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Quantum Lob: in viaggio nel tempo degli NC (e non solo) – Parte 3

Episodio 3: scene di lotta e classe. Continuano i salti nel tempo dello stagista di Ubitennis, Zuri Etxebarria

Last updated: 23/12/2017 18:43
By Redazione Published 22/12/2017
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8 Min Read
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La testa di Zuri sta ancora tenendo il ritmo forsennato del pezzo ska-punk che ha fatto da colonna sonora al nuovo balzo, quando gli si para davanti l’immagine di quattro zombie che vagano all’interno di un recinto. Secondo il programma della manifestazione, invece, sono tennisti che stanno disputando il doppio decisivo di un incontro a squadre del campionato veterani over 55. “Punti di vista” sussurra Zuri dentro al suo registratore digitale e pensa che suo padre, un lottatore certamente dotato di classe ben inferiore ai quattro quando si tratta di colpire la palla, sembra un atleta professionista al confronto. Annoiato, osserva ancora alcuni scambi per mero dovere di cronaca. Anche il ventenne in polo azzurra con il logo della FIT appollaiato sul seggiolone non pare divertirsi particolarmente e chiama il punteggio con l’entusiasmo di un operaio in catena di montaggio costretto al sabato straordinario dalla precarietà del suo contratto. Il prode stagista decide di aspettare la fine del match al bar mentre cerca invano di fare colpo sulla cameriera puntando sul fascino dello straniero. Forse, se non avesse esordito con quel “ciao, vieni qui spesso?”… Butta giù l’ultimo sorso di tè freddo dentro cui la cameriera ha probabilmente mescolato un po’ di acqua di risciacquo e si prepara a porre qualche domanda all’arbitro che ha appena annunciato il punteggio finale.

A dispetto di un ottimo utilizzo dell’attrezzo, la prestazione atletica dei quattro ha lasciato a desiderare.
Come ufficiale di gara, non posso fare commenti tecnici. Tuttavia, credo che non esistesse proprio il concetto di preparazione atletica quando hanno cominciato a giocare mezzo secolo fa e in tanti hanno continuato con quella filosofia. È facile immaginare che i veterani del futuro saranno più in forma. O, almeno, io spero di arrivare a quell’età in condizioni migliori. Chissà, essendo considerato uno sport assolutamente elitario all’epoca, l’idea di prepararsi fisicamente, la fatica e il sudore erano qualcosa fuori dalla realtà. Ma il vero problema è un altro.

Quando gli stereotipi uccidono l’analisi… Di quale problema parli?
Comincio a pensare che i veterani debbano essere lasciati a loro stessi. Forse sono stato sfortunato nelle designazioni, ma troppi ultracinquantenni che ho diretto non hanno alcun rispetto per lo sport, figuriamoci per le sue regole; anzi, dubito che le conoscano.

Da cosa credi che possa dipendere?
Gente ricca convinta di essere al di sopra delle regole in generale…

Allora sei recidivo. È tennis, non “Scene di lotta di classe a Forest Hills”. Hai degli esempi concreti?
In un incontro di singolare che ho arbitrato ieri, un tentativo di pallonetto si è rivelato un assist per quello a rete che si è avventato sulla palla con troppa foga, l’ha steccata e, appena ha visto che l’aveva rimandata comoda in direzione dell’avversario, ha urlato una bestemmia che ha zittito quelli che stavano pranzando sul terrazzo della club house cinquanta metri più in là.

E tu cosa hai fatto?
Le indicazioni del giudice arbitro, coetaneo e amicone di tutti i giocatori, sono di “andarci piano con questa cosa delle regole” e ha fatto capire a me e all’altro arbitro che non ci avrebbe sostenuto in caso di contestazioni. Istintivamente, ho subito fermato il gioco e, adeguandomi come chi vuole finire questi tre giorni e non averci mai più nulla a che fare, ho solo chiamato il disturbo involontario e fatto rigiocare il punto. E il tipo della bestemmia si è anche, ehm, arrabbiato urlandomi “cosa caspita avrei fatto?”.

E immagino che non abbia detto caspita. Capisco (si fa per dire), ma si tratta di un episodio.
Nell’incontro successivo, arbitrato dal mio collega, arriva finalmente il match point dopo che i due si sono punzecchiati per tre set. Scambio a rete, palla facile per quello in vantaggio che può appoggiarla nel campo aperto mentre l’altro si gira di spalle. Invece, gli tira una pallata a tutto braccio in mezzo alla schiena. Quello caccia un urlo di dolore, barcolla per un attimo, poi l’urlo diventa rabbioso mentre toglie dalla rete il paletto da singolare e parte in direzione dell’avversario che butta la racchetta e inizia a correre. L’altro si lancia all’inseguimento brandendo il paletto al di sopra della testa; stremata dopo un giro di campo, la sua vittima cade a terra e lui può così posizionarsi per un facile smash, degna conclusione di una scena surreale. Invece, arrivano in quattro a bloccarlo.

Mi prendi in giro! Credi che lo avrebbe colpito davvero?
L’ho visto giocare e so com’è il suo smash: lo avrebbe mancato.

Dirigendosi verso la club house indeciso se intervistare qualche veterano o tornare dalla cameriera, Zuri intercetta il dialogo tra uno dei giocatori e il giudice arbitro della manifestazione. “Chi sono quei due che hai chiamato ad arbitrare?”. “Ah, proprio non lo so, ma non li ho scelti io, li ha mandati la Federazione”. “Ma che lavoro fanno? Gli hai spiegato chi siamo?”. “Ci ho provato, ma devono essere un po’ tonti. Sopportateli un ultimo giorno…”. “Mi raccomando quando scrivi la loro valutazione”.

Lo stagista si chiede se il tonto non sia lui stesso: era davvero indeciso tra uno di quei vecchi e la cameriera? Il fatto è che si sente teso per non aver ancora ricevuto notizie dalla redazione. L’unico elemento positivo è la successione temporale dei suoi viaggi che pare avvicinarlo al futuro. Cioè, al suo presente che, per adesso, è nel passato. Come a esaudire una richiesta inespressa, un messaggio del suo tutor arriva subito a tranquillizzarlo e a salvarlo dalla sua scarsa capacità di pensare quadrimensionalmente. “Non abbiamo capito perché continui a rimbalzare nel tempo, ma i nostri esperti ci stanno lavorando e la soluzione è vicina“. I nostri esperti? “Non sai che in Redazione abbiamo un paio di fisici quantistici part time?”. Zuri non è sicuro se il part time sia riferito al lavoro di fisico o di giornalista, ma probabilmente non è importante e si dirige sicuro verso il bancone del bar.

“Un altro bicchiere della tua miglior acqua di risciacquo, prego”. Il promettente sorriso di risposta si deforma in un’espressione spaventosa. Nausea e vertigini gli confermano che si tratta di un ennesimo e poco tempestivo salto nel tempo in arrivo. Lo stagista sballottato è certo che gli arriverà ai timpani quel sound di fine millennio ispirato dagli esordi dei Placebo; le sue aspettative sono però tradite da una fastidiosa canzonetta che suo padre porterebbe a esempio della parte deleteria degli anni ’80 che ha illegittimamente travalicato il confine della decade. A peggiorare la situazione, la poco interessante scena di un tipo che fotografa la parete di fronte a lui.

Michelangelo Sottili


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