte, distribuite tra tutti e quattro i tornei di questa categoria che si giocano sul cemento nordamericano, Roma e Parigi indoor. Sabato scorso, in quella che era per lui la terza volta in semifinale nel torneo indoor parigino, nonché la terza del 2017 in un Masters 1000 – dopo Foro Italico e Cincinnati – l’ex numero 9 del mondo (nell’aprile 2012) è stato vicino, con la palla break avuta nel nono gioco del terzo set che lo avrebbe mandato a servire per il match, a raggiungere per la quarta volta la finale. Un appuntamento tra l’altro mai coronato da un successo nelle tre precedenti occasioni (Indian Wells 2012, Cincinnati 2013 e Bercy 2016) in cui è stato raggiunto. Va comunque un bravo a un tennista che dal 2010 termina ininterrottamente la stagione tra i primi 20 e che in tale lasso di tempo ha vinto dodici tornei e ottenuto altrettante finali nel circuito maggiore, ma che probabilmente verrà ricordato sempre per aver giocato e vinto la “partita più lunga della storia”, il primo turno di Wimbledon 2010 contro Mahut, durato undici ore e cinque minuti. Eterno comprimario di lusso.

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