da Rotterdam, il nostro inviato
Quasi mezzo secolo di una storia che non fa che crescere per qualità e importanza: il torneo di Rotterdam è ormai una tappa fondamentale nel calendario e di fatto nella carriera di qualsiasi giocatore voglia affermarsi come uno dei top del circuito. Ci hanno giocato, o ci giocano, praticamente tutti i migliori, senza per forza considerare l’albo d’oro: dal primo successo di Arthur Ashe, fino alla doppietta di Soderling nel biennio 2010/2011, passando per i due sigilli di Federer e quelli di Murray e del Potro. Nadal ha perso in finale nel 2009 (e contro Seppi in ottavi l’anno prima), Djokovic per due volte si è fermato in semifinale (entrambe contro Youzhny), e Roger è tornato qui per dare l’assalto alla storia, ancora una volta. Nomi di grido che mettono l’Ahoy Arena, meritatamente, sul mappamondo tennistico e sotto i riflettori.
Gran parte del merito di questo successo va a Wim Buitendijk, direttore del torneo dal 1984 al 2003, anno in cui il cancro, purtroppo, lo ha portato via. Olandese di origine controllata, Wim era un impiegato della Ahoy quando ancora l’arena era di proprietà della città, prima dell’avvento di sponsor privati che l’hanno resa polo di attrazione per l’entertainement mondiale (U2 e Jennifer Lopez tra gli artisti che hanno tenuto concerti qui). Scelto come responsabile degli eventi sportivi, è assurto al ruolo di direttore e si è sempre battuto strenuamente per favorire la crescita dei tennisti più giovani, tramite inviti, anche a costo di far storcere il naso agli addetti ai lavori. Non a caso il trofeo del vincitore porta il suo nome, sebbene non godesse di troppa stima da parte dei giocatori olandesi: Buitendijk non si curava infatti di sponsorizzare i giovani locali, assegnando wild card senza far troppo caso al paese d’origine. Jan Siemerink, ex 14 ATP, quartofinalista a Wimbledon e capitano di Davis olandese, arrivò una volta ad accusare pubblicamente Wim di essere un completo incompetente.
Dal 2004 il torneo è diretto da Richard Krajicek, ex numero 4 ATP e vincitore di Wimbledon nel ’96. Come il suo predecessore l’airone olandese ha da sempre portato avanti una generosissima politica di incentivi ai nuovi arrivati: la tradizione di invitare al tabellone principale non solo i migliori tennisti di casa, ma anche giovanissimi all’inizio della propria carriera, non importa se sconosciuti o quasi. Nel ’99 l’omaggio andò ad un diciottenne Federer, un anno prima della nascita di Felix Auger-Aliassime, diciassettenne canadese che ha onorato la wild card quest’anno abbandonando il torneo solo dopo tre set di lotta. Nel corso delle stagioni si sono susseguiti nomi all’epoca sconosciuti e poi diventati di grido: Dimitrov, che all’esordio costrinse Nadal al terzo parziale, Sascha Zverev per due anni consecutivi, Stefanos Tsitsipas, solo per citarne alcuni. È di fatto grazie alle conoscenze e all’esperienza di Kraijcek, sempre in contatto con agenti, allenatori e membri del circuito, che le migliori promesse negli ultimi anni sono state presenti a Rotterdam.
Le ragioni di questa disponibilità verso i più giovani sono un misto di comprensione e perché no utilitarismo. E a rivelarle è Dimitri Bonthuis, capo ufficio stampa e membro del comitato organizzativo del torneo: “Crediamo sia fondamentale per chi si è appena affacciato al circuito professionistico poter testare anche palcoscenici blasonati come quello di Rotterdam. Cerchiamo quindi di dare loro una mano, sperando di poter instaurare un rapporto anche personale. Magari qualcuno di loro diventa una superstar, e tornerà volentieri qui pur avendo richieste da qualsiasi altro torneo. Solo perché avevamo pensato a lui dieci anni prima”. Come detto, la lista di ragazzini poi diventati campioni è piuttosto corposa; l’organizzazione dimostra da sempre di avere un ottimo occhio. “Ma qualche granchio lo abbiamo preso, come no”, dice Dimitri sorridendo, senza sbilanciarsi a fare nomi. Federer ha confermato la bontà di quest’idea nella conferenza stampa della vigilia del torneo: “Lo stadio, la struttura sono cambiati negli anni, ma i volti rimangono quasi sempre gli stessi, e questo dimostra che l’ambiente di lavoro è sano e coinvolgente. Mi ha fatto piacere ritrovarli”.
Ne ha parlato anche Grigor Dimitrov, subito dopo il suo primo turno vinto contro Sugita: “Ricordo bene quando mi avvicinò Richard per comunicarmi della wild card. Se penso agli inizi della mia carriera, ad essere onesto non ne ho ricevute poi così tante. Se non sbaglio al Queen’s un anno, quando il direttore era ancora Chris Kermode (attuale presidente ATP, ndr). Credo sia un bene enorme poter contare su tornei del genere, ma in tutta sincerità non saprei come gestire la cosa se fossi un direttore di un torneo. Immagino sia particolarmente difficile”.
Costruire una reputazione solida e di valore aiuta a promuovere il tennis in Olanda, e portare il nome di Rotterdam nel mondo. Ma non è l’unico modo che il torneo ha per attirare appassionati e confermarsi come “place to be” durante l’inverno (rigidissimo) dei Paesi Bassi: c’è infatti un occhio di riguardo per chi effettivamente gioca a tennis, a prescindere dal livelli. Ciascuno dei più di 1700 club del paese, infatti, organizza un campionato annuale suddiviso in varie categorie. I vincitori dei livelli più alti si affrontano in un ulteriore girone, che mette in palio una wild card per il tabellone principale di doppio, da disputare in coppia con il numero 1 olandese del momento. Glenn Smits per esempio ha vinto nel 2015 e nel 2017: Huta-Galung e Haase sono stati i suoi partner di avventura, e in entrambi i casi è tornato a casa con una sonora sconfitta ma una straordinaria esperienza nel proprio bagaglio. Così Rotterdam si rende capitale del tennis, e culla di futuri campioni.