Il circuito Challenger e i giovani: trampolino o palude?

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Il circuito Challenger e i giovani: trampolino o palude?

È il Purgatorio del tennis, tra circuito maggiore e Futures. Visto come punto di passaggio verso i vertici di questo sport. È realmente questo il Challenger Tour?

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Per i giovani tennisti dovrebbe essere una tappa intermedia verso il circuito maggiore, una sorta di apprendistato propedeutico prima del confronto con i “grandi” della racchetta. È l’ATP Challenger Tour, un grande circo aperto undici mesi l’anno: 155 tornei, una media di 14 al mese, 3,5 a settimana.

Per alcuni ha funzionato, un nome su tutti: Denis Shapovalov. Un anno e mezzo nei circuiti minori e sei vittorie (due Challenger e quattro Futures), poi lo scorso agosto alla Rogers Cup le vittorie su Juan Martin del Potro e Rafael Nadal l’hanno catapultato nel “tennis che conta”. Scorrendo la classifica del ranking ATP però ci si accorge di come, tolti i partecipanti alle Next Gen Finals di Milano e Alexander Zverev, che gravitano ormai stabilmente nell’orbita ATP World Tour, gli under 21 in top 100 siano solo due: Frances Tiafoe (79) e Stefanos Tsitsipas (91). Un po’ pochini.

Proviamo ad andare oltre, nella top 200, per cercare gli aspiranti top 100, 50, 10 di domani che ancora non sono “arrivati”: Taylor Fritz (105), Alexander Bublik (117), Ernesto Escobedo (120), Quentin Halys (129), Sebastian Ofner (132), Matteo Berrettini (136), Casper Ruud (141), Elias Ymer (144), Akira Santillan (145), Tommy Paul (152), Corentin Moutet (156), Felix Auger-Aliassime (162), Stefan Kozlov (167), Soonwoo Kwon (168), Michael Mmoh (175), Carlos Taberner (181), Jaume Munar (188), Benjamin Bonzi (190), Kamil Majchrzak (199). Tra loro in pochi hanno esperienza a livello ATP, la maggior parte di questi giovani si barcamena tra main draw nei Challenger e qualificazioni del circuito maggiore, e in alcuni casi non è raro vederli disputare Futures.

Senza considerare i giovanissimi come Auger-Aliassimine, Ruud e Moutet, che devono finire di svilupparsi fisicamente e quindi pagano ancora molto dal punto di vista atletico, per gli altri, quanto spazio c’è nel tennis di domani? Senza scomodare Roger Federer, abbiamo molti esempi di come la durata media delle carriere si stia allungando. Gilles Muller ha vinto quest’anno a 34 anni i suoi primi tornei ATP, Victor Estrella Burgos (37), David Ferrer (35) e Philipp Kohlschreiber (34) nonostante siano agli sgoccioli sono riusciti ugualmente ad aggiudicarsi un titolo, a 32 anni Jo-Wilfried Tsonga e John Isner continuano a vincere con continuità (rispettivamente quattro e due successi stagionali).

Questo stato di cose non cambia a livello Challenger: contando le vittorie di quest’anno, gli under 21 ne hanno ottenute 24 (2 Shapovalov, 2 Tiafoe, 2 Bublik, 2 Auger-Aliassime, 2 E. Ymer, 1 Chung, 1 Tsitsipas, 1 Kozlov, 1 Moutet, 1 Kecmanovic, 1 Jasika, 1 Rubin, 1 Kuhn, 1 Santillan, 1 Berrettini, 1 Munar, 1 Mmoh, 1 Yibing, 1 Nagal) contro le 34 degli over 30 (4 Tipsarevic, 3 Lu, 2 Sela, 2 J. Melzer, 2 Dutra Silva, 2 Menéndez Maceiras, 2 Youzhny, 2 Lacko, 2 Garcia Lopez, 2 Kavcic, 1 Darcis, 1 Lorenzi, 1 Stakhovsky, 1 Estrella Burgos, 1 Gasquet, 1 Jaziri, 1 Marchenko, 1 Bachinger, 1 Cuevas, 1 Robert, 1 Berlocq).

Se il problema per i giovani anni fa era principalmente il rimanere ad alti livelli, confermarsi, dopo un eventuale exploit iniziale, costituito magari da una buona stagione sul rosso o sul cemento americano, ora per loro la strada sembra complicarsi ancora prima. Per le nuove leve è e sarà sempre più difficile emergere in un contesto così competitivo e livellato sotto l’aspetto tecnico da preparazioni fisiche che portano i singoli a spingersi sempre oltre i propri limiti con risultati soddisfacenti. La discriminante diventa spesso la testa, l’esperienza, quella che i professionisti nati nella metà degli anni ’80 sono riusciti a maturare giocando ad alti livelli e che invece i giovani devono “costruirsi” con l’ausilio di esperti del settore, i cosiddetti mental coach. Il talento farà sempre la differenza, se sorretto da testa e fisico, ma per tutti gli altri, quello dei Challenger non si rivelerà un trampolino di lancio, piuttosto una palude nella quale si rimane impantanati, o un paracadute d’emergenza da aprire una volta constatato che vincere tre match di qualificazione di un 250 è impresa ardua.

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