Ceck-in per la finale: "Vi stupirò ancora" (Scanagatta). Io, il Roland Garros, e Ceck (Schiavone). La tendenza italiana a emergere in ritardo (Clerici). Safin: "Lo vedo in top 10" (Semeraro). Nuovo Cecchinato: come si cambia in cinquanta giorni (Rossi)

Rassegna stampa

Ceck-in per la finale: “Vi stupirò ancora” (Scanagatta). Io, il Roland Garros, e Ceck (Schiavone). La tendenza italiana a emergere in ritardo (Clerici). Safin: “Lo vedo in top 10” (Semeraro). Nuovo Cecchinato: come si cambia in cinquanta giorni (Rossi)

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Ceck-in per la finale: “Vi stupirò ancora” (Ubaldo Scanagatta, Giorno-Carlino-Nazione Sport)

L’uomo del giorno è Marco Cecchinato che da n. 72 e quasi ko al primo turno, troneggia su tutti i media francesi con le sue foto. In particolare quella che lo vede disteso ebbro di gioia sul Suzanne Lenglen dopo il quarto matchpoint contro Djokovic trasformato con un passante di rovescio che «sembrava non atterrare mai!». Marco perché il tennis? Quando hai capito che poteva essere uno sport nel quale avresti potuto dire la tua? «Ho cominciato intorno ai sette anni, grazie a mio cugino Francesco (ex fidanzato ed ex coach di Roberta Vinci; n.d.r) e a mio zio Gabriele (dirigente palermitano nel tennis), fino a 12 anni giocavo anche a calcio, poi ho dovuto decidere. Il mio sogno era diventare un calciatore, il mio idolo Kakà nel calcio, Safin nel tennis… ». Non una scelta banale andare a 16 anni, per un ragazzino siciliano, ad allenarsi vicino Bolzano, in Alto Adige dove si parla quasi più il tedesco… «Ha deciso mio cugino Francesco, poi ho deciso io, con l’ok dei genitori che mi hanno lasciato decidere. A portarmi a Caldaro da Sartori è stato mio cugino Francesco…». Come ti ha convinto? «Lui per me è un fratello, è stato uno dei primi a credere in me, credeva che io potessi diventare qualcuno e ha voluto portarmi da Sartori. Pensava che fosse il posto migliore per farmi crescere prima come persona e come tennista». E come l’hai vissuto quel passaggio da ragazzo di mare? «È stato difficile. Vivevo da solo, a 17 anni, ero abituato a svegliarmi con il sole, con il mare, con il cielo sereno, a Caldaro mi svegliavo con la nebbia, la neve, il freddo, ma adesso ne è valsa la pena per tutti i sacrifici che ho fatto». Quando hai sentito che stava cambiando qualcosa, la mentalità? «Non è stato in un match, ma in un periodo di 4 settimane, e soprattutto al momento della preparazione, perché lì mi sono messo in gioco, ho sempre dato il 100 per 100, pensavo che potesse essere l’anno della svolta, volevo dare tutto, dietro questi risultati c’è tanto lavoro. Il periodo della preparazione è fondamentale per mettere benzina dentro e fare una stagione positiva. Poi ovviamente vincere i match aiuta, e così la fiducia. C’è poi stata convinzione, determinazione, consapevolezza». Due giorni per preparare la semifinale con Thiem. Un vantaggio o un periodo difficile da gestire? «Ero abituato a un giorno solo, ma due giorni fanno bene per un recupero. Sto giocando tanto, per la prima volta 3 su 5, tanti match difficili, tante emozioni, tanta pressione. Recupero. Ancora il mio Roland Garros non è finito. Ieri notte non ho praticamente dormito. Sto realizzando quel che sto facendo, ma voglio crederci fino in fondo». Tutte quelle nuove fans? Pensi di saper gestire questa sbornia mediatica? «Ho persone brave al mio fianco che mi stanno aiutando a gestire tutto. Video, interviste, messaggi, tante cose nuove… come incontrare Safin, stringergli la mano, ricevere i suoi complimenti, verrà a vedermi, lui che è stato n.1 del mondo. Quanto alle fans, ho già tranquillizzato la mia fidanzata Gaia. Le ho detto: è tutto come prima». Quando ieri e oggi ti sei rivisto in tv, nelle fotografie, che ti è venuto in mente? «Beh quel passante che non atterrava veramente mai! Mi sembrava impossibile che quella palla potesse entrare… ». Thiem sarà tuo avversario in semifinale… lo hai battuto in un future… «Sono passati cinque anni, era un future, questa è una semifinale Slam, il palcoscenico è ben diverso. Entrerò in campo determinato, come in ogni match. Convinto di poter fare una buona figura. E perché no?». Che cosa infilerai di strano nella valigia dei tuo coach Vagnozzi stavolta? Ride… «Gli metto dentro qualche bagnoschiuma… gli appesantisco la valigia!». Messaggi da italiani? «Sì da tanti, Fognini, Pennetta, Errani, Vinci, risponderò con calma a tutti. Barazzutti mi ha fatto i complimenti… ». Come giudichi il tuo gioco? «È un tennis diverso, tante palle corte, tanti cambi di velocità, più aggressivo rispetto a prima, mi ha migliorato tanto, prima aspettavo l’errore dell’avversario. La fiducia mi permette di prendere più punti a rete, faccio tanti più vincenti rispetto a prima. Forse mi sto avvicinando al livello dei top-player».


Schwartzman ferma a 37 i set vinti di fila da Nadal: poi la pioggia rinvia tutto (Laura Guidobaldi, Giorno-Carlino-Nazione Sport)

La pioggia che a Roma aveva dato una mano a Rafa Nadal, interrompendo il match della sua finale con Zverev, quando il tedesco stava conducendo 3-1 nel terzo decisivo set, ieri è sembrata arrivare ancora in suo soccorso. Il piccolo argentino Schwartzman, il più piccolo tennisti del circuito ATP tra i top 200 con il suo metro e 70 aveva perso 5 duelli su 5 con lo spagnolo che ha vinto qui 10 edizioni del Roland Garros, ma ieri era riuscito a strappargli un set, dopo 37 vinti consecutivamente dal re del Roland Garros su questi campi dal 2015 a oggi (da tre anni quindi) ed era avanti anche 3-2 con un break nel terzo quando è venuto giù il primo piovasco. Alla ripresa del gioco, proprio come era accaduto anche a Roma quando infilò cinque game di fila per vincere il torneo, Nadal — che prima della pioggia aveva chiesto l’intervento del medico per un problema al polso sinistro che lo aveva costretto a saltare diversi mesi di tennis l’anno scorso — ha recuperato immediatamente il break e poi ne ha conquistato un altro, salendo da 2-3 a 5-3, prima che la pioggia tornasse a farla da padrone, rinviando tutto a oggi. Certo è che Nadal serviva proprio male, quasi in ogni game ha rischiato il break. Anche l’altro quarto di finale fra Cilic e del Potro, due gemelli diversi d’un metro e 98 e nati a cinque giorni di distanza l’uno dall’altro (con l’argentino che aveva vinto 10 partite su 12 e tutte le ultime sette) è stato interrotto per via della pioggia al tiebreak del primo set quando i giocatori stavano 5 punti pari. Cilic aveva cominciato a servire per primo, del Potro ha avuto 3 palle break, ma Cilic è stato avanti 5-3 nel tiebreak prima di commettere due errori gratuiti. In precedenza si erano svolte due quarti femminili e mentre Simona Halep ha impiegato tre set 67 63 62 in 2h e 14m per battere Kerber, Maria Sharapova è stata battuta così nettamente 62 61 in 70 minuti da Garbine Muguruza, la spagnola campionessa qui nel 2016, da apparire l’ombra di se stessa. Dopo di che ha regalato ai giornalisti risposte ancor più stringate di quelle di Djokovic ieri dopo la “mazzata” patita con Cecchinato le cui foto ed impresa campeggiavano su tutti i giornali: “L’eroe improbabile” secondo l’Equipe che giocava su un titolo a doppio senso, “Le Paris fou de Cecchinato”, dove fou significa folle e Paris sta per Parigi ma anche per scommessa, chiara allusione all’errore di gioventù del siciliano che poteva comprometterne la carriera.


Wilander: “Gran rovescio” McEnroe: “Non soffre mai” (ri.cr., Gazzetta dello Sport)

Cecchinato chi?… [SEGUE]. Mats Wilander, John McEnroe e Boris Becker, che lo stanno commentando su Eurosport, ne sono entusiasti. Lo svedese, premiato ieri a trent’anni dal successo del 1988, è rimasto colpito dal rovescio: «Lo gioca molto bene, soprattutto in slice e con la palla corta. Credo possa avere un futuro brillante, in particolare sulla terra, ha solo 25 anni. E poi ci voleva una ventata di novità, da quando sono arrivati i Fab Four era difficile vedere emergere qualcuno con questa prepotenza». The Genius, invece, di Marco apprezza la forza mentale: «Sul 5-2 nel terzo set non immaginavo avrebbe potuto vincere, ma sulla terra si muove davvero bene e sa cosa fare. E negli scambi prolungati non va mai in sofferenza». Anche Bum Bum Becker è ammirato dalla solidità dell’italiano: «Marco sta sognando e non ha nessuna voglia di svegliarsi. Stiamo parlando di Marco Cecchinato da Palermo. È pazzesco come sia riuscito a tenere i nervi saldi per tutto il torneo. Qualsiasi tennista che non abbia mai vinto un solo match in uno Slam e poi arrivi in semifinale, si merita di essere li». E qual è il segreto secondo Adriano Panatta? «II tennis evidentemente c’era già, capita che si trovino momenti favorevoli, scatta qualcosa, si prende fiducia. E la cosa più bella che possa capitare quando capisci di potertela giocare con tutti».


Io, il Roland Garros, e cosa sta vivendo Cecchinato (Francesca Schiavone, Gazzetta dello Sport)

Il Roland Garros farà sempre parte della mia vita. Ho partecipato a 18 edizioni di fila, l’ho vinto nel 2010 e sono arrivata in finale l’anno successivo. Insomma, conosco ogni angolo di quel torneo, gli umori e la passione della gente sulle tribune. Anche se non ci conosciamo bene, posso capire ciò che sta vivendo il nostro Marco Cecchinato. Quando arrivi ai quarti di finale di uno Slam il cerchio si restringe a otto atleti e ti rendi conto che forse, per la prima volta, puoi essere tu il vincitore. Superato lo scoglio dei quarti, poi, in semifinale si apre un nuovo mondo perché quello che sapevi fare l’hai già fatto. Ciò che succederà dopo non lo sa nessuno, quindi il presente diventa cosa speciale da diventare l’unica cosa che vuoi vivere. Ci sono piccole cose, quando giungi a questo punto, che caratterizzano il quotidiano: i campi di allenamento sono tutti per te, ogni cosa è a tua disposizione. Si vive come al rallentatore, è come un effetto straniante che ti fa stare di più con te stesso e il tuo team. Una situazione che ti fa risparmiare energie importanti, perché quando arrivi a questo punto non sei più alla ricerca di un miglioramento, o del perfezionamento, o della riga. Non pensi più che stai giocando contro i mostri del tennis, i più grandi del tuo sport. Perché le sensazioni sulla palla e la fiducia nel tuo gioco ce l’hai già. L’unica cosa che può variare è la tattica… [SEGUE]. Cecchinato in semifinale deve usare i suoi colpi più forti come arma di attacco e continuare a remare, perché Dominic Thiem lo porterà oltre al proprio limite. E Marco, questo limite, deve essere pronto a superarlo.


La tendenza italiana a emergere in ritardo (Gianni Clerici, Repubblica)

Penso non solo ai 25 annidi Cecchinato, ma al mio caro Tommasi, la cui laurea in statistiche ha introdotto le stesse nel giornalismo sportivo italiano. Così, al termine di una ricerca, sicuramente fallace, sono in grado di scrivere, certo sbagliando, che 17 italiani sono giunti in finale, semifinale o quarti di un torneo del Gran Slam. E la caratteristica, che meriterebbe un approfondimento che non credo possibile fornire per ora, è che ci sono arrivati relativamente tardi, proprio come Cecchinato, che è parso risvegliarsi da una prolungata gioventù a 25 anni. Prima di lui era accaduto che sedici colleghi giungessero almeno ai quarti di uno Slam: Caratti (in Australia) a 21 anni, Barazzutti (US) a 22, e Bertolucci e Panatta (Roland Garros a 22), Pietrangeli (Wimbledon a 22), Gardini (Roland Garros a 23), Merlo e Furlan (Roland Garros) a 25, De Stefani e Marcello Del Bello (27 anni a Roland Garros), Cucelli (31 anni a Roland Garros), De Morpurgo e Sirola (32 anni a Wimbledon e Rroland Garros). Sanguinetti andò nei quarti a a Wimbledon a 26 anni, Fognini a Parigi a 24. Si vede da queste note, prese dal libro di Vespignani “Italiani nel Grande Slam”, che l’età media è piuttosto alta, oltre i 25 anni e mezzo, anche a causa di due guerre mondiali. La terra del Roland Garros è la preferita, per le due vittorie di Pietrangeli, 1959 e 1960, e quella di Panatta nel 1976. Le due vittorie sono anche comprensibili per il fatto che i fondi rossi sui quali si svezzano i nostri piccoli sono la stragrande maggioranza in Italia, mentre proprio io commisi l’audacia di far divenire ufficialmente accessibili i campi duri in una lontana assemblea FIT a Venezia. Si spiega, o almeno si chiarisce così la semifinale di Cecchinato, mentre rimane inspiegabile l’emersione di un solo campione dalla Sicilia. Circa le ragioni personali, all’affermazione improvvisa di chi, a 25 anni, pareva un tennista semifallito due mesi addietro, ci vorrebbe uno psichiatra appassionato di tennis. E se ora raggiungesse la finale cosa direbbe un presunto esperto? Ai posteri.


Nuovo Cecchinato come si cambia in cinquanta giorni (Paolo Rossi, Repubblica)

La “macchina” Cecchinato ha incuriosito il mondo, che adesso vuole scoprire come il tennista venuto dal nulla abbia cambiato la sua vita in cinquanta giorni, quale segreto si celi dietro una crescita inattesa ed esponenziale, come si possa passare dai challenger a una semifinale del Grande Slam. Tennisticamente i suoi punti di forza sono il rovescio, la smorzata e il servizio. Ma ogni “macchina” ha qualcos’altro. Cecchinato ha fisico, tecnica e psiche. «Partiamo da quest’ultima, la variabile più impalpabile». Parla Umberto Ferrara, il preparatore del tennista, il saggio dello staff. «Prima di ogni idea, progetto o investimento, occorre essere in sintonia. Questo è accaduto tra Simone Vagnozzi e Marco Cecchinato. Li ho visti incontrarsi, annusarsi, piacersi. Grazie a questo feeling è nato poi il triangolo sportivo». Simone Vagnozzi potrebbe diventare l’Arrigo Sacchi, o lo Zeman del tennis. «Lui è stato 160 del mondo ma, non grosso fisicamente, ha saputo sopravvivere nell’ATP. È l’aspetto che ha condiviso con Marco, il quale ha capito di avere accanto la persona giusta». Queste sono le premesse per spiegare il boom dell’azzurro. «Come ha detto Marco, lui ha accettato di lasciare il mare per alzarsi nella nebbia di Bolzano. E non ha battuto ciglio nello spostarsi a Bordighera. Ma i sacrifici non sono garanzia per diventare campioni: c’era tanto da modellare». Ecco su cosa si è intervenuti. La dieta. «Mangiava schifezze. Troppi carboidrati. Non conosceva frutta, verdura e proteine. È stato il primo lavoro extra sul quale siamo intervenuti. Il secondo sul protocollo di lavoro: Vagnozzi non è un dittatore, ci si confronta e ci si convince. Anche perché Cecchinato se non è convinto non esegue gli esercizi». Il rovescio. Non è quello originale del pre-Roland Garros. «Lo eseguiva solo in back. Sempre e solo tagliato. Dovreste sapere quante discussioni ci sono volute per arrivare al colpo di oggi. Ma è stato tempo benedetto. Deve ringraziare Brandi. E Vagnozzi che ha completato l’opera». Il servizio. «Un’altra sua arma che fa male. Pub migliorare ancora, soprattutto pensando alle superfici veloci, dove pub tirare più forte e piatto, invece di usare il kick per spingere l’avversario dietro i teloni di fondo campo». Il fisico. «Qui entriamo nel mio campo: Marco è un ragazzo esplosivo, pronto a stare in campo cinque set. Paradossalmente la sua rapidità nei movimenti laterali certe volte diventa un boomerang perché, talmente sicuro, parte con una frazione di secondo in ritardo, e a livello Slam si paga». Il fattore mentale. «È diventato più uomo. Mi fa ridere la pretesa di conoscere il momento esatto del clic: non esiste, o almeno non è facile identificarlo. Ci sono eventi che spostano la vita, ma lo scopriamo solo a posteriori». La potenza. «Tira forte. Ma è muscolare. È una questione di fluidità, di timing sulla palla. Marco ha la prestanza fisica giusta: pensate a Djokovic o a Federer. Solo Nadal ostenta potenza muscolare. Il tennis, che è lo sport del diavolo, richiede altre qualità»[SEGUE].


Marat Safin: “Cecchinato show. Se resta se stesso lo vedo nella top 10” (Stefano Semeraro, La Stampa)

Marat Safin avrebbe potuto essere il vero anti-Federer — e lo sa bene anche Roger, che ci perse una famosa semifinale agli Australian Open del 2005 – ma il russo ribelle, bello e simpatico come un attore prima di ritirarsi nel 2009 si è «accontentato» di vincere due Slam e trascorrere 9 settimane da n.1 del mondo, il più giovane numero 1 della storia, fra il 2000 e il 2001. Imprese sufficienti comunque a farne l’idolo sportivo di Marco Cecchinato, l’italiano che sta stregando il Roland Garros. I due ieri si sono incontrati a Parigi e Marco non ha nascosto la sua emozione quando Safin si è complimentato con lui per la vittoria su Djokovic. Marat, cosa le è piaciuto del suo «fan» Cecchinato? «Come capita spesso agli italiani anche lui sta maturando dopo un po’ che è sul circuito. Mi ha impressionato per come ha gestito la pressione e per le sue caratteristiche tecniche. Di solito gli italiani lavorano la palla, usando i tagli, lui no: picchia forte, cerca il punto». Dove può arrivare? «Secondo me vale i top-10. Ha le qualità per farcela. Devo solo badare a non uscire di testa. Mi sembra un ragazzo umile e questo aiuta. Non è uno spaccone. In un certo senso assomiglia a Fognini, ma con più umiltà. Deve continuare a prendere la vita come ha fatto finora». Se oggi si chiede ad un tennista chi è il suo modello, il 90 per cento risponderà o Federer o Nadal… «Beh, è normale». Per Cecchinato invece è lei. Marco ammirava il suo talento, ma anche la sua personalità. «Ascolti: il tennis, lo sport, sono intrattenimento. Marco può fare bene anche fuori dal campo, aiutare il tennis italiano dal punto di vista del marketing. Può essere diverso dal tennista medio. Il tennis non è tutto, c’è una vita fuori dal campo. Spero solo che abbia un buon manager». Può fare bene anche su altre superfici? Non sembra avere colpi adatti all’erba… «Allenandosi può migliorare. Poi in fondo l’erba dura 2-3 settimane. A me non piaceva per nulla, ma Marco serve bene, va a rete, è coraggioso, tira forte sia di diritto sia di rovescio. Come dicevo la palla la colpisce forte, non la spinge, e questa è una buona base». Cosa dovrà fare domani per battere Thiem? «Ha un tennis abbastanza simile a quello di Dominic, ma tira ancora più forte. Inoltre sta più vicino al campo, mentre Thiem gioca più indietro, e questo è un vantaggio. Deve picchiare la palla, senza prendere rischi eccessivi ma senza arretrare». I suoi fan si chiedono che fine ha fatto Safin… «Mi sono ritirato dalla politica nel 2017 per motivi personali (dopo essere stato parlamentare alla Duma, ndr) e mi sono preso un anno sabbatico. Me la sto prendendo calma. Ma non ho chiuso nessuna porta». Le piacerebbe fare il coach? «Perché no? Ma a qualcuno che viene da una famiglia normale, e che non abbia un ego spropositato…». Marat, da che pulpito. «Okay: sono cresciuto. Oggi non lavorerei mai con un egoista figlio di puttana. L’ego va bene, ma solo se hai i piedi per terra. Non farei mai il portaborse di nessuno. Mi piacerebbe dare consigli, ma a chi se li merita. Ci sono ex tennisti della mia generazione che perdono tempo con degli idioti, non va bene. Non è una questione di soldi, ma di vendere l’anima al diavolo». Lei ha un anno più di Federer, ma si è ritirato da dieci, Roger e Nadal invece continuano a vincere: come mai? «Perché i giovani non sono bravi abbastanza. Poi il mio era un tennis diverso» [SEGUE]. Rimpianti, per la sua carriera? «Nessuno. Senza tennis forse sarei finito a raccogliere bottiglie vuote al Gorky Park. Mi è andata benissimo».

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