New York, New York: tra Long Island e il sogno di un 500

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New York, New York: tra Long Island e il sogno di un 500

NEW YORK – A tu per tu con il direttore del New York Open che ci parla di come si organizza un torneo ATP nella Grande Mela (o quasi). Un progetto a lungo termine per diventare un appuntamento importante del calendario tennistico

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Lanciare un nuovo torneo è sempre un’operazione piuttosto complicata. Farlo in una città ultracompetitiva come New York City, e per di più avendo come “location” un’arena periferica, seppur appena rimodernata, lo è ancora di più. Qualche appassionato avrà sicuramente storto il naso alla vista degli spalti semivuoti del New York Open durante la prima parte della settimana, simili più a quelli che si vedono nei tornei asiatici che non a quanto accade normalmente in Nord America. Ma la prima edizione del torneo che ha raccolto l’eredità prestigiosa del torneo di Memphis è andata in porto senza intoppi, con due semifinali ed una finale tutte arrivate al terzo set, e con il weekend conclusivo che ha attirato un discreto pubblico al Nassau Veterans Memorial Coliseum di Uniondale, a circa 50 chilometri dal centro di Manhattan.

A parte il controverso incidente tra Harrison e Young durante il primo turno (poi risoltosi in un nulla di fatto) e l’infelice uscita di Mannarino al termine della semifinale persa con Querrey, l’atmosfera del torneo è stata gradita da tutti, in particolar modo è stata apprezzata la prossimità dell’hotel ufficiale, il Marriott Long Island, situato appena fuori dal parcheggio dell’arena, a 200 metri dall’ingresso principale e servito da un corridoio sotterraneo che permetteva agli atleti di fare quasi tutto il percorso al coperto.

Qualche ora prima della finale abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due parole con Josh Ripple, il direttore del torneo, che ci ha parlato di come è nata l’idea di organizzare il New York Open e quali sono le sue aspirazioni per il futuro.

Come è nata l’idea di portare un torneo indoor a New York?
La mia società, che si chiama GF Sports, ha acquisito i diritti del torneo di Memphis nel giugno 2015, dopo che già aveva acquistato l’ATP 250 di Atlanta. Il nostro obiettivo era quello di portare un evento nell’area di New York, anche se ci siamo resi subito conto che si trattava di un’impresa non semplice, data la scarsità di impianti disponibili. Quando siamo subentrati alla guida del torneo di Memphis, l’evento stava attraversando difficoltà finanziarie, per cui ci siamo chiesti cosa fare per cambiare rotta. Ragion per cui verso la fine del 2016 e l’inizio del 2017 ci siamo messi alla ricerca di una nuova sede del torneo, proprio quando siamo venuti a conoscenza che la società che gestisce questo edificio, la NYCB Live, era alla ricerca di nuovi “inquilini” per l’arena che era in corso di ristrutturazione. Ci è stata quindi proposta la possibilità di utilizzare il Nassau Veterans Memorial Coliseum, totalmente rinnovato, senza squadre NBA o NHL con cui dover fare i conti (che normalmente pongono delle restrizioni piuttosto precise a livello di disponibiltà n.d.r.) ed in un paio di mesi abbiamo raggiunto un accordo, annunciando il nuovo torneo nell’aprile scorso.

Quanto dura l’accordo che avete siglato?
L’accordo ha una durata di 10 anni, per cui abbiamo in programma di rimanere qui per un periodo di tempo piuttosto lungo.

Come vi è venuta l’idea di una configurazione dell’arena così particolare, con i due campi perpendicolari?
In parte è venuta dall’esigenza imposta dall’ATP di avere due campi per le competizioni, ed in parte dall’inventiva del nostro team. Il Nassau Coliseum dispone di sedili retrattili, per cui è stato possibile allestire due campi nell’arena principale. La configurazione perpendicolare ci è sembrata la migliore soluzione, perché ricordo quando 20-30 anni fa nei tornei indoor negli USA c’erano due campi uno di fianco all’altro separati da una rete, come nei circoli, e si venivano a creare problemi di rumore, di palle, i punteggi chiamati dagli arbitri venivano confusi, con i giocatori che erano tutt’altro che entusiasti della situazione.

Il nome del torneo è “New York Open”, ma qui non siamo a New York. Manhattan è piuttosto lontana da qui. Come pensate di attrarre pubblico dalla città in modo tale da espandere il vostro bacino d’utenza?
Ovviamente la soluzione ottimale per noi sarebbe stata organizzare questo torneo al Madison Square Garden oppure al Barclays Center di Brooklyn, ma con le squadre NBA ed NHL che disputano i loro incontri in quegli impianti sarebbe stato impossibile ottenere i 10 giorni consecutivi necessari per poter svolgere un torneo. Quindi la nostra presenza qui al Nassau Coliseum ci porta ad avere il pubblico di Long Island come nostro bacino d’utenza principale. Certo, ci piacerebbe avere fans che vengono da Manhattan a vederci, e durante questo fine settimana ne abbiamo avuti parecchi, ma per il momento il nostro obiettivo e fare in modo che il torneo venga accettato dalla comunità tennistica come realtà permanente, e credo si possa dire che il risultato è stato raggiunto. Tra un paio d’anni, probabilmente, saremo nella posizione di poter promuovere il torneo in maniera più aggressiva agli appassionati di Manhattan e facilitare il loro afflusso con navette dedicate tra la stazione della LIRR più vicina (la Long Island Rail Road, la rete di ferrovie locali che collega Long Island a New York, n.d.r.), ma per le prime due edizioni il nostro obiettivo è quello di penetrare il mercato di Long Island, che di per sé è enorme e riteniamo sia in grado di sostenere l’evento senza alcun supporto dai borough di New York.

Non crede che la posizione isolata del torneo, nonostante l’albergo a due passi dai campi, possa costituire un punto negativo nella percezione dei giocatori, i quali al nome “New York” magari associano un ventaglio di opportunità, come ristoranti o spettacoli teatrali, che qui risultano al lato pratico difficilmente raggiungibili?
Può essere una chiave di lettura di questa “location”, ma secondo la mia esperienza i giocatori sono creature piuttosto semplici e sono molto focalizzate sul loro lavoro, sul loro torneo. Se possono avere campi d’allenamento comodi, e qui ce li hanno offsite a circa cinque miglia dall’albergo, una sistemazione di livello e del buon cibo, sono contenti. Se vogliono andare a vedere un musical a Broadway possono farlo, ma si tratta di uno spostamento importante. Grazie al fatto che la Brooklyn Sports Entertainment, la società che gestisce l’edificio, possiede i Brooklyn Nets (squadra di basket NBA n.d.r.) ed ha una quota nei New York Islanders (squadra di hockey NHL n.d.r.), siamo riusciti ad organizzare il party per i giocatori in occasione di un incontro dei Nets. Li abbiamo portati in pullman ad una partita, che è finita con due tempi supplementari, quindi è stata ancora più eccitante, e li abbiamo ospitati in due suite. Il fatto che il tragitto da qui al Barclay Center di Brooklyn abbia richiesto 1 ora e 20 minuti credo abbia contribuito a “far passare la voglia” ai giocatori di passare le loro serate a Manhattan. Qui vicino c’è il Rosevelt Field Mall, che è un enorme centro commerciale con ristoranti ed intrattenimenti vari, ed almeno per questa edizione il feedback dei giocatori è stato positivo.

La posizione in calendario del torneo, unico evento indoor in Nord America nel mese di febbraio, sicuramente non facilita il “reclutamento” dei giocatori. Come pensate di gestire questo problema?
Certamente non ci sono altri tornei dello stesso tipo negli USA, per cui immaginiamo sarà difficile per noi avere giocatori europei di livello, almeno nei primi anni. Per loro venire in USA a metà febbraio è troppo presto, è molto più semplice giocare in Europa a Rotterdam e negli altri ‘250’ indoor nel Continente. Un elemento che potrebbe portare il New York Open ad avere un grande successo potrebbe essere l’esplosione di alcuni dei giovani talenti americani che stanno crescendo in questo periodo: se dovessero diventare Top 15-20, allora siamo certi che il nostro torneo sarà un grande successo. Altrimenti continueremo ad avere il mix di giocatori americani ed europei, almeno fino a quando non avrà economicamente senso per noi sborsare le “garanzie” che vengono richieste dai grandi campioni europei, garanzie che al momento non ha senso per noi pagare. La missione di GF Sport, fin dalla creazione, è sempre stata quella di mantenere tornei sul suolo americano, creare un palcoscenico che permetta ai giovani giocatori USA di crescere e di diventare dei campioni, e di organizzare eventi al meglio delle nostre possibilità. Di conseguenza il nostro approccio sarà sempre un po’ “americanocentrico”.

La GF Sport gestisce anche il torneo di Atlanta: come vedete il futuro di quell’evento?
Il 250 di Atlanta al momento gode di un contratto molto vantaggioso per il suo svolgimento ad Atlantic Station. Abbiamo ereditato un contratto firmato dai nostri predecessori che prevede lo svolgimento in questa location centralissima a condizioni di assoluto vantaggio. All’epoca del trasloco da Norcross (un club a circa 40 chilometri da Atlanta che ha ospitato il torneo fino al 2011 n.d.r.), le condizioni offerte dall’agenzia immobiliare che stava sviluppando il centro commerciale all’aperto di Atlantic Station erano assolutamente straordinarie. Ma contratti come quelli non capitano tutti i giorni, per cui siamo alla ricerca di una nuova sede per il torneo a partire dal 2019. Possibilmente ad Atlanta, in modo da sfruttare il lavoro fatto in questi anni e il rapporto creatosi con gli appassionati locali, tuttavia se dovesse essere necessario traslocare, intraprenderemo con entusiasmo una nuova sfida in una nuova città.

Infine, quale sarebbe il vostro sogno per il torneo nel medio periodo, diciamo tra cinque anni?
Innanzitutto la nostra aspirazione sarebbe quella di diventare un ATP 500. Sappiamo che è molto difficile, perché il numero di questi eventi è limitato, ma vogliamo crescere e il nostro obiettivo è quello. Dal punto di vista operativo, invece, vorrei arrivare ad avere la possibilità, a metà settimana, di rimuovere il secondo campo dall’arena principale e spostare il campo “centrale” in modo da passare da una configurazione a 6.500 posti, come adesso, ad una da 12.000 posti per le fasi finali del torneo. Inoltre vorremmo poter installare i campi di allenamento sotto dei tendoni allestiti all’esterno dell’impianto, nei quali il pubblico potesse assistere agli allenamenti, in modo tale da poter avere tutto ciò che ci serve per il torneo nello stesso luogo e non dover far allenare i giocatori off-site. In questo modo si creerebbero anche maggiori occasioni di promozione per il pubblico, con un evidente beneficio economico da parte del torneo. Al momento si tratta di un sogno finanziariamente non realizzabile, ma speriamo di poterci arrivare presto.

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