La prima di Federer é una sinfonia d'autore (Crivelli), I miei Borg e McEnroe la verità del cinema confonde la realtà (Clerici), Int. Ad Adriano Panatta: “Io so come battere l’incubo svedese” (Piccardi)

Rassegna stampa

La prima di Federer é una sinfonia d’autore (Crivelli), I miei Borg e McEnroe la verità del cinema confonde la realtà (Clerici), Int. Ad Adriano Panatta: “Io so come battere l’incubo svedese” (Piccardi)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

La prima di Federer é una sinfonia d’autore

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 13.11.2017

 

Il Maestro è di nuovo tra loro, è di nuovo nel cuore della 02 Arena e delle migliaia di tifosi che hanno santificato la domenica per tornare a stropicciarsi gli occhi di fronte alle sue prodezze. In scioltezza: Causa schiena e ginocchio, l’anno scorso Roger Federer seguì il Masters in tv, per la prima volta dopo 14 apparizioni di fila e sei successi (l’ultimo nel 2011): «Sono partito da lontano, a gennaio ero distante dai primi in classifica (numero 16, ndr) e immaginavo di poter essere ottavo o giù di lì al via di Wimbledon, ma la vittoria agli Australian Open mi ha dato una bella spinta». Mettendogli le ali per una stagione fantasmagorica, a 36 anni, fino all’approdo all’ultimo appuntamento dell’anno forte di due Slam e di altri cinque tornei, tra cui tre Masters 1000, e nel ruolo, per lui piuttosto consueto alle Finals, di favorito. La corsa del Divino comincia in scioltezza contro Sock, che in tempi non sospetti aveva prenotato per questa settimana un giro di golf ad Augusta e invece si è ritrovato ultimo qualificato grazie al successo a Bercy. Roger inserisce il pilota automatico, controlla il match con il servizio (36 punti su 40 con la prima, nessuna palla break concessa), si accontenta di strappare una volta la battuta al rivale nel primo set e nel delicato tie break del secondo lucra su un paio di sue magie e qualche errore di troppo dell’americano. Di fronte a una marcia con pochi sussulti, il momento più simpatico colora il match quando Sock, dopo una volée smorzata sbagliata, gira le spalle all’avversario e alza le mani in segno di resa, aspettando il facile punto di Federer, che invece tra lo stranito e il divertito spara il colpo in rete.

 

I miei Borg e McEnroe la verità del cinema confonde la realtà

 

Gianni Clerici, la repubblica del  13.11.2017

 

Ma tu li conosci troppo bene!» mi ha sussurrato l’amico che mi accompagnava al cinema, ad assistere al film sulla vicenda McEnroe contro Borg. «E ti confondi spesso una storia con la verità». «Dev’essere accaduto lo stesso a Mac» ho risposto. «Ha detto su un blog che il film non gli è piaciuto. Anche lui si rifiuta, in fondo, di scambiare la realtà con un film». E ho aggiunto: «D’accordo che il film è fiction, finzione. Ma io ho passato alcuni anni della mia vita a raccontare storie vere dei protagonisti, credo di aver scritto qualche centinaia di autentiche storie sulla loro vita, li ho conosciuti nell’intimità, sono stato amico dell’avvocato di McEnroe che mi ha difeso per il plagio di un mio libro, e della mamma Kathy, alla quale avevo suggerito di tagliare la lingua al suo bambino. «E Borg, hai conosciuto anche lui bambino? Quando Bergelin lo ha messo in Coppa Davis a quindici anni, e mentre tutti aspettavano un disastro il bambino ha battuto Onny Parun, numero venti del mondo». «Sì, l’ho conosciuto. Nel film però si fa un timido a accenno a Percy Rosberg, il quale un giorno, al torneo di Bastad in cui era stato finalista contro Davidson, mi ha detto «Vieni a vedere un futuro grande campione», e io ho visto un biondino, che, sul rovescio teneva la racchetta con due mani, che allora era insolito, e Rosberg mi ha detto «E È del tutto assente la droga. 11 racconto della notte in cui lo svedese finì all’ospedale di Milano un’eredità dell’hockey su ghiaccio». «E pensi di lasciargliela?. « Certo che gliela lascio». «E trovi grave che nel film i due personaggi di Rosberg e Bergelin siano assimilati?». «No, perché evita una confusione. E do ragione a Mac che non si ritrova nel personaggio di un mediocre attore che non gli somiglia in quel che era fin da ragazzo, dalla prima volta che lo vedemmo, con Tommasi, dopo aver giocato un doppio con suo papà John sr., a Dallas, e io presi il telefono e suggerii a Tacchini di rivestirlo. C’è poi un aspetto che Mac, con tutti i suoi difetti, non ha mai avuto, la disonestà. Ogni scontro con gli arbitri, quelli che l’hanno spinto agli insulti, che hanno spinto la Bbc a foderare i microfoni, o addirittura alla squalifica, son stati effetti del suo infantile egocentrismo. Così come, prima di un incontro con il suo amico Fleming, McEnroe non può avergli sottratto una cavigliera nel tentativo di azzopparlo, come si vede nel film. Di Fleming Mac è stato il miglior amico, ed è sempre stato il tipo da tradire una moglie (ne ha avute quattro), non un amico». «Bene», ha detto il mio amico, ma c’è qualcos’altro, secondo te, che manca della realtà, nella fiction?». «Mancano le droghe, anche se le droghe sono arrivate dopo lo straordinario tie break dei diciotto punti a sedici per Mac, e il successo dello svedese al quinto set, dopo otto match points». Ho avuto un pied-à-terre a Milano, in via Ariosto, e in piena notte mi telefona il dottor Dante Rossetti del Tennis Club Milano, e mi dice: “Sai che il tuo amico Borg si è trasferito con la sua compagna cantante dalle tue parti. Tutto bene, se non che si trova nel mio ospedale, drogato oltre il limite, e vuole andarsene”. Dopo venti minuti ero all’ospedale, Bjorn insisteva per sfuggire alle attenzioni dei giornalisti che avrebbero creato uno scandalo, e il dottor Rossetti gli fece firmare un documento di autoresponsabilità, e lo lasciò libero all’alba. Bjorn è stato un tale onest’uomo che, essendoci visti a un torneo veterani a Parigi, gli chiesi se si drogasse ancora. E la risposta, priva di irritazione, fu sinceramente: “No”. «Questi sono fatti meno conosciuti del tie-break, e che non hanno a che vedere con il film» ha aggiunto l’amico. «Fatti accaduti alla fine della carriera di Borg, troppo disperato per accettare le sconfitte, quando finì per fermarsi, a Montecarlo. Ma questa, della disperazione per essere divenuto battibile è un’altra storia». «E tanto un’altra storia che, incontratolo a Las Vegas con il mio amico Tommasi, ci invitò a cena, mentre cinquanta cronisti lo braccavano invano e, giunti alla frutta, ci disse: “Cosa fareste voi, al mio posto, smettereste?”». Ma la realtà è spesso addirittura peggiore dell’immaginazione.

 

Int. Ad Adriano Panatta: “Io so come battere l’incubo svedese”

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 13.11.2017

 

Adriano Panatta sapeva bene come mandare in tilt gli ingranaggi della Svezia: le uniche due sconfitte di Bjorn Borg sulla terra del Roland Garros (che conquistò sei volte) arrivarono per mano di Mister Veronica (re ’76). Perché l’Orso svedese la soffriva tanto, Adriano? «Perché lo facevo giocare male. Bjorn amava gli avversari metodici e invece io lo attaccavo, prendevo rischi, gli rompevo gli schemi. C’era più tattica, le racchette erano di legno e i winners da fondo campo erano rari. Giocavo colpi normali solo quando avevo bisogno di tirare il fiato». Mai stato intimidito dall’aria ieratica di Borg? «La mia grande forza era l’ironia. Essere dissacrante mi ha permesso di non prendere le cose — né lui né me stesso — troppo sul serio e di cogliere, dietro la maschera di ghiaccio, le sue insicurezze». Ma Borg non è la Svezia che affrontiamo stasera. «Squadra fisica, che gioca un calcio semplice, non II grande ex Panatta incubo svedese: «Io Bjorn Borg lo battevo così» sofisticato, con schemi classici. All’andata siamo stati un po’ sfortunati: il palo di Darmian, l’autogol di De Rossi… Partitaccia». Non andare al Mondiale di Russia zoi8 sarebbe un lutto nazionale o può succedere? «Mi dispiacerebbe, certo. Il Mondiale è un evento sociale, di costume, culturale. Aggrega, cancella per un mese tutti i campanilismi, crea una mobilitazione sana, coinvolge i grandi e i bambini. E come una festa comandata». Il castigatore di Borg stasera a San Siro come batterebbe la Svezia? «Come quando in Coppa Davis affrontavi la Polonia in trasferta al primo turno. Stavi fuori forma, non avevi ancora l’adrenalina a mille, eppure dovevi portare a casa il match. L’estetica non contava nulla. Buffon dice che l’Italia dovrà essere feroce. Sì, ovvio, però anche concreta. Non ce ne frega niente che giochi bene. L’importante è vincere».

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