Steve Johnson, nel nome del padre

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Steve Johnson, nel nome del padre

Il tennista statunitense racconta le sue difficoltà nel gestire ansia e panico, sopraggiunte dopo un lutto devastante

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Il successo sulla terra di Houston aveva soprattuto un retrogusto amaro per Steve Johnson perché è arrivato 12 mesi dopo la morte del padre. L’abbraccio con l’altro finalista Sandgren è stata senza dubbio la cartolina del torneo ma adesso, a mente lucida, Johnson vuole mettere anche delle parole dietro quella cartolina e far luce su un argomento sempre più attuale, l’ansia che colpisce gli sportivi professionisti. Il sito della ATP ha dedicato a lui l’abituale appuntamento dal nome My Point.

“Ho alzato il mio pugno al cielo e mi sono avvicinato al mio avversario per abbracciarlo. Dell’altra parte della rete c’era Tennys Sandgren, alla sua prima finale ATP, e quando gli ho appoggiato la testa sul petto ha detto qualcosa che non dimenticherò mai: ‘I nostri padri ci stanno guardando dagli spalti’. Io stavo facendo si tutto per trattenermi ma quando Tennys, che ha perso il padre qualche anno fa, ha detto quelle parole io mi sono lasciato andare. Un anno fa, 25 giorni dopo il mio primo successo a Houston, mio padre, Steve Johnson Sr. ci ha lascito nel sonno. Io avevo appena realizzato un sogno che condividevamo insieme, vincere un titolo negli Stati Uniti, e quello fu l’ultimo match che mi vide giocare. Questi mesi sono stati molto difficili ma i miei genitori mi hanno cresciuto per competere e per fare le cose nel modo giusto. Mio padre non avrebbe voluto che abbandonassi tutto ed è per questo che mi sono rimesso in campo, anche se è stata una sofferenza.

Ci sono stati giorni in cui prendevo in mano la racchetta e giocavo in maniera patetica. Ho iniziato a farmi prendere dal panico e ci sono stati momenti nei quali l’ansia era fuori controllo, mentre in altre settimane era più facile e non so spiegarmi il motivo. Tutto sommato credo che continuare a giocare sia un buon modo per onorarlo, del resto lui è stato il mio primo coach: insieme condividevamo la passione per questo sport. Ricordo anche quando a 7 anni mi portò a vedere Andre Agassi giocare in Davis a Newport Beach contro l’Olanda, mi sembrava di essere in paradiso. Quando sono diventato professionista lui è stato sempre presente. C’era ai miei match a Flushing Meadows, c’era sul Centrale di Wimbledon quando ho affrontato Federer, e c’era a Nottingham per il mio primo titolo ATP due anni fa. Quindi quando certi sportivi perdono una persona cara, riescono a stare in pace praticando il loro sport, mentre io entrando in un campo da tennis mi sentivo fuori posto. Troppe cose mi facevano pensare a mio padre.

Per esempio lo scorso anno al Roland Garros ricordo di aver chiuso con un vincente di dritto il mio match di 4 ore contro Borna Coric. Io ero molto orgoglioso della mia proca di forza ma subito dopo mi sono sentito a pezzi. Quando sono entrato negli spogliatoi il mio coach e i miei amici Isner e Querrey mi stavano vicino mentre io restavo seduto nascondeno la testa sotto l’asciugamano. Anche altri ragazzi si sono fatti vedere per darmi una pacca sulla spalla, per farmi coraggio, e questo mi ha fatto capire che nonostate siamo in competizione tra di noi restiamo una famiglia. Ho faticato così tanto dal punto di vista mentale che non me lo sarei mai immaginato. All’inizio dell’anno ho perso tre dei miei quattro match in Australia e la cosa mi ha rigettato nel panico e nell’ansia in maniera frequente. La cosa non mi sembrava normale, ma poi ho capito che era così. Non c’è nulla di cui sentirsi in imbarazzo. Ne ho parlato parecchio con Mardy Fish, lui anche è uno che ci è passato, ed è salutare discuterne perché non è una cosa facile da gestire. Io ho continuato a comportarmi da macho man davanti a tutti dicendo che stavo bene, salvo poi lasciarmi andare quando restavo solo. Voglio rassicurare le persone facendogli capire che non c’è nulla di male nell’aprirsi con gli altri; è per questo che da quest’anno ho iniziato a vedere uno specialista.

Non c’è nessuna buona risposta sul come superare la perdita di una persona cara. Ma tu devi continuare a vivere la tua vita al meglio e io non dimenticherò mai quello che ha fatto mio padre per portarmi a questo punto. Io sono fortunato, gioco a tennis per lavoro quindi anche una brutta giornata non è poi così male“.

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